Sfreccia l'economia Usa arranca quella europea
C'è una strana ripresa economica in atto, una ripresa che i cittadini europei non sembrano avvertire affatto. Una ripresa, dunque, invisibile. Sono ormai lontani i tempi dei miracoli economici di questo o quel Paese europeo, del boom dei consumi, delle spese più o meno spensierate. Oggi, il cittadino europeo sente il suo borsellino più leggero, la spesa farsi più pesante, gli affitti crescere. Eppure, le statistiche parlano di Pil (Prodotto interno lordo, la misura della ricchezza prodotta da un Paese) finalmente in crescita. Però i quotidiani titolano: 2004, il mondo riparte senza l'Europa. Sarà tutta colpa soltanto dell'euro, ovvero del super-euro?
È indubbio che la moneta unica europea si sia fortemente apprezzata rispetto tutte le altre monete e soprattutto quella che era sin qui la più potente misura di valore internazionale, il biglietto verde, il dollaro. Dopo la sua nascita, il 1° gennaio 1999, e l'effettiva circolazione, 1° gennaio 2002, e una iniziale discesa rispetto al dollaro, l'euro ha iniziato una progressiva risalita che l'ha portato ad apprezzarsi di più del 50 per cento, partendo dal suo minimo storico, nei confronti del dollaro. Quali le conseguenze? Una positiva: il freno all'inflazione sulle nostre economie (le materie prime sono pagate in dollari e quindi, petrolio compreso, sono diminuite), l'altra negativa: la minore competitività , dei nostri prodotti all'esportazione.
Ma sbaglierebbe chi volesse attribuire solo all'euro lo scarso dinamismo delle economie europee. Le cause sono ben più profonde e strutturali, si chiamano riforma del Welfare, del mercato del lavoro, della fiscalità , delle pensioni. Riforme così sostanziali e che incidono sulla vita e sulla stessa psicologia del cittadino europeo debbono essere fatte con l'accordo delle parti, senza misure unilaterali imposte dall'alto, e quindi richiedono tempo e pazienza.
Ma l'euro non può essere additato come capro espiatorio dell'indolenza o dell'incapacità ad agire correttamente. Anzi. Se noi italiani pensiamo alle vicende della lira, chiamata spesso all'estero la liretta, possiamo facilmente toccare con mano come l'euro ci abbia posti al riparo da svalutazioni a catena e dalle bufere finanziarie internazionali: immaginiamo che cosa sarebbe successo, con la lira al posto dell'euro, dopo i casi Cirio e Parmalat come contraccolpi esterni sulla nostra economia. Quindi, guardiamo più in là , allo scenario internazionale.
Quella degli Usa è ripresa sicura?
Il là lo danno , come sempre, gli Stati Uniti. Nel 2004 il loro Pil dovrebbe crescere del 4,6 per cento, un tasso di tutto rispetto per un'economia sviluppata, e più del doppio di quello previsto per l'Europa, che si ferma a un mediocre 2 per cento. Anche perché il tasso medio di crescita dell'economia mondiale dovrebbe spingersi al 4,5 per cento. In quest'ambito, l'Italia continua a mantenersi nella fascia più bassa, con una crescita dell'1,7 per cento.
Considerata l'importanza di traino dell'economia mondiale svolto dagli Usa - un motto dice: se gli Usa starnutiscono, l'Europa si ammala - è lecito interrogarsi sulla durata e sulla consistenza della ripresa economica del gigante statunitense. E qui i dubbi si infittiscono. La crescita sinora avviene con scarso aumento dell'occupazione e con nuovi posti di lavoro a salari più bassi. Il dollaro debole ha favorito le esportazioni, ma nonostante ciò il colosso americano presenta un twin deficit, un deficit gemello, sia un passivo commerciale - le importazioni contano più di quanto non si ricavi dalle esportazioni - sia un passivo del bilancio di governo federale. Questo raggiungerà proprio quest'anno il suo massimo storico di 521 miliardi di deficit, sul quale pesano anche, ovviamente, le spese militari per Iraq e Afganistan.
È facile arguire che il Paese più ricco del mondo viva al disopra delle sue possibilità , in quanto il suo enorme di-savanzo è finanziato dai forti acquisti di obbligazioni del governo Usa da parte di altri Paesi, soprattutto da Cina e Giappone. E il forte deficit è dovuto anche al taglio delle tasse attuato dal presidente George W. Bush, con l'intenzione di favorire i consumi interni.
Tre scenari della economia mondiale
A questo punto, gli economisti tracciano tre scenari per il 2004 e oltre. Riprendiamo quello sintetizzato dall'autorevole quotidiano francese Le Monde.
Scenario rosa: la ripresa si consolida in Europa e Giappone, rendendo più facili le riforme strutturali, e quindi un trend positivo sviluppato nel tempo.
Scenario grigio, detto anche allegro ma non troppo: la crescita è sì alle porte, ma viene frenata da problemi irrisolti, da crisi latenti in molte imprese - ricordiamo il caso Fiat - tanto da risolversi in un regime di crescita molle che ci mantiene in una specie di limbo.
Scenario nero: il dollaro continua a perdere di valore, anzi precipita. I capitali giapponesi e cinesi fuggono dal dollaro, si va verso una recessione mondiale, dagli esiti quasi catastrofici.
A quale di questi tre scenari dare retta? Gli organi di concertazione mondiale - anche se insufficienti e non sufficientementeindipendenti dal volere dell'unica super-potenza - esistono e possono esercitare un indubbio indirizzo. All'incontro fra i ministri delle finanze del G8 a Loca Raton, in Florida, del febbraio scorso, si è convenuto di cercare di frenare la caduta del dollaro, e da parte sua il rappresentante statunitense si è impegnato a dimezzare il proprio deficit di bilancio entro cinque anni.
Basteranno le buone intenzioni e gli strumenti attualmente a disposizione? È probabile che la ripresa Usa continuerà anche per ragioni elettorali - a novembre si vota per la presidenza - sino alla fine dell'anno, trainando le altre economie. Da parte loro, le economie asiatiche sono in pieno sviluppo.
Il boom della Cina non mostra segni di declino, anche l'India cresce a ritmi sostenuti, il Giappone ha ripreso a crescere, dopo dieci anni di ristagno.
E tuttavia, la nostra Europa non può continuare a sperare in una ripresa trainata da altri. Pena il declino, deve riprendere un suo ruolo di protagonista, proprio oggi che siamo alla vigilia di un allargamento di valore storico verso i suoi confini orientali.