Il trionfo dell’hamburger
C’era una volta la svizzera. Non la Svizzera in quanto nazione, che c’era, c’è e ci sarà, ma la svizzera in quanto polpetta. Era fatta di carne di vitello o di manzo, più o meno scelta secondo le tasche, tritata e manipolata dalle abili mani del macellaio e poi schiacciata da un apparecchio meccanico che faceva tante svizzere tutte uguali, piatte e perfettamente rotonde, pronte per essere cotte. Per la sua facile masticabilità era considerata umile cibo per persone anziane e bambini.
Ma un giorno, in pieni anni Ottanta, la svizzera scomparve e fu soppiantata dall’hamburger. Il nome, viene dall’inglese: hamburger steak, cioè «bistecca d’Amburgo». La moda viene dall’America.
Sembra soltanto un cambiamento di nome, ma c’è ben altro: la nuova polpetta è collocata con precisione geometrica dentro le due metà di un panino tutto speciale, morbido e piacevole al tatto. Il successo dell’hamburger, sospinto da colossali investimenti finanziari e ingenti stanziamenti pubblicitari, ha cambiato le nostre abitudini alimentari. Nella nostra vita è entrato di prepotenza il fast-food, che alla lettera vorrebbe dire «cibo veloce», ma in realtà significa molto di più: un mondo di colori vivaci, di gioco, di svelta disinvoltura, di allegria, che fa impazzire i ragazzi, e al quale non si sottraggono gli adulti e spesso le intere famiglie. McDonald, re del fast-food, è ormai universale e dà lavoro, in ogni angolo della terra, a 438 mila persone. Folle di giovani e di adulti, conservatori e progressisti, si buttano nei fast-food per consumare il loro hamburger, con le immancabili patatine. E per godere i frutti di una democrazia alimentare che consente l’accesso al ristorante anche a chi potrebbe avere qualche problema con il portafoglio. E con le posate.