Il maremoto quasi un diluvio universale
La tragedia del maremoto ci pone, brutalmente, di fronte alla cosiddetta globalizzazione. A suo tempo lessi un bellissimo saggio del Cardinale Tettamanzi: coraggioso e colmo di speranza proprio nei giovani che, magari, vedono nella globalizzazione il pretesto filosofico per una rivoluzione vera e propria incentrata sulla possibile (?) instaurazione d'una società giusta e dunque eguale per tutti. Modestamente osservo che la globalizzazione era diventata una sorta di pelle di zigrino che chiunque poteva (può) tirare come e quanto vuole.
Così come esistono le medicine forti che curano mali terribili tuttavia provocando perniciosi effetti collaterali, esistono medicine alternative meno potenti ma a più ampio spettro, e i succedanei di sintesi, cosiddetti, assai diffusi: tutti non eccessivamente dannosi.
Quanto sopra, quale riferimento può avere rispetto alla globalizzazione? Vediamo. Sul periodico della benemerita comunità di Villa Nazareth, guidata con amoroso realismo dal Cardinale Silvestrini, Principe della Chiesa e Pastore, leggo un illuminante resoconto del seminario tenuto nell'estate scorsa, a Dobbiaco, sul cammino verso l'alto. Il seminario, guidato dal Cardinale, ha visto cimentarsi Moni Ovadia, teatrante dalle radici plurime, e inoltre Marco Revelli, Rosanna Virgili, Anna Quinzio Giannatiempo. Attenzione: in quell'estate il maremoto non esisteva nemmeno nella più scatenata delle immaginazioni. Dico questo perché c'è come una sorta d'intuizione dell'accadimento epocale nei ragionamenti del seminario.
Il maremoto ha colpito la nostra immaginazione, ha svegliato gli oscuri timori che ci portiamo dentro da sempre, ha annullato confini e distanze, insomma ha globalizzato la sciagura. Lo straniero, l'Altro (che oggi patisce la furia della Natura) è in noi - dice Ovadia - , e in relazione con l'infinito non vi sono favoritismi. Nel Levitico leggiamo che la Terra è di Dio e di essa gli uomini sono provvisori inquilini (Lv 25,33); nel Corano, quinta Sura, versetto 48, è scritto: Allah non ha voluto fare di voi una comunità unica (...) ma tutti a Dio tornerete.
Sulla figura dello straniero nel tempo della globalizzazione ha insistito Marco Revelli: La globalizzazione crea nuove inclusioni ed esclusioni sicché, oggi l'Altro è uno straniero ridefinito da confini socioculturali che ridisegnano i nuovi segmenti trasnazionali sulla base di distanze fisiche e sociali.
Il maremoto (una sorta di diluvio postmoderno) ha globalizzato il disastro, ricordandoci la fragilità invasiva del mondo in cui viviamo. La Quinzio ricorda Sartre quando afferma che l'uomo è un soggetto ferito, che il Nulla è entrato nell'uomo. L'uomo contemporaneo, tentato dall'orgoglio, presume di porsi superbamente al posto di Dio, di poter conoscere il bene, il male per giudicare.
Dio è dunque assente, dice la Quinzio, sicché la povertà assoluta, estrema è il non avvertire più questa assenza come mancanza. È questo il punto: la vita cosiddetta estetica, come riflette Kierkegaard, è destinata a concludersi nell'angoscia, nella disperazione. Il maremoto è il contenitore dell'angoscia, della disperazione.
La globalizzazione, in forza degli strumenti veloci della comunicazione, accorcia distanze, elimina confini, tutto mischia e divora.
Ma guai se non fossimo disperati. Poiché dopo viene la consolazione, sottobraccio alla rassegnazione: la vita continua. Kafka nella Lettera al Padre ha scritto: sogno di poter riportare il mondo come uscì (buono) dalle mani di Dio.