Medici e pazienti: amici o nemici?
I medici hanno diritto di decidere se prescrivere o meno una medicina ai loro pazienti? Possono esercitare l’obiezione di coscienza di fronte a una richiesta di aborto? Recenti polemiche sembrano avere messo in dubbio questa libertà, che era sempre stata considerata un diritto insindacabile, e questo fatto, insieme con molti altri, fa capire quanto sia cambiata la figura del medico negli ultimi decenni. Infatti, chi vuole limitare il diritto all’obiezione vede nel medico solo un tecnico che deve svolgere mansioni e servizi stabiliti – come prescrivere le medicine che il paziente richiede – e non piuttosto un esperto del funzionamento del corpo (ma anche della natura umana), capace di diagnosi e di consigli. Romanzi e film del passato ci parlano ancora di medici capaci di salvare vite umane e di diagnosticare malattie solo visitando il paziente, forti della loro esperienza, scientifica e umana insieme. Ma oggi questa figura di medico «di famiglia» non esiste più: è stata sostituita dal medico «di base» che svolge quasi sempre la funzione di prescrivere analisi e di smistare i pazienti dagli specialisti, scaricato ormai di qualsiasi responsabilità sulla vita dei suoi assistiti.
Il controllo del funzionamento del corpo del malato attraverso una visita, attraverso cioè un contatto personale, è stato infatti sostituito dalle analisi, dalle radiografie, dalle ecografie, dalla Tac, insomma da tutti quei sistemi tecnici che permettono di vedere dentro al corpo del paziente, e che per far ciò lo «spezzettano» in segmenti separati, dimenticando l’unicità della persona a cui queste moltissime sezioni appartengono.
Così è stato stravolto il rapporto personale e responsabile tra un malato e il suo medico, che prevedeva momenti di ascolto, sforzi di comprensione e capacità di comunicazione. Rapporto che era soprattutto una relazione tra esseri umani che si davano fiducia reciprocamente.
A questo snaturamento dovuto ai cambiamenti della medicina se ne è aggiunto un altro, di tipo legale: i progressi continui nel campo scientifico hanno fatto crescere molto le aspettative nei confronti dei medici, che dovrebbero sempre guarire i malati, senza sbagliare mai. Per cui molti pazienti o familiari di pazienti, se vedono disilluse queste aspettative miracolistiche, pensano sia colpa del medico, e intentano un’azione legale nei suoi confronti.
Ormai esistono centinaia di agenzie nate per assistere i pazienti delusi, che prosperano grazie alla recente possibilità di dividere tra avvocato e paziente il risarcimento così ottenuto. I giudici non addebitano mai ai pazienti le spese per le cause, e quindi le compagnie assicuratrici degli ospedali e dei medici sanno che, anche se hanno buone probabilità di vittoria, conviene loro patteggiare, e chiudere al più presto un procedimento che sarebbe comunque a loro carico. Ormai quasi ogni medico è stato raggiunto da un procedimento, e naturalmente i più a rischio sono i chirurghi. Per il 2006 si parla di quattromila procedimenti avviati, per un giro di affari che raggiunge i dieci miliardi.
Non ci dobbiamo stupire, quindi, se i medici oggi pesano ogni parola, se cercano di scaricarsi da ogni responsabilità descrivendo la situazione del paziente come molto più grave di quella che è in realtà – spargendo timori e angosce inutili – ed esagerando le possibili malattie o malformazioni di un feto, con il risultato, spesso, di spingere molte madri all’aborto terapeutico. Se il paziente è un potenziale accusatore dal quale ci si deve in primo luogo difendere – prescrivendo esami anche inutili e mandandolo da tutti i possibili specialisti per allontanare ogni responsabilità individuale – diventa molto difficile ricostruire una buona comunicazione tra medico e paziente. Indispensabile, però, per tornare a fare della medicina una scienza umana.