Il «cammino» del Santo in Basilica
La venerazione che da secoli circonda il corpo di sant’Antonio e attira fedeli da ogni parte del mondo per pregare sulla sua tomba, tocca in questo mese uno dei culmini più rari e per questo più importanti della sua lunga storia. Dal 15 al 20 febbraio sarà infatti esposta alla pubblica venerazione la cassa di vetro contenente le spoglie mortali del Santo, prima che sia rinchiusa nuovamente nella rinnovata Cappella dell’Arca.
In breve vogliamo qui presentare la storia delle ricognizioni e delle ostensioni di queste sacre reliquie antoniane, cercando di comprenderne il significato alla luce della fede cristiana nella risurrezione.
Storia delle ricognizioni
La più importante ricognizione e traslazione avvenne l’8 aprile 1263, quando, terminata una fase decisiva della costruzione della nuova chiesa, si procedette a trasferirvi il venerato corpo. San Bonaventura da Bagnoregio, allora ministro generale dei francescani, presiedette la cerimonia. Nell’esaminare i sacri resti, prima di riporli in una nuova cassa di legno, si accorse che la lingua del Santo era rimasta incorrotta. A tale scoperta esclamò: «O lingua benedetta, che sempre hai benedetto il Signore e l’hai fatto benedire dagli altri, ora si manifestano a tutti i grandi meriti che hai acquistato presso Dio». In quell’occasione l’arca con i resti mortali del Santo venne collocata probabilmente al centro del transetto, sotto l’attuale cupola conica (detta dell’Angelo), di fronte al presbiterio. Dal 1263 al 1310 la sua tomba rimase dunque al centro della Basilica; incerta, invece, è la collocazione della tomba dal 1310 al 1350 (forse già nell’attuale Cappella dell’Arca). Dal 1350 in poi, il corpo del Santo fu sicuramente conservato in questa cappella, perché il 15 febbraio 1350 vi fu eseguita una traslazione solenne per opera del legato pontificio cardinale Guido di Boulogne-sur-Mer, nel corso della quale il corpo del Santo fu spostato nella posizione più vicina al luogo della sua prima sepoltura. Fino agli inizi del Cinquecento la Cappella dell’Arca era di stile gotico, affrescata con pitture di Stefano da Ferrara, lo stesso artista che dipinse la Madonna del Pilastro. In seguito la Cappella assunse la forma rinascimentale che conosciamo, ad opera di Sansovino, dei Lombardo, di Tiziano Aspetti e altri maestri del XVI secolo.
Nei secoli dal 1263 al 1981 nessuno mai aveva aperto la tomba di sant’Antonio. Fu solo il 6 gennaio 1981, in occasione del 750° anniversario della morte del Santo, che si procedette a una nuova e accurata indagine dei suoi resti mortali. Una commissione religiosa e una commissione tecnico-scientifica, entrambe nominate dalla Santa Sede, curarono l’apertura della tomba ed esaminarono quanto vi rinvennero. Rimossa la lastra laterale di marmo verde, si trovò una grande cassa di legno d’abete, avvolta in drappi. Essa conteneva un’altra cassa più piccola, pure d’abete, dentro la quale in diversi involti, sistemati in tre comparti, avvolti in drappi preziosi e con scritte indicative, c’erano lo scheletro, ad eccezione del mento, dell’avambraccio sinistro e di altre parti minori (da secoli conservate in reliquiari particolari); la tonaca; la massa corporis, il materiale organico ridotto a stato corpuscolare. All’esterno della grande cassa nel loculo che la conteneva fu trovata anche una lapide con le date della morte del Santo, della sua canonizzazione e della traslazione dei suoi resti dalla chiesetta di Santa Maria Mater Domini alla nuova Basilica. Inoltre furono rinvenute varie monetine e piccoli anelli.
La ricognizione del 1981 ha permesso di compiere adeguate indagini di carattere storico, tecnico-artistico, antropologico e medico, su tutto il materiale rinvenuto. Lo scheletro del Santo è stato in seguito ricomposto su un materassino e posato in una cassa di vetro, a sua volta rinchiusa in una bara di rovere e ricollocata nella tomba. I resti di sant’Antonio furono poi esposti, dalla sera del 31 gennaio alla sera della domenica 1° marzo 1981 (per un totale di 29 giorni) alla venerazione dei devoti, che accorsero in folle impressionanti: oltre 650 mila persone.
Attualmente sono esposti nella Cappella del Tesoro: la tonaca del Santo, le due casse in legno, la cordicella e due sigilli, i tre panni di seta rosso-cremisi ricomposti in piviale, i due grandi drappi dorati, la lapide, le monetine e gli anellini. Tutte queste «nuove» reliquie antoniane fanno da degno contorno a quelle più antiche e prestigiose, che si trovano nella nicchia centrale della Cappella del Tesoro: la lingua del Santo, la reliquia del mento e le cartilagini laringee. Non si pensi di vedere una lingua di colore rosso vivo. Ma ciò che si vede costituisce ugualmente un fatto inspiegabile, dato che si tratta di una parte anatomica fragilissima e tra le prime a dissolversi dopo la morte. Ora sono passati 780 anni dalla dipartita di sant’Antonio e quella lingua costituisce un miracolo perenne, unico nella storia e carico di significato religioso, quasi un suggello divino dell’opera di evangelizzazione da lui compiuta nella società del suo tempo e che ora spetta ai suoi frati di continuare.
Dal marzo del 1981 la tomba non è stata più toccata, ma il 12 aprile 2008, per le necessità derivanti dal restauro della Cappella dell’Arca, fu effettuato un temporaneo spostamento della cassa contenente le spoglie di sant’Antonio nella Cappella di San Giacomo situata dirimpetto a quella dell’Arca. Il cofano di rovere è rimasto chiuso, perché non erano previste nuove indagini scientifiche, e quindi non sono stati rotti i sigilli posti nel 1981. La cassa è stata poi custodita entro un moderno altare marmoreo, permettendo così la consueta visita dei fedeli e il gesto devozionale di «toccare» la sua tomba. Molte le ipotesi circa la destinazione finale di questo altare provvisorio: probabilmente andrà in India per diventare la «mensa eucaristica» di una chiesa dedicata a sant’Antonio.
Il 4 dicembre 2009, terminati i lavori di restauro, la Cappella dell’Arca è stata infine riaperta in tutto il suo splendore. Il 20 febbraio prossimo, la sera, il corpo di sant’Antonio sarà riportato e ricollocato nella sua sede tradizionale, dando però ai fedeli – per sei giorni, dal 15 al 20 – la possibilità di vederlo ancora una volta dentro l’urna di vetro che lo custodisce.
Significato di fede dell’ostensione
L’ostensione del corpo di un santo rappresenta sempre nella devozione un evento straordinario, che tuttavia va ben compreso. Molti si chiedono se oggi la fede abbia ancora bisogno di queste forme esteriori: si crede con il cuore o con la vista? E ancora: non c’è forse il pericolo di uno sviamento superstizioso, come se si trattasse di un ricorso magico a reliquie di un corpo pur sempre umano?
Non è facile rispondere a queste domande, ma sicuramente la fede ha bisogno di segni tangibili, vedendo e toccando i quali siamo portati a intuire la realtà misteriosa e ineffabile che sta oltre i nostri sensi. Ciò può avvenire in molti modi, e quindi anche nelle disclosure experiences di cui parlano gli psicologi e i teologi, cioè le esperienze di vita in cui «si aprono i cieli» anche per noi e si «vede» ciò che l’occhio fisico non può scorgere. In questo senso, come nel Vangelo di Giovanni, il vedere è sinonimo di credere e viceversa. Il discepolo che Gesù amava, entrato nel sepolcro vuoto «vide» i teli posati a terra e il sudario avvolto in un luogo a parte, e «credette» (cf. Gv 20,3-8). E ancora Giovanni, nella sua prima Lettera dice: «Quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che le nostre mani hanno toccato, quello che abbiamo veduto e udito, lo annunciamo anche a voi» (cf. 1Gv 1,1-3).
Se dunque vediamo il corpo di un santo, se tocchiamo il suo sepolcro, compiamo dei gesti che ci rimandano al corpo glorioso della risurrezione: se questo nostro fratello ci ha preceduto nella casa del Padre, anche noi sappiamo che quella è la nostra meta. La vita di un santo è parabola vivente, come lo fu quella di Cristo, il primogenito di molti fratelli: vedendo queste sante reliquie, abbiamo un segno concreto che ci richiama la nostra vocazione eterna e indefettibile. Come dice ancora Giovanni: «La vita si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna che era presso il Padre e che si manifestò a noi» (1Gv 1,2).
Per i cristiani la risurrezione del corpo fa parte integrante della fede, ma come ciò avvenga sfugge totalmente alla nostra capacità di comprensione. Che vuol dire un corpo «spiritualizzato», totalmente immerso nella realtà divina, eppure ancora segnato dalla individualità personale di ciascuno? Non lo sappiamo, ma vedendo la vita di Antonio i cristiani scorgono come in trasparenza la vita che è Cristo stesso, scorgono la propria vita come potrebbe e dovrebbe essere, ricevono incoraggiamento e fiducia nel continuare il cammino quotidiano, confortati dall’esempio e dall’intercessione del Santo che si fece ed è «amico» di tutti.