Una grande gioia che viene da lontano
«Cara mamma, qui il vitto è buono e anche delle condizioni di alloggio non ci possiamo lamentare. Con i miei compagni ci aiutiamo per superare i primi momenti difficili della nuova vita. Poi, se sapremo dimostrare attaccamento e disciplina, la caserma diventerà come la nostra casa, e i commilitoni come tanti fratelli. Così ci ha promesso il capitano. Ma c'è una cosa che mi rende particolarmente contento, oggi. Ho potuto indossare per la prima volta la divisa. È bella, davvero molto bella...».
Gianluca è orgoglioso della sua divisa. Con l'entusiasmo dei suoi vent'anni, dopo aver conseguito il diploma di scuola superiore, si è arruolato volontario nella Guardia di Finanza. E ha incominciato l'avventura di una vita nuova, di una carriera che da anni sognava: entrare nelle Fiamme Gialle, proprio come Flavio, il suo cugino più grande, e come zio Alfonso, ormai vicino alla pensione, per continuare una tradizione di famiglia.
Anna Maria, nella quiete della sua casa che si affaccia sul lungomare di San Benedetto del Tronto, sta leggendo la lettera del figlio. La pendola del soggiorno suona pigramente le ore. Sono le cinque del pomeriggio, e tra poco lei dovrà dedicarsi, come ogni sera, a preparare la cena per la famiglia, che ormai è fatta di sole tre persone: lei, Angelo, suo marito e Antonella, la figlia più piccola, dato che Gianluca ormai è partito, e non tornerà se non saltuariamente.
Gli occhi le stanno luccicando. Non sono proprio lacrime, ma un poco di commozione c'è. Stacca lo sguardo dalla lettera, si passa una mano sugli occhi umidi, appoggia la testa all'alto schienale della poltrona, e pensa. La sua mente è attratta da un ricordo lontano: lontano diciassette anni. Gianluca aveva appena compiuto i tre anni, era un bambino allegro e robusto, e sin d'allora, forse imitando qualche immagine vista in televisione, aveva imparato a fare il saluto militare, portando la manina grassoccia alla fronte e irrigidendo la schiena con buffa fierezza. Ma quel giorno, durante la passeggiata, il bambino non si era sentito bene. «Mi fa male tanto qui» diceva, indicando la testina, poi improvvisamente vomitò.
All'ospedale i medici del reparto pediatria, dopo accuratissimi esami, non ebbero dubbi: «Si tratta di meningite. È una forma molto grave». Di momento in momento la situazione precipitava. Il bambino peggiorò, la notte stessa entrò in coma. Dopo averlo vegliato fino all'alba, Anna Maria, istupidita dal dolore, esce dall'ospedale. Lì accanto c'è la chiesa di Sant'Antonio, già aperta alle prime luci del giorno. E nella chiesa incontra fra' Nazareno e si confida con lui. «Prega, non perdere la speranza. Non perdere mai la speranza», le raccomanda il buon frate. La speranza di Anna Maria è tutta nell'intercessione di un amico speciale. Cerca il suo altare, s'inginocchia. «Sant'Antonio, non ci abbandonare. Sant'Antonio, salva la vita del mio Gianluca».
Quanto tempo è passato da quei momenti terribili!
Anna Maria ne ricorda ogni particolare: il piccolo in isolamento, lei e il marito costretti a vaccinarsi per poterlo assistere, le notti che non passavano mai...
Ma ora tutto questo è soltanto un brutto ricordo: Gianluca una mattina si svegliò, aprì gli occhi e sembrò mandare un bacino alla mamma.
«Io non sono credente, ma questo sembra proprio un miracolo», le disse il dottore.
Anna Maria tiene fra le mani la lettera del figlio. Pensa a lui, a quanta strada ha compiuto la sua giovinezza dopo quel miracolo.
«Grazie, Sant'Antonio».