La 194 trent’anni dopo

Legalizzarlo non è stata solo una faccenda di donne, ma una profonda rivoluzione culturale della nostra società. E non è vero che, eliminando i figli non desiderati, l’umanità sia cambiata in meglio. Anzi.
23 Gennaio 2008 | di

La legge 194, che legalizza l’aborto nel nostro Paese, compie trent’anni. In Italia, come negli altri Paesi occidentali, lo Stato ha legalizzato l’aborto quando ha cominciato a divenire meno necessaria l’abbondanza della popolazione per motivi bellici ed economici. Le nuove armi, i nuovi lavori tecnologici, richiedevano sempre meno manodopera, e quindi il severo controllo sull’aborto avviato dalla legislazione napoleonica – la stessa che aveva dato inizio agli eserciti nazionali di popolo – poteva essere alleggerito. Infatti, secondo la legge di molti Stati, l’aborto andava perseguito solo quando era legato a un interesse materiale, non tanto come crimine in sé, a differenza della morale cristiana, che da sempre considera l’aborto un peccato molto grave, pronta però a perdonare le donne che si pentono.

Oggi che la legalizzazione dell’aborto è arri­vata al trentesimo anno, è giunto il momento di avviare una riflessione più ampia, che non riguardi solamente il fenomeno in sé – cioè se è veramente diminuito oppu­re no –, ma gli effetti più profondi che ha esercitato sulla nostra società. Perché, senza dubbio, la sua legalizzazione entra in contraddizione con il primo principio della Dichiarazione dei diritti dell’uomo: non tutti gli esseri umani sono uguali, se alcuni hanno il diritto di nascere e altri no. Permettendo l’aborto, inoltre, abbiamo aperto le porte all’ingegneria genetica. La manipolazione degli embrioni, infatti, che ne procura la morte in numero non indiffe­rente, può essere accettata, legalmente e culturalmente, solo in un contesto sociale in cui la vita non è difesa fin dal concepimento.


Legalizzare l’aborto non è stato, quindi, solo una faccenda di donne, una misura per prevenire i danni degli aborti clandestini, ma una vera rivoluzione culturale della nostra società. Che non si è mai fermata a riflettere su quanto si sia rivelata sbagliata la propaganda ideologica dei difensori dell’aborto e del controllo delle nascite negli anni Settanta: non è vero che, eliminando i figli non desiderati, e favorendo quindi la nascita solo di figli scelti e voluti dai genitori, l’umanità sia cambiata in meglio, come promettevano. Anzi, le nuove generazioni di «figli desiderati» sembrano essere più maleducate, egoiste e immature dei figli nati per caso, e accettati magari di malavoglia. Neppure l’accordo di coppia – che sarebbe dovuto migliorare, se non altro dal punto di vista sessuale, in quanto liberato dalla paura del concepimento – ha retto: l’ondata di divorzi ha cancellato anche questa utopia.


Ma non basta: la legalizzazione dell’aborto, che doveva andare di pari passo con la diffusione dei contraccettivi, avrebbe dovuto, secondo i suoi sostenitori, segnarne la scomparsa. Invece questo non è avvenuto, e non solo perché la contraccezione non è perfetta: il rapporto con la fertilità è ambiguo e contraddittorio, e non si può pensare solo come un desiderio o un rifiuto chiari e decisi. Ci sono donne che rimangono incinte perché inconsciamente vogliono vedere se sono sterili o no, altre che vengono prese dal panico quando si trovano ad attendere un figlio che pensavano di desiderare. La complessità della natura umana ha, su questo tema, mille diverse sfaccettature che possono trovare una norma solo sul piano morale, non su quello del desiderio.

In sostanza, ripensare all’aborto vuol dire non confondere la legalizzazione – ancora oggi accettabile come male minore per evitare gli aborti clandestini – con la legittimazione, cioè pensare che la legge fornisce la giustificazione, che diventa poi rapidamente banalizzazione, di un atto grave contro la vita. Si arriva così a considerare l’aborto, specialmente nella sua forma chimica (cioè come pillola), una continuazione della contraccezione, e a selezionare eugeneticamente i bambini migliori.





Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017