Gli italiani? Arroganti e maleducati

Lo afferma un’indagine realizzata in esclusiva per il Messaggero di sant’Antonio dall’istituto demoscopico Astra Ricerche. I più viziosi? I politici, ovviamente.
27 Gennaio 2009 | di
Quali sono i principali vizi degli italiani, quelli cioè a un tempo più gravi e più diffusi? Quali le principali cause dei nostri maggiori «difetti» nazionali? E quali i gruppi sociali più colpevoli? A queste domande risponde una vasta indagine demoscopica, realizzata nella seconda metà del 2008 in esclusiva per il «Messaggero di sant’Antonio». Un’indagine basata su circa 700 interviste telefoniche a un campione rappresentativo dei nostri connazionali tra i 18 e i 79 anni, i quali ammontano a 45 milioni.
Il quadro che emerge da questo studio è per molti versi negativo, a volte angosciante.
Al primo posto troviamo la maleducazione, spesso sposata all’arroganza nei rapporti tra le persone: ben nove su dieci abitanti del Bel Paese puntano il dito contro questo vizio.
L’80 per cento denuncia un altro insieme negativo: quello formato da individualismo e consumismo materialistico, connesso all’egoismo della società contemporanea che ricerca ossessivamente i beni materiali, dimenticando ogni dovere (e piacere) legato alla solidarietà tra gli esseri umani.
Al terzo posto, col 77 per cento delle indicazioni, incontriamo il menefreghismo: quel misto di indifferenza e di assenza di responsabilità che pare attanagliare il nostro popolo, il cui cuore è troppo spesso irrigidito e il cui impegno etico nell’ambito sociale è ridotto ai minimi termini.
In stretta connessione, con un valore di poco inferiore (74 per cento), ecco quel tipo di degenerazione etica che si traduce nella disonestà e anche nella corruzione.
Considerando i primi quattro posti in «classifica», possiamo già fare una prima valutazione: la più aspra preoccupazione della gente riguarda in generale l’imbarbarimento della vita e delle relazioni interpersonali, fondato sul trionfo dell’«io isolato dagli altri» e sul venir meno dell’etica personale e collettiva.
Di diversa natura, ma in fondo non così dissimile, è il quinto macro-difetto della nostra gente, lamentato dal 71 per cento dei 18-79enni: si tratta dello scarso rispetto per la natura e per l’ambiente. In fondo, a ben vedere, siamo di fronte a un altro esempio di egoismo: questa volta riferito non agli umani ma agli animali, alle piante, alle risorse naturali all’interno del cui mondo si svolge la nostra esperienza di vita.
Gli ultimi quattro vizi hanno un peso inferiore, a partire dalla dipendenza da sostanze, e in particolare da droghe, contro la quale punta il dito il 53 per cento dei nostri connazionali, preoccupato e spesso indignato sia per i danni che tale schiavitù finisce per apportare a chi ne soffre, sia per le conseguenze – spesso nefaste – che la tossicodipendenza o dipendenze similari frequentemente infliggono ad altri cittadini del tutto incolpevoli (si pensi al caso degli incidenti stradali determinati da guidatori ubriachi, drogati, ecc.).
Il 49 per cento indica come vizio più grave il carrierismo e la competizione senza regole e senza freni, essi stessi determinati dall’egoismo, dall’insana volontà di potenza, dal considerare gli altri solo un mezzo per raggiungere i propri obiettivi oppure solo ostacoli sulla via del proprio successo.
Al penultimo posto in questa triste classifica ecco il dilagare tra gli italiani dell’immaturità e spesso dell’infantilismo. Si tratta – secondo il 47 per cento degli intervistati – di una sindrome sempre più diffusa, connessa all’indebolimento dell’approccio adulto alla vita, quello capace di accogliere e di valorizzare i limiti che l’esperienza umana inevitabilmente propone.
Infine il 42 per cento denuncia la crescita nella nostra società dell’intolleranza (a volte religiosa, a volte politica, spesso culturale, spessissimo sportiva): quell’incapacità di accettare e anzi di valorizzare la pluralità e la variegatezza delle opinioni e dei comportamenti che rende democratica e civile, oltre che moralmente solida, qualunque civiltà. Il rischio è quello del fondamentalismo, che non è attribuibile solo all’islamismo deteriore ma inizia a corrodere anche le basi delle nostre società giudaico-cristiane: il che avviene quando la sana convinzione della validità dei propri principi degenera nel non riconoscimento delle esperienze diverse dalle nostre, trasformando le fedi in aggressività anti-umana, la verità in arma letale.
 
Chi ha più vizi?

Contano poco le differenze per sesso, età, area geografica, titolo di studio, professione, e così via: l’intero Paese risulta coinvolto in un gigantesco allarme collettivo per la progressiva perdita di civiltà e, più profondamente, per la perdita della dignità personale, di se stessi, delle migliori caratteristiche del nostro popolo.
Diverso è il discorso per quel che attiene ai gruppi sociali che sono accusati di avere più vizi e vizi più gravi. Il primo fenomeno, già ampiamente noto, ha a che fare con la profonda caduta d’immagine della politica e dei politici, aventi l’assoluta leadership di questa classifica negativa. L’impressione è quella di un’immensa presa di distanza da un’attività, quella basata sulla gestione della polis, che ben sappiamo essere insostituibile e – se gestita in modo equilibrato – preziosa e nobile: tale presa di distanza riguarda tutti gli schieramenti politici.
Gli altri soggetti sono spesso criticati da percentuali assai simili, rilevanti seppur minoritarie. Un primo esempio è quello dei sindacalisti, degli imprenditori e dei banchieri, tutti e tre vicini al 40 per cento di «rifiuto sociale» per la loro comune identificazione con i difetti e non con i pregi del Paese: a conferma di un generale calo di reputazione di quasi tutti i gruppi sociali dotati di responsabilità.
Tra le diverse generazioni e classi di età, i giovani sono più criticati (dal 36 per cento) degli adulti (25 per cento) e ancor più degli anziani (solo 6 per cento): ciò conferma che il dominante vissuto collettivo è quello di un degrado iniziato col secondo dopoguerra e via via progredito. I vecchi, infatti, appaiono assai più immuni dal generale imbarbarimento rispetto alle nuove leve, penalizzate dal benessere senza valori e dall’individualismo senza solidarietà.
Alcuni gruppi professionali specifici soffrono di un livello di disistima piuttosto compatto: i giornalisti (35 per cento), i magistrati, i liberi professionisti, i commercianti (tutti attorno al 30 per cento), i pubblicitari (25 per cento). Si salvano invece alla grande i lavoratori dipendenti (i salariati e gli stipendiati), giudicati «marci» solo dal 9 per cento del campione, oltre alle casalinghe (severamente criticate da un ancor più basso 6 per cento).
Altre tre osservazioni meritano di essere fatte. Da un lato gli immigrati extracomunitari sono oggetto di severe reprimende da parte del 32 per cento del campione, ossia di un terzo di cittadini italiani, a ulteriore smentita della tesi che vuole i migranti responsabili del degrado del Paese. Dall’altro, i più gravi e diffusi difetti dei nostri connazionali sono addebitati più agli uomini (27 per cento) che alle donne (19 per cento), anche se certo non per gli stessi motivi che tradizionalmente portavano a dire in Italia «Ah, gli uomini, che mascalzoni!». Infine, i sacerdoti sono oggetto di riserve e a volte di dure critiche da parte del 28 per cento degli italiani adulti, collocandosi perciò nella parte medio-bassa della classifica. Emerge sempre più, quindi, la convinzione che il clero, gli uomini di Chiesa, non siano affatto immuni da vizi e manchevolezze, essendo a tutti gli effetti esseri umani (e dunque peccatori) come gli altri. Nel contempo, l’anticlericalismo che alberga in alcuni segmenti della popolazione non trova un particolare sostegno, proprio perché i preti, i frati, i religiosi in genere non sono certo considerati i portatori più gravi dei vizi nazionali.
 
Viziosi perché?

La terza area tematica oggetto di approfondimento è stata quella delle cause alla base dei «difetti» così diffusi nella nostra società. Ne sono state esaminate dieci, di cui sette sono indicate dalla maggioranza del campione.
In testa alla classifica – per il 74 per cento degli intervistati – troviamo la mancanza di valori, ossia quel vero e proprio «infragilimento» etico a cui si è già fatto cenno. È questo il filo rosso che raccorda quasi tutti i vizi più gravi e diffusi nella società italiana; un problema che nasce anzitutto dall’indebolimento dell’educazione dei giovani, sia da parte della famiglia (secondo il 73 per cento degli intervistati) sia da parte della scuola (67 per cento). Insomma, l’opinione largamente prevalente tra i nostri connazionali è che siano meno trasmessi, e quindi meno efficaci, i principi morali che, come una bussola, orientano la vita di ciascuno di noi e delle comunità di cui facciamo parte. Aver indebolito l’istituzione familiare e, insieme, quella scolastica ha fatto danni giganteschi secondo la valutazione dei più: danni che sono stati ulteriormente aggravati dall’influenza negativa dei mass media, a partire dalla televisione. Quest’ultima, più ancora della radio e dei giornali, costituisce una fonte di informazione e di ricreazione largamente utilizzata dai più; e non viene criticata in sé ma per la scarsa qualità dei programmi, i modelli trasmessi, gli stili di vita rappresentati, l’incapacità di parlare anche degli eventi positivi e non solo di quelli negativi.
Certo, il degrado morale che attanaglia l’Italia deriva anche da motivazioni economico-sociali: l’aggravarsi delle ingiustizie e le sempre più numerose difficoltà quotidiane secondo il 59 per cento del nostro campione rendono più ardua e spesso drammatica la vita di decine di milioni di italiani. Ciò è tanto più vero se tra le difficoltà del vivere si considerano non solo quelle materiali ma anche quelle psicologiche legate sia al disagio psichico sia alla solitudine che desertifica – per il 54 per cento – le giornate di tanti abitanti del Bel Paese (non solo anziani ma anche tantissimi adulti privi di qualcuno con cui confidarsi).
Su un valore identico (54 per cento) troviamo altresì la perdita del senso di solidarietà. Per la maggioranza degli italiani la società si sta slabbrando, come una tela sempre più lisa e forata: saltano i fili che ci legano gli uni agli altri. Questi ultimi divengono prima estranei, poi incomprensibili e infine nemici. Gli spiriti religiosi leggono in ciò la perdita dell’idea della comune umanità come comune somiglianza a Dio; ma anche coloro che sono alieni da una fede spesso avvertono dolore e dissenso nello scoprire il venir meno del senso d’appartenenza a un’universale fraternità.
In fondo a questa classifica incontriamo la fine dei grandi progetti di miglioramento della società nelle loro diversificate espressioni novecentesche. Senza entrare nel merito di queste ideologie, quel che 17 milioni di italiani lamentano è il fatto che le grandi speranze di trasformazione sociale siano venute meno, talché la società nel suo insieme ha perso progettualità, è venuta ripiegandosi sull’oggi e sul particulare, ha finito per arretrare, come sempre accade quando le prospettive esistenziali si fanno corte, prive di respiro, non animate da ideali forti.
Resta da chiedersi: nella crisi sin qui lungamente descritta, quale ruolo hanno giocato il clero e la Chiesa in genere? Un ruolo negativo per il 35 per cento degli intervistati: se i preti, i frati, le suore, la Chiesa nel suo insieme fossero stati e fossero più all’altezza della loro missione, le cose sarebbero andate e andrebbero meglio. Ma, appunto, la Chiesa è di questo mondo e spesso non riesce a sottrarsi ai suoi vizi diffusi o, almeno, non riesce a contrastarli con sufficiente determinazione: in particolare, secondo circa 15 milioni di italiani, essa non ha saputo adeguatamente opporsi al processo di degenerazione individualistica.
Peraltro, una percentuale quasi uguale (30 per cento) reputa, all’opposto, che alla base di molti vizi ci sia stata e ci sia la secolarizzazione della società italiana, con la conseguente minor influenza della cultura cristiana nella nostra vita collettiva. Qui, ovviamente, la critica attiene al «meno Chiesa», mentre quella precedente era incentrata su una «cattiva Chiesa»: i due orientamenti, però, si equivalgono e quasi si elidono a vicenda. Al fondo, la netta maggioranza del Paese si aspetta una Chiesa e un clero più presenti nel senso alto della testimonianza e dell’educazione collettiva, fuori dalle pastoie della cattiva politica, lontana dal potere e dai poteri, poveramente vicina alla semplicità rivoluzionaria del Vangelo.     
 
* sociologo, presidente di Astra Ricerche.
 
zoom
Dopo aver approfondito le virtù (cardinali e teologali) e i vizi (capitali), proseguiamo il nostro cammino di catechesi con i «nuovi vizi» degli italiani. Per farlo ci siamo affidati a un istituto demoscopico (Astra Ricerche) che ha condotto per nostro conto un’indagine dalla quale sono emersi nove vizi che, dopo questo numero introduttivo, analizzeremo in questo ordine:
maleducazione (marzo)
individualismo (aprile)
irresponsabilità (maggio)
corruzione (giugno)
non rispetto per l’ambiente (luglio)
dipendenza da sostanze (settembre)
competizione senza regole (ottobre)
immaturità (novembre)
intolleranza (dicembre).
In ogni numero dopo «La provocazione» di Umberto Folena, proseguiremo con un approfondimento catechetico/pastorale affidato ogni mese a una «penna» differente. Poi, una sorta di test del vizio («Di che vizio sei?») realizzato da Giovanni Ventimiglia. In chiusura, «Spunti di catechesi» a cura di don Tonino Lasconi.
Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017