Vuoi vincere il male? non averne paura
Dio mio, in che mondo viviamo! Quanto male, quanta sofferenza, quanti volti di fratelli e sorelle sfigurati. Quante storie drasticamente e violentemente interrotte, quanto odio che si insinua nei nostri cuori. Come se non bastasse, la natura fa il suo corso, come lo fa da secoli, che a noi piaccia o meno, dandoci altri lutti e altre tragedie. Inutile, secondo i nostri criteri, definire bello il tramonto e terribile il terremoto: l'uomo riesce a peggiorare tutto con ingegno diabolico, a rendere tutto più difficile, più... brutto.
È la nostra impotenza. Toccare quotidianamente la sconfitta dei nostri deliri di onnipotenza, sentirsi deboli, scoprirsi incapaci, piccoli e fragili... Niente ci può preservare da nulla, non siamo garantiti e rassicurati da nessuna appartenenza, da nessun conto in banca, da nessun colore della pelle, da nessuna presunta abilità . Da niente. Seppur partiti da stazioni diverse, e magari avendo viaggiato per tanto tempo in classi e con comfort diversi, il capolinea, inevitabile, immancabile e improvviso, ci aspetta tutti. Senza guardare in faccia nessuno (e neppure nelle tasche).
Come non riuscire a spezzarsi, travolti da questa lotta tra il bene e il male, che troppe volte abbiamo letto nei racconti fantasy o visto in tanti film dai mille effetti speciali? Come riuscire ad attraversare indenni, almeno il più possibile, tempi tanto difficili, salvando la parte più vera di sé, lì dove abita Dio in noi, lì dove risiede la nostra dignità e quella di tutti i nostri fratelli? Essì, perché una relazione altamente spirituale con Dio e con tutta l'umanità vissuta nella pace e nella sicurezza della propria stanza, be', non sarebbe poi tanto difficile: ora invece a ben altra ardua missione siamo ormai tutti chiamati. A non sottrarsi a nulla, a vedere tutto, ad ascoltare tutto, a lasciare che tutto ci attraversi, trovando in noi scaglie di misericordia, ancora prima che concetti di comprensione. A riuscire a sopportare il mistero di Dio.
Se tutto questo dolore non allarga i nostri orizzonti e non ci rende tutti un po' più umani, sarà stato inutile. Se tutta questa morte non ci avrà fatti aggrappare ancor più alla vita, sarà stata inutile. Se tutta questa violenza non provoca in noi un'azione uguale, ma contraria, sarà stata inutile.
Se tutto questo male non ci apre ancor di più alla promessa e alla speranza della sua sconfitta, sarà stato inutile. Se tutto questo marcire non porta abbondante frutto, sarà stato inutile.
Per questo, come fecero Francesco d'Assisi e Antonio di Padova, vorremmo anche noi unirci alla compagnia dell'Agnello, immolato, passato attraverso la morte, ma vittorioso. Lo riconosciamo senza ombra di dubbio perché trafitto (Gv. 19,37), perché ci mostra nelle sue mani il segno dei chiodi (Gv, 20,25). Riconosciamo i suoi compagni perché portano impresso il sigillo del nostro Dio sulla fronte (Ap 7,3), il tau di cui parla il profeta Ezechiele (Ez 9,4), a cui Francesco era così legato, vedendovi, nella forma di questa lettera dell'alfabeto greco, la stessa croce.
Questo sembrerebbe essere l'unico cammino che, transi-tando sotto il Calvario e approdando alla tomba vuota nel giardino lì accanto, sembrerebbe permetterci di riavvolgere di senso ciò che sembra non avere senso. E di essere in grado di affermare, paradossalmente e con tutta l'assurdità concessaci dal Vangelo, che la vita è comunque e sempre bella. Buona Pasqua, amici.