Buone feste… muschiate!
Cari lettori, in questo numero dicembrino ho pensato di dare voce a un vegetale e, con lui, di augurarvi buone feste.
«Sono stato per molto tempo lassù, all’ombra di quegli abeti che ricoprono i dolci pendii alpini. Mi chiamano “Muschio”, sono un vegetale, e come tale non mi muovo; vivo e respiro dove sono nato. Come avrei potuto immaginare di avere un destino che non contemplasse la mia permanenza nel sottobosco? E, invece − nessuno lo sa meglio di me − la vita è imprevedibile! Ed eccomi qui a raccontarvi la mia storia. Come vi dicevo, ero lassù, tranquillo e rilassato, a gongolarmi nella mia bella superficie morbida, di un verde intenso e profumato, quando vidi un bambino, armato di uno strano attrezzo, che, chinandosi verso di me, disse alla sua mamma: “Mamma guarda! Questo muschio è davvero bello... Lo so che manca ancora tanto al Natale, ma portiamolo a casa per il presepe!”. E io, lì, attonito, a chiedermi che cosa fossero il Natale o il presepe… E prima di trovare anche solo l’ombra di una risposta, mi ritrovai bello disteso dentro una scatola di cartone prontamente sfoderata dalla donna, per vivere un inaspettato lungo viaggio.
Ogni tanto il bambino apriva la scatola, e così potevo rendermi conto di quanta strada stessimo facendo. Insomma, dalla montagna mi ritrovai in città, a riposare per settimane dentro la mia scatola, ricevendo ogni tanto le visite di quel bambino che seppi poi chiamarsi Claudio. Quando venne freddo, Claudio venne a prendere la scatola e la portò alla mamma che, aprendo il coperchio, mi rese possibile vedere e intuire qualcosa in più. C’era di fronte a me un abete simile a quelli del bosco, pieno di oggetti luccicanti e poco più in là scorgevo un tavolo su cui stavano, tutti composti in pose diverse, piccoli ometti di plastica, tra i quali c’erano pescatori, falegnami, pastori e donne con cesti. In tutto questo tripudio di colori e forme spiccava una capanna, con una mangiatoia piena di fieno, in cui dormiva beato un frugoletto tanto vivo, mentre i suoi genitori, ben fissati al pavimento ligneo, lo ammiravano a mani giunte. Intuii: era quello il Natale! Ma io cosa ci facevo lì? Pazientai qualche minuto e la risposta arrivò puntuale. Dalla scatola mi ritrovai nelle mani della mamma di Claudio, che, maneggiandomi con cura, mi dispose qua e là, davanti alla luminosa capanna, ai piedi di pescatori e pastori, sulle rive di un ruscello di alluminio e sotto le montagne di carta. Intorno a me era tutto “finto” o, meglio, artificiale. A parte il Bambin Gesù, ero il solo a essere vivo; cresciuto in montagna, ero stato trasportato lì per dare un tocco autentico a quella creazione, la quale, per la cura usata da Claudio e da sua mamma, doveva avere necessariamente qualcosa di sacro.
E adesso vi sto parlando proprio da questo bel tavolino, dal quale vi ho narrato di me e della mia storia, e di come ho scoperto che essere un vegetale non è assolutamente all’origine di una esistenza scontata. Dietro all’immobilità c’è una vita, c’è un modo di essere che forse non ci aspettiamo, c’è qualcosa di unico che può dare un tocco vivace e autentico a un contesto, una creazione che senza tutto questo sarebbe incompleta e molto meno affascinante. Ho sentito che ci sono delle persone vegetali. Ma anch’io lo sono. Ho sentito parlare spesso di una sensazione di limite, di negatività, di tristezza, e di aridità. Ma io, qui, sono vivo e sono felice come una Pasqua… anche se è Natale. Per me il trucco sta nel contesto: ogni elemento ha bisogno di essere collocato nella giusta situazione per manifestare tutte le sue potenzialità». Vi faccio una domanda: vi è mai capitato di fare nella vostra vita la parte del muschio nel presepe? Avete mai provato a cambiare contesto? Scrivetemi a claudio@accaparlante.it. E… Buon Natale a tutti!