Come Cristo, Annalena ha dato la vita per i poveri che amava
Avolte avevauno sguardo difficile da definire, non distante o disattento, ma come aperto su un altrove che l'interlocutore faticava a localizzare, nello spazio e nel tempo. Annalena Tonelli, uccisa ai primi d'ottobre a Borama, nella sua Somalia, guardava talora il passato, spesso il futuro, sempre il presente. Realizzava ogni giorno progetti concreti, ma per spiegarli a volte parlava il linguaggio carezzevole dei sogni, e forse a loro si abbandonava, cosciente che l'utopia di oggi può diventare la realtà di domani. Anche quell'ospedale di Borama dove l'hanno uccisa e che aveva fondato (per curare, in particolare, la tubercolosi, ma in generale quella mortale malattia dell'Africa che si chiama miseria) lo sognava trasformato in albergo, perché sarebbe stato bello che un giorno non sia più necessario, come è accaduto ai tubercolosari in Europa.
Il suo non era un sognare ingenuo, ma la visione profonda dei precursori, accompagnata da un'intelligenza determinata e gioiosa e persino da un'allegria genuina, francescana si potrebbe dire, non priva di qualche guizzo di ironia. Calzava i sandali che le regalavano oppure andava scalza e di suo aveva uno scialle e un paio di tuniche e una volta, scherzando, disse a chi scrive che era più di quanto il Vangelo autorizzasse. Viveva da povera tra i poveri, da sfollata tra gli sfollati, da esule tra gli esuli, ma non si era mai ritenuta un'eroina né mai aveva considerato i suoi dei sacrifici: Non c'è rinuncia, rido di chi la pensa così. La mia è pura felicità , chi altro ha una vita così bella?, aveva detto in una delle ultime visite in Italia.
Durante la guerra civile
Chi scrive l'aveva conosciuta nei primi anni Novanta, quelli più acuti della guerra civile somala (ma tutti gli anni sono critici e duri per quelle popolazioni stremate, ignare da troppo tempo della pace), quando Annalena era un riferimento obbligato per chiunque giungesse dall'Italia per indagare quella tragedia e non volesse limitarsi ai bollettini ufficiali delle autorità locali o delle truppe italiane o di quelle statunitensi.
Già allora, come nei successivi incontri in Somalia, in Italia e in Europa - pochi per favorire lo sviluppo di un'amicizia personale, abbastanza da consentire una conoscenza non superficiale -, era stata una fonte preziosa per indagare la storia e le condizioni di quelle popolazioni. Lei c'era prima della missione dell'Onu (sui cui esiti aveva poche illusioni) ed è rimasta dopo. Quando era ripartita la gran parte degli occidentali - giornalisti e soldati, volontari e funzionari -, lei era rimasta, a servire il popolo che aveva adottato e che l'aveva adottata, ad alleviare tanti drammi individuali che concorrono alla tragedia collettiva della Somalia, del Corno d'Africa, del Continente, del Sud del mondo.
Di lei colpivano la fede in Dio e il rispetto dei valori umani, la pazienza scevra da ogni pigrizia e da ogni rassegnazione, il buon senso e la determinazione. Con risorse relativamente minime - che si occupava personalmente di trovare obbligando moralmente a contribuire molti di quanti incontrava - era sempre riuscita a fare miracoli. Se rapportato ai parametri del Nord ricco del mondo, è incredibile l'impatto positivo di cifre tanto basse sulle condizioni sanitarie delle popolazioni per le quali operava instancabilmente da oltre un trentennio. Il suo ospedale a Borama - duecento letti e settantacinque persone impiegate -, costa circa ventimila euro al mese, una cifra infinitamente più bassa di quella necessaria a un'analoga struttura nei Paesi ricchi, ma anche molto inferiore ai costi di altri ospedali nel Sud povero del mondo.
Alla sua morte, qualcuno ha scritto che la chiamano la madre Teresa dei somali. Forse è vero. Ma forse è solo una specie di appellativo postumo, una sintesi da giornale, uno slogan per suscitare emozione e, magari, per spiegare. Se si tratta di un omaggio, certo è sincero, ma anche superficiale e, in qualche modo, fuorviante. A chi scrive, la somiglianza tra queste due donne non è mai sembrata così evidente, se non per la fondante, persino ovvia, capacità di entrambe di riconoscere Cristo nel povero.
Certo, come tutte le persone di Dio, Annalena somigliava a Teresa nell'instancabile spirito di servizio e, per la verità , nel rispetto delle tradizioni culturali e religiose delle persone curate e incontrate. Della relazione tenuta da Annalena a un convegno organizzato, due anni fa, in Vaticano dal Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, a colpire molti degli ascoltatori, compreso chi scrive, fu proprio e soprattutto la testimonianza di un'evidente identità cattolica che si accompagnava a un assoluto rispetto per l'islam.
Ad accomunare queste due donne c'era, infine, l'abbeverarsi alla fonte della preghiera. Sotto quest'aspetto, vivendo tra popolazioni interamente musulmane, Annalena Tonelli negli ultimi anni fu forse meno fortunata di madre Teresa di Calcutta: al nutrimento dell'eucaristia poteva accostarsi solo quando si allontanava da Borama, o quando il vescovo di Gibuti la raggiungeva per celebrare la messa insieme. Entrambe, madre Teresa e Annalena, avevano comunque la fedeltà autentica al messaggio del Vangelo e il rispetto per la fede degli altri.
L'impegno politico di Annalena
Di suo - e di diverso - Annalena aveva l'impegno politico, nel senso alto del termine, la capacità di denunciare in ogni occasione la tragedia di un conflitto che l'Occidente, il Nord ricco del mondo, l'Italia, ex Paese coloniale, sembrano aver rimosso. Così come politica era la sua decisione a battersi per la sopravvivenza e l'affermazione dei diritti fondamentali di popolazioni stremate da anni di violenza insensata, dai guasti del precedente regime dittatoriale di Siad Barre, dalle cattive pratiche di cooperazione internazionale - che in Somalia, come forse in nessun altro Paese, sono state soprattutto un modo per arricchire oligarchie -, dagli interessi di Paesi e trafficanti occidentali, ma anche dai crimini dei signori della guerra somali, padroni di aree e di situazioni che non è improprio definire mafiose.
A tali condizioni, Annalena opponeva una personalità limpida, un comportamento ispirato realmente al Vangelo: un suo sì era un sì e un suo no era un no. E forse a ucciderla è stata proprio questa sua scelta di dire si o no, qualunque folle movente abbia armato la mano che l'ha uccisa. È possibile che tale movente non sia mai provato. A spingere l'assassino potrebbero essere stati rancori personali (Annalena aveva allontanato dall'ospedale impiegati disonesti e aveva rifiutato di assumere persone note per la loro corruzione). O forse qualcuno ha voluto porre fine alle circostanziate denunce dei signori della guerra fatte sempre e anche di recente da Annalena.
O magari si è voluta fermare la sua battaglia contro le mutilazioni genitali femminili che le aveva inimicato i gruppi estremisti che di islamico hanno solo il nome. Annalena era talmente rispettosa dell'islam da inserire nel suo ospedale persino una scuola islamica, dove i bambini ricoverati possono continuare a studiare, e la battaglia contro le mutilazioni la conduceva insieme all'autorità islamiche locali, impegnate a dimostrare che questa pratica non è conforme al Corano.
In ogni caso, quale che sia stato il suo movente, anche l'assassino di Annalena è un prodotto dell'abisso nel quale è stata abbandonata dal 1991 la Somalia, Paese ormai senza Stato, palestra desolata e focolaio permanente di violenza e di miseria.