La pietà non conosce stagioni
I tempi tecnici che condizionano l'uscita d'un mensile, nel nostro caso il Messaggero di sant'Antonio, fan sì che i miei cari lettori si trovino a leggere un pezzo triste quando già s'annuncia la luce radiosa del Natale. Ma la pietas non conosce stagioni: allorché dal ripostiglio della memoria raggiunge il momento presente non si può sbarrarle la strada. Questo pezzo è stato scritto il 2 di novembre: commemorazione dei defunti, come è stampato nel calendario. L'autunno alto porta nuvole umide di tristezza ma c'è un grande luogo chiamato Sicilia dove nella giornata luttuosa si celebra la Festa (sì, proprio la FESTA) dei Morti.
I bambini siciliani, al risveglio, trovano sparsi per casa i doni che han loro lasciato i Morti (la Nonna Peppina, lo zio Gaetano eccetera), giusta la lista compilata dai bimbi. È usanza antica, arricchita da dolci speciali come le ossa di morto che poi son biscotti di marzapane con tibie di zucchero glassato. È usanza antica, nel tempo sempre più trascurata dalle famiglie abbienti convertitesi al presepio, all'albero di Natale, ma resta patrimonio culturale del proletariato e della sottoborghesia.
Altrove è la tavolozza vivida dei crisantemi a colorar di breve luce i camposanti, in Sicilia è il suono della trombetta lasciata dallo zio, il rollar dei pattini lasciati dal Nonno eccetera, è la felicità dei bambini gratificati dai cari morti ad aiutar quest'ultimi a brevemente evadere dal buio per celebrare coi vivi la festa del ricordo.
Ma quando, come adesso, non c'è pace sulla Terra e il mondo anziché produrre benessere produce cadaveri, elaborare il lutto si fa atrocemente difficile poiché troppo rapida a colpire è la Morte: troppo rapida e il massacro stravolge la conta, fa impazzire le statistiche. Le ultime, quelle del Fmi (un istituto che si occupa di alimentazione), ci informano che ogni otto secondi muore un bambino. Per fame. Quanto tempo dovremo attendere per conoscere il numero dei bambini ammazzati dal terrorismo, dal fanatismo ateo, dai bombardamenti a tappeto, dal lancio dei missili: non dico ogni otto secondi ma ogni ventiquattro ore?
Il Vecchio Cronista riflettendo sulla trascorsa festa siciliana che eccezionalmente rimuove la realtà della guerra implacabile nell'arare la Mesopotamia, e la Palestina - guerra senza fine mai: orrendo ergastolo partorito dalla nostra dimenticanza di Dio - il Vecchio Cronista osa scrivere che i morti non muoiono, non moriranno mai finché avranno cinque minuti (gli ultimi) in regalo dai vivi: per spiegarci la vita.
Il fatto è che, purtroppo esistono due realtà : quella dei vivi, quella dei morti. Quanta distanza corra fra l'una e l'altra non si sa. Sappiamo soltanto che per colmarla non basta un mediterraneo d'amore, di tenera pietà . Forse l'apocalisse di New York cui fa riscontro la carneficina di Baghdad, questa sconfinata tragedia postmoderna potrà aiutarci a capire restituendo alla paurosa millenaria parola, nel ricordo di Quattrocchi, di Baldoni, di Russo, di Puletti (dei nostri colleghi giornalisti, dei tanti compagni d'avventura senza nome), il suo significato. Della parola Morte, dico. Nel senso etimologico o cristiano del termine, ci spiega il Priore di Bose, Enzo Bianchi, Apocalisse è un alzar di velo, una rivelazione di ciò ch'è l'uomo.
Ma che fare se l'uomo, come grida Emil Cioran, è un mostro?