Elisa Salerno: «cattolica e femminista»
Definita dal suo vescovo «quella povera testa» e dal vescovo di Cremona «teologhessa» e «povera figliola» per le sue convinzioni femministe, Elisa Salerno in realtà precorse un`epoca e fu, malgrado le critiche del clero di allora, una cristiana con il dono della profezia. Lei stessa, fin dal 1907 amava definirsi «cattolica e femminista», e specificava: «prima cattolica e poi femminista».
La «colpa», che le valse l`ostracismo del clero nei primi decenni del Novecento, fu di sostenere che la Chiesa era antifemminista e di battersi per la dignità della donna che il Vangelo stesso proclamava, che concretamente voleva dire: parità tra i sessi in famiglia, nell`ambiente di lavoro, nell`istruzione, nell`attività politica, nell`ambiente religioso.
Con scritti, lettere, riviste, romanzi, seppe definire uno a uno, in maniera inequivocabile, i temi che un secolo più tardi saranno rivendicati dalle femministe di tutto il mondo nelle lotte di liberazione della donna.
A quasi cinquant`anni dalla morte, viene riscoperta e riproposta dal mondo cattolico (i tempi e gli uomini sono cambiati) che tanto la osteggiò, e rivalutata per le intuizioni profonde, la lucidità delle analisi e delle denuncie contro le condizioni di inferiorità che «incarceravano» la donna, sovente umiliata, anzi «assassinata» ` sono parole sue ` dall`ingiustizia, dall`ignoranza e dalla prepotenza maschile, oltre che dalle incomprensioni della gerarchia ecclesiastica.
Le radici dell`antifemminismo
In un`epoca in cui i pregiudizi nei riguardi delle donne erano diffusi anche tra il clero, Elisa Salerno rilevò un certo stravolgimento del Vangelo operato da padri della Chiesa e teologi come sant`Agostino e san Tommaso, e finito pari nel catechismo. Mentre nel Vangelo la donna è «persona» sena alcuna attenuazione, san Tommaso la definiva un «maschio mancato», quindi un essere inferiore all`uomo. La Salerno si scandalizzava che tali «bestialità » venissero propinate come verità perfino nei manuali ufficiali di dottrina cristiana e nei manuali di teologia per seminaristi. E scriveva: «Nei libri di san Tommaso abbiamo trovato cose raccapriccianti contro il sesso femminile, che spiegano tante ingiustizie e obbrobri contro la donna perpetrate in ambiente cattolico`¦ La Chiesa fondata da Gesù Cristo è santa`¦ Tra la Chiesa e l`antifemminismo non vi può essere alcuna compatibilità , ma soltanto una irriducibile opposizione, come tra la luce e le tenebre, tra Iddio e Satana».
Autodidatta
Nata nel 1873 a Vicenza da una famiglia agiata (i genitori conducevano un forno con annesso pastificio in Borgo santa Lucia), trascorse nella città berica tutta la vita e vi morì in solitudine, nel 1957.
Gracile e cagionevole di salute, non poté compiere studi regolari ma, affamata di sapere, studiò da sola il latino, il francese, il tedesco e anche filosofia e teologia, discipline allora riservate ai maschi, recuperandone i libri nel vicino seminario vescovile. Fu proprio studiando la teologia e filosofia tomista, oltre quello che di fatto era il costume della società , che iniziò la sua battaglia per emancipare la donna dalla schiavitù morale e materiale in cui viveva.
Per comprendere appieno l`importanza del lavoro della Salerno, occorre rifarsi a come andavano le cose nei primi anni del Novecento: il mondo agricolo, in subbuglio per l`iniquità dei patti agrari che gravavano su braccianti o mezzadri, contava sul massacrante e non riconosciuto lavoro delle donne: nei campi, nell`orto, nella stalla, a fianco degli uomini. Ad esso si aggiungeva la cura della casa, dei figli, dei mariti, degli anziani e dei malati. Nonostante ciò, non era permesso di maneggiare denaro né avevano garantito un minimo di istruzione. Alla morte di un genitore, in quanto donne, non potevano ereditare.
La situazione delle operaie nelle fabbriche, numerose nel vicentino, non era migliore: turni massacranti, condizioni igieniche pessime, paghe ridotte all`osso e molto inferiori a quelle dei maschi, mancanza totale di protezione sociale, niente cassa malattie né pensione o assicurazioni contro la disoccupazione.
Il vescovo di Vicenza, monsignor Ferdinando Rodolfi, cercò di affrontare i problemi sociali, contando sulla tradizionale solidarietà dei cattolici vicentini, scossi, come nel resto dell`Italia, dal contrasto tra aperti alla modernità e antimodernisti. Questi ultimi, maggioranza, erano ostili a ogni innovazione soprattutto in campo sociale: per aiutare i poveri, non c`era bisogno di reclamare diritti (il socialismo stava prendendo piede), bastava la carità .
La carità non basta
Per la Salerno bisogna fare molto di più. Con scritti taglienti e lucidi ` su «Il Berico» e su «Il vessillo bianco» (1905), con un romanzo autobiografico, Piccolo mondo cattolico (1908) e su giornali come «La donna e il lavoro» e «Problemi femminili» ` proclamava che la dignità della donna, disconosciuta anche dagli studiosi di Bibbia del tempo, doveva essere rivendicata e riconquistata dalle donne stesse, unite e solidali nella lotta contro le discriminazioni.
Alle donne doveva anche essere data la possibilità di istruirsi, perché la cultura è fondamentale per acquisire dignità e consapevolezza; e di lavorare fuori casa (accedendo a tutte le professioni anche maschili, con paghe uguali ai maschi), in armonia con il ruolo di moglie e di madre, contando in questo anche sulla collaborazione del marito. Quello che oggi in parte avviene.
La Salerno accompagnò le affermazioni con documenti e dettagliate ricerche sul mondo operaio femminile, realizzate soprattutto tra il 1909 e il 1912, grazie alla collaborazione di attivisti cattolici, sacerdoti, organizzatori sindacali e operai. Oggetto di indagine, le mondine, le lavoratrici a domicilio, le operaie dei setifici vicentini, del cotonificio Rossi, delle industrie dell`oro... Dallo studio uscì un panorama quasi disumano: operaie con meno di 14 anni, ambienti insalubri, paghe insufficienti, niente contributi e pensioni né cassa malattie e sussidi di disoccupazione.
Invocando una legislazione adeguata che garantisse lavoro alle operaie non prima dei 14 anni, paghe dignitose e uguali agli uomini, ambienti sani, 8 ore giornaliere, 15 giorni di ferie annuali, cassa malattie, sussidi di disoccupazione, pensione e la possibilità del part-time, la Salerno raccomandava alle lavoratrici di difendere i propri diritti unendosi in associazioni professionali di categoria «informate a uno spirito cristiano e profondamente cattolico».
Le «tradite», le prostitute
In scritti più recenti, come Le tradite del 1952, affrontò la piaga della prostituzione, che allora veniva esercitata nello squallore delle «case chiuse», denunciando l`atteggiamento discriminatorio della morale comune: i medici visitavano solo le prostitute quanto al rischio di diffusione delle malattie veneree, ma non i clienti che pure le potevano trasmettere: alle prostitute stesse o alle mogli ignare.
Sul problema delle ragazze madri cacciate di casa, che ella vide spesso entrare spaurite e umiliate nell`istituto accanto alla sua abitazione, ebbe parole di fuoco: a pagarne le conseguenze erano solo le ragazze, anziché scaricarle sollevando il «complice» da ogni responsabilità , la famiglia doveva essere obbligata ad accogliere con amore la futura madre, aiutandola ad allevare il proprio figlio.
Anche nell`adulterio la Salerno anticipava i tempi, considerando colpevoli in egual misura sia l`uomo che la donna. E sognava profeticamente una società migliore, nella quale la donna, grazie alla forza del sentimento, dell`amore e della sua particolare sensibilità , rendeva più umana la terra migliorandone leggi e costumi. Ma per questo, diceva, la donna doveva poter votare e, possibilmente, entrare in politica, agendo in prima persona sulle sorti di tutti.
Emarginata e umiliata
Per il coraggio delle proprie idee e per la passione che mise nel sostenerle (inviò anche lettere ad amministratori, vescovi, cardinali, perfino ai papi, quasi sempre senza ottenere risposta), Elisa Salerno pagò di persona, e non solo in termini economici. Se libri, scritti e giornali vennero pubblicati a proprie spese, con la piccola eredità lasciatele dal padre, per cui visse sempre in ristrettezze economiche, il lungo silenzio e l`emarginazione cui la costrinse la Chiesa, furono fonte di grande dolore.
Il giornale «La donna e il lavoro» pubblicato nel 1909, venne dichiarato «non cattolico» dal vescovo di Vicenza, monsignor Ridolfi, e cessò le pubblicazioni nel 1918, mentre il periodico «Problemi femminili» venne proibito nel 1925. Per due volte, inoltre, la Salerno venne privata dal suo vescovo anche dei sacramenti.