Il papa, un problema
Trent anni fa, nella effervescente atmosfera dell'immediato postconcilio, prendeva quota il dialogo ecumenico fra cattolici e ortodossi. Il 25 e 26 luglio del 1967, Paolo VI incontrava a Istanbul Atenagora I. Il patriarca ecumenico di Costantinopoli, massimo rappresentante della chiesa ortodossa, avrebbe restituito la visita al papa tre mesi dopo in Vaticano.
Nella cattedrale di San Giorgio al Fanar, residenza del patriarcato ecumenico, il nome del papa fu menzionato nelle litanie greche prima di quello del patriarca: non accadeva da nove secoli. La spaccatura fra Roma e Costantinopoli - fra l'Oriente greco e l'Occidente latino - risaliva infatti al 1054. Dopo la celebrazione, letti i discorsi ufficiali, per ben sei volte Paolo VI e Atenagora I si abbracciarono, tra gli applausi e l'emozione dei tanti fedeli presenti.
Il papa osservò che la legittima diversità delle tradizioni teologiche, spirituali e liturgiche non intaccava l'identità della fede condivisa da Oriente e Occidente, e che fra cattolici e ortodossi era ormai avviato il dialogo della carità . Quella carità - disse Paolo VI - che «ci mette in grado di acquistare una consapevolezza migliore della profondità stessa della nostra unità , nel medesimo tempo che ci fa più dolorosamente soffrire per l'impossibilità presente di vedere questa unità espandersi in concelebrazione e ci sprona a fare di tutto per affrettare la venuta di questo giorno del Signore». Atenagora venne accolto in Vaticano il 27 e il 28 ottobre successivo.
Dopo trent'anni di dialogo, cosa ostacola ancora il ritorno alla piena comunione tra cattolici e ortodossi?
Dal concilio Vaticano II a oggi - ci ha risposto monsignor Eleuterio Fortino, sottosegretario del Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani - è molto cambiato il panorama delle relazioni fra cattolici e ortodossi. La ripresa dei contatti, attraverso i due canali privilegiati del dialogo della carità e del dialogo teologico, ha maturato la convinzione che il rapporto fra cattolici e ortodossi è quello fra chiese «sorelle», eredi della stessa tradizione apostolica, partecipi della stessa continuità episcopale. Il problema più consistente, che impedisce la piena comunione, è quello che si riferisce al ruolo del vescovo di Roma nella chiesa. Conscio di questo, il santo padre ha chiesto a cattolici e ortodossi, ma anche agli altri cristiani, che si studino insieme quelle modalità del primato petrino secondo le quali il ministero del vescovo di Roma possa realizzare un servizio di unità accettato da tutti. In ciò, naturalmente, va salvaguardato l'essenziale, che non dipende da alcuna evoluzione storica, ma dalla volontà di Cristo sulla sua chiesa. Il santo padre ha anche indicato il primo millennio come luogo teologico da studiare per trovare le modalità che hanno garantito la piena comunione. Non è uno studio scontato, ma una impresa che esige un'accurata ricerca storica e un'attenta considerazione teologica, confrontata fra cattolici e ortodossi. Gli stessi avvenimenti, infatti, vengono considerati diversamente dagli uni e dagli altri. Ma un fatto è incontestabile: i cattolici e gli ortodossi di oggi sono gli eredi di coloro che nel primo millennio hanno vissuto nella piena comunione, una comunione feconda di una ricca e legittima diversità . Né si può semplicemente tornare indietro. Ma l'articolazione dell'unità nel primo millennio può aiutare a trovare quelle modalità del ministero petrino che il santo padre invita a individuare.
Quali altri problemi sulla strada dell'unità ?
Rimangono i punti di contrasto storico non pienamente chiariti: il dibattito teologico sul Filioque e sul purgatorio, come pure la definizione dei dogmi mariani (l'Immacolata concezione e l'Assunzione). Resta aperto anche il problema del divorzio, accettato, in alcuni casi, dagli ortodossi. Pure dal punto di vista pastorale ci sono aspetti da migliorare, primo fra tutti quello di una vera, reciproca conoscenza. La contrapposizione psicologica che ha caratterizzato il passato, le vecchie difficoltà di rapporti imposte dai regimi comunisti e quelle nuove che sono sorte alla caduta di tali regimi, esigono una chiarificazione interiore per riconoscere negli altri degli autentici fratelli nella fede. E non è sufficiente una migliore conoscenza, occorre creare una migliore situazione di rapporti reali: bisogna vivere di fatto fraternamente e in disinteressata collaborazione proprio là dove cattolici e ortodossi vivono l'uno accanto all'altro. L'unità non è solo un accordo teologico, seppure prioritario, ma una comunione di vita. Ciò impone che si superino i residui di un atteggiamento di limitante autosufficienza e di ghetto spirituale.
Come procedono attualmente i rapporti bilaterali?
La chiesa cattolica è in relazione con tutte le singole chiese ortodosse, autocefale e autonome. Con ciascuna è in rapporti diretti in vario modo e con diversa intensità , in base allo specifico delle situazioni concrete. Queste relazioni costituiscono un aspetto indispensabile dell'intero rapporto fra la chiesa cattolica e la chiesa ortodossa. In particolare, il dialogo teologico, iniziato nel 1980, ha prodotto quattro documenti di grande importanza, che hanno riaffermato la concezione sacramentale della chiesa, comune a cattolici e ortodossi. Negli ultimi anni questo dialogo ha incontrato delle resistenze a causa di fattori che sono esterni al dialogo stesso, ma che incidono sul suo proseguimento: per esempio i contrasti tra ortodossi e grecocattolici in Ucraina e in Romania; oppure problemi interni fra le chiese ortodosse, come la vertenza fra Mosca e Costantinopoli circa l'autonomia della chiesa in Estonia, o le difficoltà della chiesa di Bulgaria, sfociate nella elezione di un secondo patriarca in contrapposizione a quello riconosciuto come canonico.
Quali proposte concrete si possono suggerire alle comunità cattoliche locali perché sappiano intensificare «dal basso» il dialogo con gli ortodossi?
Più volte il papa ha richiamato alla collaborazione fra cattolici e ortodossi particolarmente là dove essi vivono gli uni accanto agli altri. Una collaborazione che non si limiti alla solidarietà sociale. Esistono anche spazi di collaborazione che hanno una forte incidenza ecclesiale. La diffusa presentazione dei rapporti fra cattolici e ortodossi come se le relazioni tra i fedeli siano «più avanzate», mentre quelle tra i teologi e tra le gerarchie «più restie», o viceversa secondo i casi, è molto superficiale. In genere, queste relazioni sono connesse fra di loro. Quante volte si dice che per iniziative più avanzate «il popolo non è maturo». Sicuramente occorre una predicazione e una catechesi che tenga conto delle nuove relazioni dottrinali. E ciò da ambe le parti. D'altra parte, la partecipazione dei laici al movimento ecumenico è di essenziale importanza per la riuscita dell'impresa. La Unitatis redintegratio, il decreto conciliare sull'ecumenismo, aveva lucidamente indicato che l'impegno per l'unità dei cristiani riguarda sia i pastori sia i laici, ciascuno secondo le proprie capacità . Il contributo, poi, delle chiese locali è del tutto singolare. Sono loro che affrontano sul luogo i problemi concreti, sono loro che hanno perciò la possibilità di offrire soluzioni concrete. Le chiese locali possono essere creatrici di unità .