Verso nuovi stili di vita
Pronti, via! Per la terza volta il mese di settembre inizia con la celebrazione della Giornata per la salvaguardia del creato. Quasi una buona abitudine che si va radicando nelle coscienze dei credenti e crea solidarietà di vedute con molti uomini e donne del nostro tempo. L’ecologia, infatti, non può essere considerata un lusso per pochi, ma è ormai per tutti questione di sopravvivenza. La Terra è seriamente minacciata e il degrado ambientale si va sempre più globalizzando, mentre i soggetti che vengono maggiormente penalizzati in questa corsa irrefrenabile allo sfruttamento sono le fasce più deboli della popolazione: in molte nazioni del Terzo mondo i motivi di numerosi conflitti hanno una chiara componente ecologica.
Non a caso il documento dei vescovi italiani (Una nuova sobrietà, per abitare la Terra) parla di una triplice responsabilità: verso le future generazioni, innanzitutto, perché non si inneschino calcoli meschini per soddisfare solo bisogni immediati; verso i poveri (singoli e nazioni) che, oltre a portare il peso di una situazione di disagio e di emarginazione, rischiano di essere ulteriormente penalizzati dalla penuria e dalla cattiva distribuzione delle risorse; verso il mondo intero fattosi ormai villaggio globale e casa comune, per cui gli squilibri si ripercuotono e si amplificano a cascata.
Quali le soluzioni? Probabilmente non esistono ricette facili: a una crisi complessa e articolata non si può rispondere con semplificazioni e tanto meno con moralismi. Inoltre, prima di puntare il dito per dire cosa gli altri dovrebbero fare – anche se un dibattito pubblico che metta gli irresponsabili con le spalle al muro va per forza di cose attivato –, andrebbero analizzati e valutati quegli stili di vita che, soprattutto in Occidente, fanno a pugni con la retorica proclamazione di alti principi etici in rapporto all’ambiente. Rifacendosi al discorso formulato da Benedetto XVI nel giorno dell’Epifania 2008, i vescovi richiamano la necessità di «un nuovo stile di sobrietà, capace di conciliare una buona qualità della vita con la riduzione del consumo di ambiente». Non si tratta di un invito teso solo all’abbattimento intransigente di consumi materiali, a virare verso una stentata qualità di vita, a lasciar perdere – a denti stretti – le comodità con le quali ci siamo a lungo trastullati. La proposta è di spessore e indica una maggiore attenzione proprio alla qualità, alla sostenibilità, alla vivibilità del nostro quotidiano. L’invito, sostanzialmente, è di inserirci in dinamiche positive, che alla lunga ripagano. Da questo punto di vista l’Occidente è ancora troppo immedesimato nel ruolo del figlio prodigo della famosa parabola (cf. Lc 15) che ha chiesto al padre la propria parte di eredità e la sta dissipando.
Perché come cristiani ci sta a cuore, oltre ogni ideologia «verde», la questione ecologica? Perché, come scrive il pastoralista Luca Bressan, «il rapporto uomo-ambiente, la riflessione sulle risorse del pianeta è diventato il luogo a partire dal quale sviluppare una critica al pensiero dominante attuale sia sul versante sociale (lotta alla povertà, questione Nord/Sud), come su quello naturale (attenzione agli equilibri del pianeta), per giungere alla sua caratterizzazione culturale (denuncia del consumismo come stile di vita ingiusto dal punto di vista cristiano)». Insistere solo sul versante sociale potrebbe tramutarsi in una forma come tante di terzomondismo gridato; esclusivizzare e magari sacralizzare il rapporto uomo-natura rischia, d’altra parte, di evocare scenari paganeggianti o di enfatizzare il lato estetico della questione; colpire anche duramente il consumismo senza prospettare forme alternative e plausibili di stili di vita non è altro che gretto e inutile moralismo. L’austerità cristiana, che pure non è facile, è autentica quando è gioiosa, concreta e orientata al bene di tutti.