Il sapore della dignità
«Conosco molto bene la miseria e il dolore. Li conosco sin da piccola. Ricordo ancora il sapore amaro dei morsi della fame, il senso d’impotenza per non poter comprare le medicine a mia madre, le lacrime brucianti delle mie sorelle. Porto nel cuore, oltre che sulla pelle, le cicatrici di terribili violenze. Vengo da una famiglia poverissima. Eravamo in dieci: mamma, papà e otto figli, tutti analfabeti tranne il più piccolo che grazie ai miei guadagni è riuscito a studiare. Avevo appena 16 anni quando mio padre morì e mia madre dal dolore si ammalò. Io e le mie sorelle fummo costrette ad andare a lavorare nei campi. Un lavoro durissimo, in un ambiente molto difficile: io ero la più carina, ed ero continuamente sottoposta a molestie da parte del datore di lavoro e dei colleghi. Nel frattempo la mia sorella maggiore aveva raggiunto l’età da marito, mentre le condizioni di salute di mia madre continuavano a peggiorare. In casa non avevamo niente: né i soldi per affrontare le spese del matrimonio né quelli per comprare le medicine. Sempre più spesso andavamo a letto a stomaco vuoto. Un giorno non ce la feci più. Presi il coraggio a due mani e, con la morte nel cuore, mi recai, tramite un mediatore, nel vicino bordello dove iniziai la mia “nuova vita”, se vita si può chiamare. Furono due anni d’inferno: violenze, torture, prestazioni umilianti e senza alcuna protezione. Finché anch’io mi ammalai. Ma intanto, con il mio lavoro, con quelle 100-200 rupie che portavo a casa ogni giorno, avevo potuto curare mia madre e far sposare due sorelle. Io stavo sempre peggio, ma che importava? Grazie a me la mia famiglia poteva sopravvivere. Un giorno, credendo di abbordare un cliente, incontrai un uomo che accettò subito di entrare nel bordello. Ma una volta lì non si comportò come gli altri. Iniziò a farmi tante domande e io subito mi spaventai: “Che fosse un poliziotto?”. Invece faceva parte di un’associazione che aiutava le prostitute a uscire dal “giro”. Venne a casa mia, parlò con i miei familiari e ci propose di entrare in un programma finanziato da Caritas Antoniana che ci avrebbe aiutato ad aprire una piccola attività commerciale. Aderimmo con entusiasmo. Ora gestisco un piccolo negozio con il quale guadagno tra le 2500 e le 3500 rupie al mese, quel tanto che mi basta per mantenere la famiglia. E, finalmente, assoporo anche il gusto della felicità: quello di una nuova dignità recuperata di fronte alla mia famiglia e alla società».
Questa di Lakshmi è solo una delle molte storie di quotidiana redenzione cui assistono i membri dello Speed (Società per lo sviluppo economico ed educativo) di Gadwal, distretto di Mahabubnagar nello stato dell’Andhra Pradesh, in India. Quando Ravi Prakash, rettore del convitto maschile della parrocchia e presidente dell’associazione, si è rivolto a Caritas Antoniana per un sostegno economico aveva in mente solo una cosa: liberare dalla schiavitù e restituire dignità e speranza nel futuro a tante donne costrette a prostituirsi a causa della miseria. «Lo scopo del progetto – spiegava infatti nella sua lettera – è di aiutare cinquanta prostitute, promuovendo attività di generazione di reddito». Tradotto, significa attivare un circuito di microcredito grazie al quale aprire piccole attività commerciali per la vendita di fiori o verdura, riso, sapone o frutta. Il progetto prevedeva anche corsi di formazione per le future imprenditrici e, soprat-tutto, l’avvio di un’azione di sostegno psicologico di gruppo per liberarle dalla schiavitù sessuale, aiutandole a rielaborare in chiave positiva le difficili esperienze vissute.
L’apporto di Caritas Antoniana è stato di 7 mila euro, una cifra irrisoria, forse, per i nostri standard occidentali, ma sufficiente a restituire una vita degna di questo nome non solo alle cinquanta donne coinvolte nel progetto ma anche alle loro famiglie. Donne che oggi guadagnano una media di 3 mila rupie al mese, che possono nutrire e garantire un’educazione ai loro figli, possono far curare i familiari malati o addirittura – in dodici casi – hanno costruito una piccola casetta nella quale vivere con i loro cari.
«Grazie, Caritas Antoniana – così Lakshmi conclude la sua testimonianza – prego ogni giorno per tutti voi, perché Dio vi aiuti sempre a restituire dignità a tante persone come me».
info
il progetto in breve
2006
Avviamento attività imprenditoriali nel settore del commercio, per 50 donne ex prostitute. Totale: euro 7.000
progetti di giugno
Suor Denise: il nostro sogno si avvera
Il 5 giugno scorso è venuta a trovarci suor Denise Angotako, 38 anni, la giovane superiora della casa-famiglia per orfani St. Joseph di Isiro, nel Nordest del Congo, cui abbiamo dedicato uno dei progetti del 13 giugno di Caritas Antoniana. Timida e sorridente nella sua tunica bianco-candido, ringraziava e alzava le mani al cielo: «Non ci posso credere: è la prima volta che qualcuno ci offre una somma così grande per i nostri bambini. Sarà un miracolo, un miracolo» ripeteva scuotendo la testa mentre tratteneva le lacrime a stento.
Poi come un fiume in piena ha iniziato a raccontarci dei suoi piccoli: di Marcel, 4 mesi, che è arrivato pelle e ossa, di Juditte, 2 mesi, che poi è morta perché le davano da mangiare solo latte di palma, «troppo pesante per un neonato». E poi, loro, le suore, sempre affannate tra cambi e biberon: «Ognuna di noi mette a dormire nella propria camera un neonato per poterlo allattare durante la notte», notti di veglia seguite da giorni turbolenti e colorati: «Ora abbiamo 38 bambini, ne sono arrivati 6 ultimamente. Belli vispi» conclude la frase con un largo sorriso. «Sarà una festa anche per la comunità. L’asilo aperto ai figli delle mamme lavoratrici migliorerà la vita della nostra gente». Poi corruga la fronte e gli occhi si intristiscono: «Non immaginate quanti bambini rimangono soli a un anno o due, mentre le loro madri escono in cerca di cibo e di lavoro. Quante violenze e quanti abusi. Noi li proteggeremo, sì li proteggeremo. Grazie, davvero».