Da due a tre. Arriva il primo figlio

Il primo figlio aiuta a crescere. Dona l’opportunità di rileggere la propria vita con occhi diversi. Aiuta a comprendere meglio i propri genitori. Può regalare relazioni rinnovate.
24 Novembre 2008 | di

«L’ho capito dal primo sguardo al test di gravidanza: quel segno “+” avrebbe cambiato per sempre la mia vita. Anzi, la nostra vita, mia e di Andrea. Perché quel piccolo simbolo, appena decifrabile, conteneva in sé una forza dirompente: era una nuova vita che sarebbe venuta ad aggiungersi alla nostra. Un evento che mi procurava gioia e paura allo stesso tempo: a pensarci bene, lì, nella mia pancia, stava crescendo qualcuno…». A raccontarsi in questo modo è Anna, 28 anni, moglie di Andrea, 30, e da tre anni mamma di Giacomo. Figlio amatissimo, desiderato, eppure evento travolgente nella vita di questa giovane coppia, all’arrivo del primo figlio sposata da poco più di un anno.
Ma le cose non sono state diverse neppure per Monica e Luca, che quando sono diventati genitori di Benedetta avevano all’attivo oltre dieci anni di matrimonio e 36 di età. «I nove mesi della gravidanza sono stati scanditi da visite e analisi; dalla cameretta da preparare, la carrozzina da acquistare, il corredino da approntare. Ma che cosa realmente fosse un figlio l’abbiamo capito solo al ritorno dall’ospedale, per quanto prima ci fossimo preparati leggendo libri, articoli… Una volta a casa non avevamo più un minuto per noi: quel poco tempo che Benedetta ci lasciava tra una poppata e l’altra lo impiegavamo dormendo».

Insomma, che l’arrivo del primo figlio non sia un passaggio indolore per una coppia lo sanno tutti i genitori. «La nascita del primo figlio è considerata la transizione chiave del ciclo di vita della famiglia, e nella società attuale per molti aspetti sancisce anche l’ingresso nel mondo adulto – sottolinea Rosa Rosnati, professore associato di Psicologia sociale, Centro di Ateneo Studi e Ricerca sulla Famiglia dell’Università Cattolica di Milano –. Il legame con il figlio, infatti, è indelebile, nel senso che si è per sempre padri e madri di quel figlio. Questo aspetto ha assunto oggi un particolare significato a fronte del fatto che viviamo in un’epoca in cui il legame coniugale è segnato in genere dalla fragilità. Quindi c’è una sorta di contrapposizione tra un legame matrimoniale fragile e un legame genitoriale molto forte». Un legame così forte e centrale nella dinamica familiare, che sempre più spesso va a incidere negativamente sull’altro legame, quello di coppia. «Il pediatra di mio figlio, nel corso dell’ultima visita di controllo mi ha detto che oggi i bambini sono meno della metà rispetto a vent’anni fa, ma consumano più del doppio – racconta Elisa, 39 anni, mamma di Edoardo, 3 anni –. Posso capirlo: io lavoro fuori casa molte ore al giorno e alla sera, quando rientro, mi sento in colpa nei confronti di mio figlio. Così, anche se so che non è giusto, lo riempio di regali: cose piccole, con le quali però voglio “compensare” la mia mancata presenza. Questo crea problemi anche con mio marito: lui sta fuori più di me, ma non si sente in colpa! Per lui con la nascita di Edoardo è cambiato ben poco: lavora come prima, una volta alla settimana va a giocare a tennis con gli amici. Io invece, oltre ad aver ridotto il tempo del lavoro, non mi sogno nemmeno di andare una sera fuori con le amiche: sto già così poco con mio figlio, ci mancherebbe solo che gli sottraessi ulteriore tempo».

L’arrivo di un figlio porta a ridefinire i ruoli all’interno della coppia. Ruoli che nella coppia coniugale non si differenziano molto (il tempo dedicato al lavoro e agli interessi extrafamiliari quasi coincidono tra marito e moglie), cambiano radicalmente con l’arrivo del primo figlio: le madri tendono a concentrarsi sui figli e, quando così non è perché il lavoro magari non lo consente, le donne si sentono molto più in colpa rispetto agli uomini, culturalmente educati a dare priorità agli impegni extradomestici. Con inevitabili ripercussioni sull’unione di coppia, che possono portare a spiacevoli confronti («Io mi sacrifico; tu no»), a chiusure («Lei pensa solo al figlio»), a prendere le distanze sia da un punto di vista emotivo («È inutile che gli parli: per lui ormai sono solo la madre di suo figlio») che fisico («Se anche le vado vicino, lei è troppo stanca per reagire»).


Ricreare una rete

Le soluzioni non sono così immediate, ma nemmeno impossibili. Illuminante in tal senso la storia di Emanuele e Paola, genitori di Francesca, 2 anni. «Quando è nata Francesca io e mia moglie abbiamo attraversato un periodo molto difficile – racconta Emanuele –. Io mi sentivo trascurato: lei pensava solo alla piccola, pareva che non le interessasse più nulla né di me, né, in un certo senso, di se stessa. Era trasandata, non si curava più come prima». «Ma io non avevo tempo – gli fa eco Paola –. Lui non capiva che io spendevo tutte le mie energie tra allattamento, cambio dei pannolini e altre necessità di Francesca. I primi tre mesi non sono mai riuscita a dormire per più di due ore di seguito. Crollavo dal sonno: come facevo a star dietro a lui o anche solo a pensare a un parrucchiere?». Ad aiutarli sono stati degli amici. «Loro c’erano passati prima di noi: sapevano che cosa ci stava accadendo – insiste Emanuele –. E così hanno cominciato a offrirsi di tenere una volta ogni 15 giorni Francesca, alla sera per un paio d’ore. Col tempo poi le ore sono diventate tre, quattro. Adesso che Francesca ha due anni, almeno due volte al mese si ferma a dormire da loro: lei è contentissima, perché gioca con i figli dei nostri amici e noi abbiamo la possibilità di uscire a cena, andare al cinema, insomma di prenderci del tempo per noi, come coppia». «E noi – dice Paola – ogni tanto teniamo i figli dei nostri amici». Insomma, una sorta di gruppo di auto-mutuo aiuto tra genitori, sul modello delle grandi famiglie allargate di un tempo nelle quali tutti, in qualche modo, si facevano carico dei bambini di casa. «L’arrivo del figlio mette a dura prova l’equilibrio di coppia, nel senso che i coniugi devono riconoscere anche l’essere padre e l’essere madre del proprio partner – conferma Rosa Rosnati –. Il rischio è che lo spazio (spazio-tempo, ma anche spazio-psicologico) dedicato al figlio saturi completamente lo spazio familiare e quindi anche quello di coppia. Lo psicopedagogista Daniel Marcelli parla di un “bambino sovrano”, nel senso che il figlio viene messo in una posizione di privilegio all’interno della famiglia e attorno a lui ruotano tutta la vita e le dinamiche familiari».

I mesi immediatamente successivi alla nascita del primo figlio (che tecnicamente vengono chiamati «di transizione alla genitorialità») rappresentano in questo senso una fase molto delicata alla quale invece viene data spesso una scarsa attenzione. «Sarebbero molto importanti tutti quegli interventi preventivi che vanno a rafforzare il legame di coppia proprio in questa fase – spiega la professoressa Rosnati –. Un esempio? Sono stata chiamata a formare gli operatori che in ambito pastorale si occupano di incontrare i genitori nella preparazione al battesimo. A loro ho spiegato come questi incontri rappresentino un’occasione privilegiata per intervenire e per sollecitare una riflessione rispetto all’equilibrio così difficile tra genitorialità e coniugalità. E anche, perché no?, per creare rete, perché spesso le giovani coppie, soprattutto quelle che hanno avuto un figlio da poco, vengono lasciate sole, talora anche per problemi contingenti: hanno cambiato casa, vivono in un quartiere nuovo dove non hanno riferimenti, le coppie dei loro amici non hanno ancora figli… Ovviamente questa non è l’unica occasione: se ne possono inventare tante, come creare degli spazi di incontro quando i genitori portano i bambini al nido o alla scuola materna, e così via». Iniziative che hanno un valore importantissimo perché aiutano a prevenire le eventuali problematiche che possono sorgere successivamente e che hanno il loro inizio in una crisi di coppia dopo la nascita di un figlio. «La coppia va tutelata sempre – spiega ancora la docente –, perché è il filo rosso che lega insieme la storia familiare, perché esiste prima dell’arrivo dei figli, ne permette l’esistenza e continua anche dopo, quando i figli sono diventati grandi e sono usciti di casa. Ben vengano, quindi, tutte quelle occasioni nelle quali marito e moglie riescono a trovare dei momenti per loro: piccole cose che però permettono di mantenere vivo il legame di coppia e di non essere completamente fagocitati dalla cura dei figli. I figli richiedono molto tempo e molta attenzione, ma non sono l’unica cosa che esiste all’interno della famiglia».


Nuovi padri, vecchie madri

Per evitare contrapposizioni troppo forti tra i coniugi diventati neogenitori, molto importante è un’adeguata suddivisione dei compiti, che lasci a entrambi, oltre allo spazio di coppia, la possibilità di coltivare un piccolo spazio personale. «Quando poco più di un anno fa è nato Marco, ho scoperto un nuovo mondo – racconta Alberto, 30 anni –. Non avrei mai pensato di riuscire a rinunciare alla settimanale partita a calcetto con gli amici. Invece è stato tutto naturale. Volevo stare vicino a mia moglie, condividere per quanto possibile le sue fatiche, occuparmi di Marco in tutto e per tutto: dal preparagli il biberon a cambiargli i pannolini, dal fargli il bagnetto al cullarlo di notte quando aveva le coliche».

«Negli ultimi anni i ruoli all’interno della famiglia sono diventati meno rigidi – osserva la professoressa Rosnati –, nel senso che i padri sono molto più coinvolti nella cura della prole. Se però andiamo ad analizzare i tempi che uomini e donne riservano ai figli, ci accorgiamo che le seconde quasi sempre si spendono molto di più. Ciò significa che la parità tra padri e madri è soprattutto un’attesa culturale: oggi, a differenza di un tempo, ci si aspetta che i padri dedichino più tempo ai loro figli, anche se poi nella realtà non è sempre così». A carico della madre rimane soprattutto la responsabilità del compito di cura: la gestione del figlio (l’organizzazione del tempo, per esempio) spetta a lei, anche quando lavora full time. «È proprio questa la grande fatica delle madri di oggi: conciliare il ruolo materno con quello lavorativo. Tra le figure paterne, invece, c’è un’ampia variabilità: ci sono padri sicuramente molto coinvolti e altri che invece rivestono un ruolo ancora tradizionale. In generale quasi tutti sono molto più attivi rispetto a un tempo negli aspetti ludici. D’altra parte, i moderni padri non hanno un modello unico cui riferirsi, perché quello dei loro padri non è più considerato attuale, e questo se da un alto favorisce la loro creatività, dall’altro richiede un surplus d’impegno». Un impegno che l’innalzamento dell’età media in cui le donne hanno il primo figlio (salita ora a 31 anni) non facilita di certo. «Sicuramente il fatto che questa transizione familiare sia diventata oggi particolarmente critica è legata anche all’innalzamento dell’età delle primipare – prosegue infatti Rosa Rosnati –. Ora il figlio è scelto, non è più un accadimento naturale come lo era in passato, e questo, se ha degli aspetti molto positivi (la coppia ha consolidato il proprio legame, ha risolto alcuni problemi organizzativi come la casa o il lavoro…), per certi versi complica le cose: il figlio arriva in un momento in cui la coppia si è già stabilizzata, ha trovato una routine familiare solida e il suo arrivo rischia di andare a incrinare questo equilibrio. A una certa età, poi, la coppia fa più fatica ad adattarsi ai ritmi richiesti da un figlio: i bambini dettano i loro tempi alla vita familiare, non riescono a inserirsi in una routine già precostituita, la rivoltano, la rivoluzionano completamente e questo comporta una buona dose di fatica». Fatica che può essere alleviata dalla presenza di una buona «rete» familiare, oltre che amicale. «Di solito si assiste a un avvicinamento con le famiglie d’origine – sottolinea a riguardo la professoressa Rosnati –. Questo per motivi molto contingenti, perché la coppia molto spesso ricorre all’aiuto dei nonni per l’accudimento dei figli. Ma se da un lato si recupera una maggior vicinanza, dall’altro c’è il rischio che la vicinanza eccessiva si trasformi in intrusività, in uno scavalcamento dei ruoli che rende difficile agli occhi del bambino stabilire chi sono i genitori e chi i nonni».

La soluzione, anche in questo caso, comporta un compito aggiuntivo, fatto di capacità di mettersi in ascolto delle proprie e altrui esigenze, di dialogo, di comprensione reciproca: solo così sarà possibile negoziare una giusta distanza con le famiglie di origine. «Una volta stabilita la giusta distanza – conclude Rosa Rosnati – le opportunità superano di molto i rischi: il diventare genitori offre sempre l’occasione di guardare ai propri genitori con occhi nuovi, perché si ha in comune con loro l’esperienza dell’essere padre o madre. Questo può portare a rileggere in modo diverso anche la propria esperienza di figli e a comprendere e perdonare gli eventuali errori dei propri genitori: è una grandissima occasione di crescita e maturazione personale, soprattutto affettiva». Insomma, un figlio aiuta a crescere, come figli, come genitori, come nonni. E, con le dovute attenzioni, anche come marito e moglie.       


I libri

Evi Crotti, Alberto Magni,

IL CORAGGIO DI ESSERE GENITORI. Come cambia la coppia quando arriva un figlio

Mondadori 2008, pagine 166, euro 10,80


Alessandro Volta,

NASCERE GENITORI. Vivere con serenità l’avventura di crescere un figlio

Urra 2008, pagine 183, euro 13,00


Silvia Colombo,

CONFESSIONI DI UNA MAMMA PERICOLOSA. Pedagogia spericolata per bambini da zero a tre anni

Fazi 2008, pagine 172, euro 14,50

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017