I vecchi? Ben più che un «bancomat» della memoria
Da quasi un decennio Fulvio Scaparro è una delle penne più brillanti della nostra rivista, sulla quale ha affrontato con maestria i grandi temi legati «alla fatica e al piacere di vivere». Di una parte di questi articoli, quelli dedicati alla vecchiaia, esce in questi giorni una raccolta, Vecchi con grinta, pubblicata dalle Edizioni Messaggero Padova.
Msa. Professor Scaparro, «Vivere bene fa bene» è il sottotitolo del suo libro Vecchi con grinta, in questi giorni in libreria. Che cosa vuol dire «vivere bene»?
Scaparro. Gli slogan hanno molti vantaggi, primo tra tutti l’efficacia dell’estrema sintesi, ma contengono anche qualche pericolo. Uno di questi è l’apparente indiscutibilità dell’affermazione. In questo libro, per «vivere bene» io intendo stare bene con se stessi e con gli altri, imparare a distinguere il poco che davvero conta nella vita dalla sovrabbondanza di superfluo. Il mio «vivere bene» tiene conto anche del benessere dei miei simili.
Perché ritiene che la vecchiaia sia un’età che merita di essere vissuta intensamente e non passivamente subita?
Il significato di «subire» confina con quello di «umiliazione». Da quando veniamo al mondo noi mostriamo di volerci stare attivamente. Nel corso della vita incontriamo ostacoli, difficoltà, frustrazioni. Crescendo impariamo che tutto questo fa parte dell’esistenza, ma cerchiamo di attrezzarci per reagire attivamente, per rialzarci dopo ogni caduta. In altre parole, cerchiamo proprio di non subire passivamente ciò che ci capita. Esistono tuttavia condizioni di salute, economiche, di età e di genere che in certe circostanze ci impediscono di reagire attivamente alle difficoltà. Anche quando non si è ammalati e poveri, talvolta diventare vecchi significa dover subire pregiudizi nei confronti della vecchiaia che ci impediscono di vivere appieno la nostra età. Vivere appieno significa lottare, amare, sognare, progettare e, come ho detto prima, stare bene con noi stessi e con gli altri.
In un passo del libro lei scrive: «Ogni persona deve essere messa in condizione di vivere fino all’ultimo un’esistenza che abbia per lei un senso. La semplice sopravvivenza non basta». E ancora: «Non bastano le parole per trasmettere questo messaggio, occorrono fatti e scelte». A quali scelte sta pensando?
Ammetto di non contare troppo sull’aiuto di chi ci governa, a ogni livello. Ci sono, in Italia, lodevoli eccezioni, ma a me sembra che la strada della vecchiaia, come quelle dell’infanzia e dell’adolescenza, siano lastricate di buoni propositi degli amministratori in tempo di elezioni, e piene di buche nel resto dell’anno. Conto invece molto sull’auto-organizzazione degli anziani visto che l’allungamento della vita ha accresciuto enormemente la popolazione ultrasessantenne valida e potenzialmente combattiva. Dovrebbero essere gli anziani stessi a proporre iniziative che li facciano sentire, come sono in realtà, utili, vivi e fertili nella vita della comunità e spingere affinché le proposte vengano realizzate. Centri di ritrovo, di svago e di cultura, società sportive, impegno nel volontariato, apprendimento delle nuove tecnologie ma anche insegnamento di abilità artigianali ai più giovani, guide turistiche, collaborazione con le scuole e con le famiglie, condivisione dell’appartamento con giovani studenti e lavoratori, e chi più ne ha più ne metta.
In che rapporto stanno vecchiaia e ricordi?
Un pregiudizio diffuso, purtroppo anche tra gli stessi anziani, vuole che la vecchiaia si nutra, per forza di cose, di ricordi. Non nego che una lunga vita produca uno sterminato archivio di memorie. Questo archivio dovrebbe però essere a disposizione di tutti, visto che nessuno di noi ha interesse a vivere come se oggi fosse il primo mattino del mondo e a fare a meno dell’esperienza di chi ci ha preceduto. Ma la vecchiaia non dovrebbe nutrirsi soltanto di ricordi. I vecchi sono vivi, quindi hanno un futuro, lungo o breve che sia, e dunque sperano, temono, sognano, progettano. Invecchiare per diventare, nel migliore dei casi, il «bancomat» della memoria, non è una bella prospettiva. I vecchi sono qui tra noi per progettare con noi il futuro.
In quale modo è possibile restituire valori positivi alla parola «vecchio»?
È difficile restituire a una parola i significati positivi che un tempo portava con sé. Ci vuole un mutamento culturale, una vera e propria inversione di rotta, perché la parola «vecchio» riacquisti connotazioni di dignità e prestigio. Non è un’operazione che può avvenire a tavolino. Occorrono fatti, azioni positive, continue e ripetute nel tempo, per smentire quanto di negativo si è accumulato negli ultimi decenni. I vecchi devono essere onorati, innanzitutto e per quanto possibile non allontanandoli dalle nostre case, facendo in modo che i più giovani comprendano che una famiglia e una società che esorcizza la vecchiaia emarginandola, è una società senza futuro. Non c’è nulla di più diseducativo di una casa, di una scuola, di una comunità che rispetta soltanto chi è giovane, sano, valido e produttivo. Si tratta di un boomerang che ci ritorna addosso ogni giorno ma di cui ci accorgeremo soltanto quando toccherà a noi entrare nel mondo dei vecchi.
la scheda
Scaparro in breve
Fulvio Scaparro, nato a Roma, è stato docente di Psicopedagogia, Psicologia dell’adolescenza e della devianza e Psicologia dell’età evolutiva. Scrittore e giornalista, è, tra l’altro, collaboratore e opinionista del «Corriere della Sera», e dell’«Avvenire».
A Milano, fino al 1992, ha ricoperto l’incarico di giudice onorario del Tribunale per i Minorenni e ha fatto parte della Sezione Minori e Famiglia della Corte d’Appello del Tribunale. Tra i fondatori, nel 1976, dell’Associazione italiana di psicologia giuridica, da anni è impegnato nella difesa dei diritti dei bambini e degli anziani. Ha fondato a Milano l’Associazione GeA-Genitori Ancòra a sostegno dei bambini e dei genitori separati. Per le Edizioni Messaggero Padova ha appena pubblicato Vecchi con grinta.