In difesa della lingua eterna
Dopo un periodo di oblio il latino è tornato di moda. Se ne occupa persino il «New York Times» quando consiglia ai candidati alla presidenza degli Stati Uniti di studiarlo perché, dice, è una lingua eterna che apre la mente e aiuta a leggere il passato e capire il presente. Ma torna anche a essere importante nell’ambito della Chiesa cattolica che, tuttavia, mai lo aveva completamente abbandonato. Esso tutela due aspetti del cattolicesimo: anzitutto l’universalità. Come diceva Thomas Mann, assistere a una messa in latino in Australia significa sapere che nella stessa lingua viene celebrata in Inghilterra e in ogni altra parte del mondo. Inoltre, l’uso del latino permette, a chi assiste a una liturgia, di coltivare il proprio senso del mistero, che è parte essenziale dell’esperienza religiosa. E questo lo sanno anche i musulmani che difendono le più antiche espressioni, anche linguistiche, della loro religione. Tuteliamo dunque il latino che, come osserva ancora il «New York Times», è sotto la pelle della civiltà occidentale. È ovvio che questa tutela, anzitutto per ragioni storiche, è affidata soprattutto alla Chiesa cattolica.