Dall'orto di casa all'orto del Getsemani
L'orto di casa lo coltivava, con amore infaticabile, mia mamma. Mio padre vi faceva i lavori più pesanti, come la vangatura. Ma poi, era la mamma che lo innaffiava. Secchio dopo secchio, d'estate. Sempre con il nostro aiuto di figli. A volte volentieri, a volte sbuffando, come tutti i ragazzi. Ricordo un particolare, che mi ha plasmato: ce n'era in abbondanza di insalata e di pomodori. Per cui, volentieri, mia madre invitava od offriva alle vicine o alle amiche. Mio padre, però, era un po' più attento, misurava, a tratti brontolava per l'eccessiva generosità della mamma. Ma lei diceva che l'orto non è mai per una sola famiglia. È un po' come il mondo. Quello che si produce, è per il bene di tutti.
Una frase che oggi mille volte, in Calabria, mi trovo a ripetere, perché il gioco della vita è tutto qui, attorno a questa valutazione. Tu, per chi lavori? Per chi studi? Per chi combatti? Solo per te? E allora, dovrai fare alte le mura del tuo orto, forti le chiusure di casa, rigide le reti. E, pur se nell'abbondanza, il tuo cuore sarà sempre nella paura.
Se invece tu saprai donare, pensando a chi vive accanto a te, allargherai il tuo orto, anzi, il tuo cuore... e allora i frutti della terra si moltiplicheranno, oltre ogni misura. Quanto avrai donato, sarà centuplicato. Ben diceva Gesù, con una frase che taglia il mondo in due: Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà ; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà ! (Mc 8,35).
L'orto della mamma era l'orizzonte senza misura. Il segno del dono. In gratuità e letizia. Come in convento, durante il seminario a Verona o negli anni di Bari, dove avevamo un bell'orto, coltivato sempre con passione. Mi rilassava la mente lavorarlo dopo le ore di scuola, mi piaceva vangare a fondo, piantare in bell'ordine le aiuole, curare le serre. Un po' meno pulire dalle erbacce, quasi fosse tempo sprecato. Perché già intravedevo il raccolto, che, fiero, portavo in cucina. Ricordo le piante di insalata, per la gioia di tutto il convento. Ero solo a vangare. Tutti insieme, invece, a mangiare. Ma la gioia era intensa lo stesso. Perché sentivo che quelle ore di sudore facevano bella la casa. Lo sa bene ogni mamma. Se calcolasse quanto dona, ogni giorno, mentre spazza, lava, stira, cucina... non farebbe mai nulla. Perché - come diceva sant'Agostino - dove c'è amore, non c'è calcolo. Ma è tragicamente vero anche il contrario: quando entra in una casa il diavoletto del calcolo, tutto è finito. Le liti aumentano e le tragedie si avvicinano.
Certo, non deve mancare, in marzo, il momento della potatura. La forbice passa e taglia con gesti secchi e rapidi. La vite sembra ridotta a nulla. Perché il contadino non guarda al singolo ramo che cade, ma all'albero rinnovato. Non si ferma a osservare il tralcio a terra, ma già intravede, nel suo cuore innamorato, il grappolo maturo. Così è la vita. Così è per il dolore. Se ti fermi a osservare ciò che perdi, sarai sempre nel pianto. Come il tralcio, che gocciola lacrime amare. Se invece guardi oltre e sai intravedere il frutto, allora sarai capace di asciugarti le lacrime e avrai trovato una risposta, pur fragile, ma certa, al tuo soffrire.
Lo aveva detto bene anche Gesù: Dio Padre, è come un contadino, che sa bene quale sia il ramo da potare, perché ogni tralcio che porta frutto, lo pota, perché porti più frutto ancora! (Gv 15,2). A noi sfugge il perché. A lui, no. Perché il suo occhio è occhio di amore. E forse avrà avuto nel cuore proprio quest'immagine, Gesù stesso, in quella tragica notte al Getsemani, nell'Orto degli Ulivi. Orto di dolore, orto di semina nelle gocce del sangue, orto di consolazione nella disperazione. Orto di abbandono a una volontà di potatura, ma capace di redimere il mondo. Nella luce della Pasqua. Per il bene di tutti. Sempre!