Con Giovanni Paolo II nel mistero della sofferenza
L'11 febbraio si celebra la Giornata mondiale del malato. Giovanni Paolo II è un testimone del valore salvifico del dolore vissuto cristianamente. Egli stesso, nel '94, dopo essere stato operato per la frattura al femore, disse che nel Terzo millennio la Chiesa di Cristo bisognava introdurla con la sofferenza, con l'attentato di tredici anni fa e con questo nuovo sacrificio. Da allora le sue condizioni di salute sono peggiorate, ma il Papa è ancora lì, caparbiamente a lottare contro la malattia, mostrandola al mondo senza timore, facendone anzi un punto di forza di quest'ultimo scorcio di pontificato. Jean Vanier è il fondatore delle comunità Arca e Fede e Luce dove accoglie, in tutto il mondo, persone malate: gli abbiamo rivolto alcune domande sulla sofferenza oggi.
Msa. Jean Vanier, la prima domanda che le rivolgiamo riguarda proprio il Papa: cosa prova di fronte alla testimonianza di quest'uomo?
Jean Vanier. Accostarmi al Papa, ascoltare la sua parola, osservare i suoi gesti è un'opportunità di conversione. È un'esperienza del cuore che è vita vera. Il 14 agosto 2004 ho avuto la grazia di vivere, accanto al Papa, il suo pellegrinaggio a Lourdes. Mi è stato chiesto di tenere le meditazioni sui misteri del rosario guidato proprio da Giovanni Paolo II. Alla fine il Papa mi ha chiamato a sé. Mi sono inginocchiato e ho affidato alla sua paterna preghiera tutti gli ammalati. Mi ha risposto con un sorriso, con un gesto di benedizione e con il dono della corona del rosario che teneva tra le mani. In quei grani è come se la sua Croce fosse divenuta tutt'uno con la Croce di tutti gli ammalati del mondo e viceversa. Se guardiamo il Papa, vediamo un uomo che porta la Croce su tutte le strade del mondo. Ma non è mai solo. A sorreggere quel Legno c'è una schiera incalcolabile di persone che, con la loro preghiera e con la loro accettazione cristiana del mistero della sofferenza, rendono possibile anche la sua missione.
Quando ci si imbatte nell'esperienza del dolore, inesorabilmente si va alla ricerca della risposta all'interrogativo di fondo: questa sofferenza ha un senso? Lei ha incontrato persone che le hanno rivolto una tale domanda. Che cosa ha risposto loro?
In questi anni ho cercato di rispondere con la mia stessa esistenza, testimoniando la verità che Dio è Amore. Se tu vivi fino in fondo questa verità , consolante ed esigente, tenera e forte, allora puoi davvero incidere sulla storia degli uomini che sono sulla tua strada. Le persone non hanno bisogno di lezioni elevate o di prediche. Hanno bisogno di amore e l'Amore - con la A - viene solamente da Dio. Le persone hanno bisogno di Dio. Non di me. Dunque io non ho risposte da dare e non ho soluzioni definitive ai drammi che quotidianamente abbraccio. Rispondo con l'Amore di Dio, consapevole dei miei limiti e delle mie povertà .
L'esperienza della sofferenza a volte avvicina l'uomo a Dio, altre volte lo allontana. Come spiega sentimenti così contrastanti?
L'amico che compatisce è lì per aiutare a continuare la strada con una piccola fiamma di speranza. Questa fiamma di speranza scaturisce dal Cuore di Dio e dona un senso alla sofferenza, ci fa scoprire che partecipiamo alla salvezza del mondo con Cristo crocifisso. Credo anche che non si possa avvicinare veramente la sofferenza se non si è sofferto di persona. È sempre un fatto di amore. Nessuno mai deve dimenticare l'Amore di Dio che entra nella nostra vita e, quando sembra sparire, è invece sempre presente. Succede molto spesso, infatti, che quando appare più lontano è in realtà più vicino e quando la notte sembra più nera in realtà la luce è prossima ad apparire. Anche a questa domanda, in verità , la risposta migliore la può dare Dio stesso accarezzando il cuore di chi vive il dolore. Basta lasciarglielo fare.
Alla luce di quanto detto, che cos'è il dolore per il cristiano? E come andrebbe vissuto per superare quel senso di inutilità della sofferenza che spesso accompagna la malattia?
Provo a rispondere con una storia di vita. Un ragazzo di undici anni aveva un handicap mentale ed era il giorno della sua Prima Comunione. Al termine della messa, durante la festa tra parenti, lo zio del ragazzo è andato dalla madre e ha detto: Che bella liturgia! Peccato che lui non abbia capito nulla. Il ragazzo ha ascoltato le parole dello zio e, con le lacrime agli occhi, si è rivolto alla madre: Non preoccuparti, mamma, Gesù mi ama così come sono. Noi pensiamo che Gesù ci ama se siamo bravi o impegnati. Questo ragazzo ha capito la verità perché è nel cuore del mistero di Dio che ha scelto i piccoli per confondere i grandi. È questo il mistero che noi cerchiamo di vivere nella Comunità dell'Arca e in Fede e Luce. Accanto ai sofferenti ho riscoperto il Vangelo e ho capito che i deboli sono davvero i nostri maestri.
Il mondo della sofferenza contiene in sé anche una singolare sfida alla comunione e alla solidarietà . Il Papa più volte ha invitato a condividere l'esperienza del buon samaritano, un'esperienza da lei vissuta e promossa? Che cosa l'ha spinta a fermarsi e a fasciare le ferite del prossimo?
L'incontro con chi soffre è un dono. È nel condividere la mia vita con Raphael e Philippe - i due amici con cui ho dato vita alla Comunità dell'Arca - che ho accolto dentro di me una nuova visione del mondo. Cerco solo, con l'aiuto di Dio, di vivere un rapporto di amore con ogni persona che soffre, cercando di dare legami, speranza, affetto. Vivendo con le persone con handicap mentale, scoprendo la loro debolezza, l'entità della loro sofferenza, ma anche la grandissima bellezza e la delicatezza dei loro cuori, ho capito ciò che ci rivela il Vangelo, la vicinanza tra l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo, tra Dio e il più povero tra i poveri. Posso dire una grande verità e un grande mistero: tra Gesù e i sofferenti c'è un'alleanza indistruttibile.
In un mondo tutto votato all'idolatria del benessere, l'esperienza della malattia viene emarginata perché non rispondente ai canoni della cultura corrente. Perché è così difficile accettare l'esperienza del dolore?
Perché non c'è più spazio per la tenerezza. È evidente che il nostro mondo è sempre più diviso tra quanti hanno successo terreno - ricchezza, potere, gloria - e quanti invece vivono l'esperienza della povertà e del dolore. È il momento di riscoprire la tenerezza. Le nostre vite sono cominciate con la tenerezza, con la fragilità del neonato che ha bisogno di tutto e termineranno, probabilmente, con la fragilità dell'anziano. Quando dunque incontriamo un nostro fratello più debole ci dobbiamo sentire chiamati alla conversione, a un cambiamento di visione della realtà . Sono convinto che la Comunità dell'Arca, Fede e Luce e le tante benedette realtà simili presenti nel mondo, costituiscano oggi un chiaro segno di contraddizione, una testimonianza di come sia possibile la comunione in un mondo che vede prevalere una triste cultura di morte.
Quale terapia lei indicherebbe per questa malattia spirituale del nostro tempo?
La terapia di Gesù. È Lui che tutti aspettiamo perché dà senso alla vita, nei suoi aspetti più dolorosi. Gesù ci dice: non cercare i valori effimeri, la ricchezza, la grandezza, l'ambizione, il potere, ma cerca la pace vera. Vediamo tanto sconforto intorno a noi, in questi nostri tempi insanguinati e confusi. E tutti aspettiamo Colui che può dirci: Ti amo, ho fiducia in te e voglio donarti la vita, la libertà , un senso nuovo. Gesù è Colui che si nasconde nell'ammalato e nel moribondo, nel disa- bile fisico e mentale. Il mondo oggi attende un Salvatore piccolo e umile che dia amore. La Comunità dell'Arca e Fede e Luce sono realtà piccole composte da piccoli. Vogliamo essere un segno dell'amore di Dio per ciascun essere umano.