Il colore del coraggio
Com’è noto, il mese di marzo è dedicato tradizionalmente alle donne. Si tratta di un appuntamento importante per fare tesoro dello straordinario contributo che esse testimoniano nella società. A questo proposito è emblematica la figura di Rose Parks, eroina afroamericana nella lotta contro il segregazionismo. Deceduta nel 2005 alla veneranda età di 92 anni, è passata alla storia per un gesto clamoroso sul quale vale la pena riflettere. Era il primo dicembre 1955, quando, a Montgomery, in Alabama, questa minuta sartina diede il via alla protesta contro l’apartheid in vigore sugli autobus, rifiutandosi di cedere il posto a un bianco. Stando a quanto riferirono i cronisti del tempo, Rose era sfinita, dopo una lunga giornata di lavoro in un grande magazzino. Nella fila riservata ai bianchi i sedili erano vuoti e lei, con una sorta di coraggiosa movenza, si lasciò cadere sul più vicino, sfidando un sistema a dir poco iniquo. Poco dopo, il bus si riempì di bianchi e l’autista disse ai neri di lasciare i posti liberi. Tre uomini si alzarono, mentre lei, unica donna, rimase seduta, in silenzio, senza fare scenate. Ebbe solo l’ardire di scuotere la testa dicendo «no». L’autista chiamò due poliziotti che afferrarono Rose arrestandola.
I giornali la ritrassero come una «donnetta ingenua» che, per strane coincidenze della vita, s’era trasformata in una sorta di guida messianica, mentre invece lei sapeva fino in fondo quello che voleva essendo già da tempo attivista della «National Association for the Advancement of Colored People» (Naacp), un’organizzazione, creata nel 1909 da un gruppo di bianchi liberal e giovani intellettuali di origini afro, che si batteva per l’abolizione della segregazione razziale decretata dalle «Jim Crow Laws». Cominciò così la grande protesta che sarebbe passata alla storia come il «Montgomery Bus Boycott», esortando gli afroamericani a non servirsi dei mezzi pubblici urbani. La protesta riuscì a tirarsi dietro addirittura un giovane pastore battista che sulle prime esitò, chiedendo tempo per riflettere; per inciso, si chiamava Martin Luther King. Il reverendo, che aveva solo 26 anni, capì presto che la posta in gioco era davvero alta e senza riserve mise a disposizione la sua chiesa e il suo carisma. E da quel momento fu lui a incarnare le battaglie del «Civil Rights Movement», guadagnandosi addirittura la copertina del «Time Magazine». Lo sciopero dei passeggeri neri riuscì al di là di ogni previsione. Lunedì 5 dicembre viaggiarono sui bus di Montgomery solo 12 lavoratori neri: di solito erano 20 mila. Come sappiamo, la storia diede ragione a Rose: il grande boicottaggio si protrasse per ben 381 giorni e poco dopo la sua condanna (10 dollari di multa) la Corte Suprema, alla quale avevano fatto ricorso i legali della Naacp, dichiarò incostituzionali le norme di segregazione vigenti nello Stato dell’Alabama.
Per il suo straordinario impegno, a Rose furono conferite la medaglia del Congresso e molti altri riconoscimenti, mentre il bus del gran rifiuto finì nel museo Henry Ford di Dearborn (Michigan), proprio accanto alla Limousine scoperta sulla quale venne ucciso J. F. Kennedy. Un anno dopo, nel 1957, il Ghana fu il primo di una serie di nazioni sub-sahariane a ottenere l’indipendenza. Così proprio mentre una discendente di coloro che furono costretti ad abbandonare l’Africa per sudare sangue nelle piantagioni di cotone Oltreoceano accendeva le coscienze sul rispetto dei diritti civili, l’emergere di nazioni africane indipendenti segnava la svolta all’insegna del progresso e dell’uguaglianza tra i popoli. Ideali questi a cui, nonostante le miserie e le ingiustizie che affliggono ancora oggi il nostro povero mondo, sarebbe assurdo rinunciare. D’altronde, come disse Nelson Mandela: «Un vincitore è solo un sognatore che non si è arreso».