Il Villaggio... perde il pelo ma non il vizio
Essì, perché da che il Villaggio è il Villaggio, anzi, da prima che il Villaggio fosse al Villaggio, che dico?, da prima ancora che il Villaggio si chiamasse Villaggio, mentre vagava dal Friuli (dove a Fanna, in provincia di Udine - ai tempi della seconda guerra mondiale - alcuni frati minori conventuali, guidati da padre Pio Populin, avevano cominciato ad accogliere nei locali della piccola parrocchia ragazzi orfani) a Padova, dove approdò subito dopo, in cerca di una sistemazione più adeguata per questi poveri ragazzi - nel frattempo anche cresciuti di numero - qua e là attorno alla basilica del Santo, fisicamente vicino a quell'Antonio nel cui nome e grazie alla cui provvidenza si stava dando vita a questa opera di carità (nelle sedi dell'attuale Casa del pellegrino e del convento che ora ospita la comunità dei frati impegnata al Messaggero di sant'Antonio); infine, nel 1955, a Noventa Padovana, dapprima negli ambienti a ben altro abituati della nobile Villa Giovanelli, e, dal 1960, finalmente, nel nuovo villaggio appositamente costruito per loro. Ebbene, se cambiavano la sede e persino i frati, non cambiavano assolutamente i protagonisti principali di quest'opera, conosciuta allora come Orfanotrofio Sant'Antonio e ora come Villaggio Sant'Antonio: i ragazzi, all'inizio chiamati orfanelli, ma pur sempre ragazzi!
E di ragazzi, piccoli e meno piccoli, ne sono passati davvero tanti per il Villaggio Sant'Antonio: la punta massima di presenze c'è stata nel 1969 con 401 ospiti (114 delle elementari, 189 delle medie e 98 dell'istituto professionale).
A ciascuno di loro, frati, suore (francescane missionarie di Assisi, sin dall'inizio maternamente a fianco dei frati, con cui tutt'ora collaborano), collaboratori laici (dal momento in cui anche il Villaggio ha cominciato ad aprirsi costruttivamente a questo tipo di collaborazioni, visto anche che la legislazione italiana sull'assistenza andava per fortuna cambiando con il cambiare dei tempi), hanno cercato di dare a schiere di scatenati ragazzini un'educazione completa (scuola, lavoro e tempo libero). Ma, soprattutto, la possibilità di sperimentare quelle relazioni significative senza le quali nessuno di noi diventa davvero grande e maturo, necessarie, cioè, per l'armoniosa crescita della persona.
Certo, secondo i tempi e le mode pedagogiche che erano altri dai nostri, e rispetto ai quali sarebbe anche troppo facile e scontato per noi sparare critiche e giudizi. Ma sempre con la passione e con la competenza umana e professionale che si poteva di volta in volta avere, avendo in testa i ragazzi e il bene di ognuno di loro preso singolarmente e, dove possibile, delle loro famiglie. O di ciò che di esse spesso, purtroppo, restava. Scuola elementare, scuola media inferiore, scuola di avviamento al lavoro (meccanica, falegnameria, grafica), banda musicale, squadra di calcio, teatro, vacanze al mare o ai monti: tanti progetti, in parte diversi tra loro, ma tutti ugualmente espressione della passione e dell'impegno del Villaggio per i più piccoli e bisognosi. Impegno, stando alle commosse testimonianze di tanti ex orfanelli ormai con i capelli bianchi in testa e felicemente nonni,abbondantemente giunto a buon termine. Tant'è che molti di questi ragazzi continuano a prestare la loro opera di volontariato e a ritrovarsi periodicamente tra di loro e con le loro famiglie al Villaggio. Al quale, nell'occasione di questo cinquantesimo, hanno pure fatto dono di una statua di sant'Antonio che fa bella mostra di sé nel piazzale d'entrata del Villaggio stesso.
Molti di loro, all'inizio giunti anche da regioni lontane dal Veneto, hanno potuto trovare al Villaggio quella casa, fatta senz'altro di mura, di un tetto e di un piatto di calda minestra (e pure di ciò c'era bisogno in quei tempi!), ma soprattutto di accoglienza, ascolto, compagnia e accompagnamento nella vita. E tanti frati e suore si sono inventati padri, madri, fratelli, educatori, animatori, insegnanti, allenatori, amici, confidenti, complici.
Insieme per costruire nuove opportunità
All'inizio le suore si occupavano dell'insegnamento, del vitto, della lavanderia e delle pulizie, mentre l'assistenza ai ragazzi era curata dai frati. Questo finché non vennero costruiti i nuovi edifici del Villaggio. In seguito, queste rimasero nella Villa con i più piccoli (scuole elementari) per i quali provvedevano a tutte le necessità , continuando con la cucina e la lavanderia anche per i più grandi.
Assieme, ragazzi, frati, suore e, successivamente, collaboratori laici, hanno con fantasia inventato e concretamente costruito giorno per giorno opportunità di crescita per chi sembrava invece sufficientemente scottato dalla vita da non aver più voglia di guardare avanti con speranza. Porte si sono aperte, possibilità si sono presentate, opportunità si sono concretizzate, pur con tutte le fatiche e le sofferenze inevitabili.
Come non ricordare padre Daniele, fra Francesco (tutt'ora felicemente di casa al Villaggio!), suor Lucia (in prima linea dal 1959 al 1969), suor Speranza (dal 1955 sulla breccia), e tanti altri che gli ex sanno (e anche Dio!)?! E come non fare memoria grata anche, tra i tanti che ci hanno già preceduti sulle strade verso il cielo, di padre Candido Lorenzoni, suor Ernesta Pesce, il professor Longarato, Mario Granziero?
Ma grazie anche alla generosità di molti devoti del Santo, che, attraverso le pagine del Messaggero di sant'Antonio, sin dall'inizio grande sponsor del Villaggio, venivano a conoscenza dell'esistenza e dei bisogni degli orfanelli di Sant'Antonio. E provvedevano, chi con l'evangelico obolo della vedova, chi donando di più, chi pregando.
1954: l'acquisto di Villa Giovanelli
Fu dunque il 10 giugno 1954 che il padre Angelo Beghetto, allora ministro provinciale, approvò l'acquisto di Villa Giovanelli col circostante ampio terreno, in Noventa Padovana, per allogarvi, in successive costruzioni, il Villaggio Sant'Antonio.
Per i francescani conventuali che vivevano e vivono presso la basilica di sant'Antonio a Padova, la disponibilità ad accogliere bambini e ragazzi era soprattutto un fatto che interpellava la loro identità e la loro vocazione a essere testimoni del Regno di Dio che viene e del Vangelo della carità . Minorità significava per loro essere minori ed essere con i minori della società : stare con loro, facendo tutto il possibile per la loro promozione umana, sociale e culturale; riconoscere l'altro come avente diritto al nostro servizio gratuito; condividere ciò che si ha con i fratelli bisognosi ed entrare in comunione con loro.
Il presupposto del loro stare con gli ultimi veniva loro direttamente da san Francesco d'Assisi, dal suo esempio a vedere l'originalità e la bellezza di ognuno, sia esso il lebbroso o il sultano; a scegliere i più poveri, tra i quali i frati devono essere lieti di vivere; ad aprirsi a un'accoglienza indistinta e mai giudicante, spalancando le porte del proprio cuore e della propria casa a chiunque verrà da loro, amico o avversario, ladro o brigante, che deve comunque essere ricevuto con bontà ; alla passione per la giustizia e per la pace anche nelle relazioni sociali ed educative. Facendoci voce di chi non ha voce, come avrebbe voluto papa Paolo VI.
Da allora il Villaggio Sant'Antonio accoglie la persona, qualsiasi persona, ma soprattutto i più bisognosi.Che Francesco d'Assisi avrebbe tutti ugualmente chiamati fratelli cristiani.
Essì, perché se la storia del cinquantesimo del Villaggio inizia con il classico c'era una volta..., prosegue decisamente, e con gioia, con il meno scontato: ...e ci sarà !. Ma questa è una storia che racconteremo una prossima volta, sempre da queste pagine.