Giovanni Paolo II condanna il terrorismo
Un po' tutti, commentatori autorevoli e no, grandi quotidiani e gazzette locali han dato risalto al messaggio di Pasqua di Giovanni Paolo II. Come sempre accade alla cronaca destinata a travasarsi nella Storia, le parole del Santo Padre vengono usate una volta ancora a sostegno di questa o quella tesi - o interpretazione -, sul terrorismo. Il nuovo terrorismo, per essser precisi. Nuovo sotto il profilo del metodo e degli strumenti perché anagraficamente, diremo, è vecchio, anzi vecchissimo. Qualcuno per spiegare i terroristi d'oggi che hanno per arma la propria vita: - si uccidono per uccidere - si rifà alla leggendaria setta degli Assassini. Costoro, comandati dal Grande Vecchio della Montagna, erano ismailiti che, venuti dalla Persia in Siria nel secolo undicesimo, uccidevano prefetti, governatori, califfi per affermare il primato ideologico-religioso dell'islam.
Ma quella che chiameremo la tecnica operativa del terrorismo odierno, postmoderno se si vuole, risale a ben guardare ai dettati della terribile organizzazione russa Narodnaya Volya (1878-1881): colpire alla spalle; colpire nel mucchio per portare la lotta a un più alto livello in forza d'una escalation senza misericordia; colpire figure-simbolo del campo avverso.
A motivare i populisti della Narodnaya Volya era l'odio per lo Zarismo autocrate. Il 1° di marzo del 1881 uccisero lo Zar Alessandro II; poi sparirono dalla faccia della terra. Letteralmente. Finiti per implosione, si disse. Probabilmente. Ed è probabile che la stessa fine facciano quelli di Hamas cui si deve il terrorismo suicida.
Le recenti catture di soldati ma altresì di civili in qualche modo compromessi con la guerra preventiva coniata da Bush (un tragico boomerang), ha rilanciato il terrorismo che sembrava avesse per pascolo la Palestina soltanto. La presa di ostaggi, anche questa pratica infame, si deve alla diabolica inventiva di Hamas, quel partito di Dio, di marca sciita, esportato da Khomeini in Libano e dall'infelice Paese dei Cedri successivamente trasferito in Terra Santa e ora riaffacciatosi alla ribalta dell'Area del Petrolio.
In occasione della Pasqua che celebra la Passione ma altresì la Risurrezione, una volta ancora Giovanni Paolo II ha condannato il terrorismo, la cattura degli ostaggi. Come sempre il Santo Padre, cristocentrco com'e, fa riferimento alla carità di Gesù, alla sua lezione suprema. Ma l'agnello sacrificale, negli atti e nelle parole del Papa, si fonde e confonde con la Chiesa di Roma potenza salvatrice in forza della sua spiritualità .
Giancarlo Zizola nel suo Les Papes du XXe siècle appena uscito in Francia e di prossima traduzione in Italia, puntualizza il messaggio di Wojtyla frutto d'una fermissima convinzione: il carattere centrale, se non supremo, della Religione sul piano etico, nel cuore della crisi contemporanea. Giovanni Paolo II ribadisce la convinzione, già più volte manifestata, che non è in corso nessuno scontro di civiltà , pur facendo intuire quale somma disgrazia sarebbe per l'umanità una guerra culturale. Da qui la necessità - ribadita - del dialogo, del perdono.
Prima dell'avvento di Wojtyla la Chiesa era mille miglia lontana dalla attuale presenza nel mondo. Denunciando gli orrori del terrorismo, dolorosamente, a Pasqua, il Papa non è sceso in politica come qualche frettoloso analista presume. La condanna del Papa è quella del Sacerdote, del servo di Gesù il Cristo. Gli uomini passano, le guerre non cessano e tuttavia la Beata Speranza non muore. Al buio segue sempre la luce: è Gesù a testimoniarlo. E Wojtyla lo ricorda a tutti i colpevoli e innocenti.