Il sapore di Dio

«Sia santificato il tuo nome». Ma qual è il nome di Dio? È un nome segreto, quello più importante, che è rivelato al singolo e che nessun altro conosce.
23 Febbraio 2010

Il Padre Nostro si apre con la parola più tenera, Abbà, e si chiude con la parola che evoca l’angoscia del dramma: il male.
Tra questi due estremi dell’esistenza umana, Gesù elenca sette richieste, modello di ogni domanda, verifica di ogni desiderio.
Le prime tre richieste si riferiscono alle «cose del Padre», le altre quattro a quelle dell’uomo. L’uomo si interessa della causa di Dio, e Dio è chiamato a prendersi a cuore la sorte dell’uomo. Come due che si amano, uomo e Dio si interessano ciascuno della vita dell’altro.

Ecco che cosa accade nel Padre Nostro e in ogni vera preghiera: una comunione, un mescolarsi, un misterioso scambio tra le cose del cielo e quelle della terra. L’orante con il Padre Nostro ormai cammina sulla terra «come una finestra di cielo, colmata d’azzurro» (A. Pozzi).
Sia santificato il tuo nome. Si tratta di una formula inusuale, con termini e grammatica estranei, lontani dalle nostre lingue moderne. Tuttavia nulla è così biblico come questa richiesta. Maria la grida nel Magnificat «perché il suo nome è santo»; l’hanno pregata Anna e il suo cantico, Isaia e la sua memoria dell’Esodo.
Per tutti i profeti, in tutta la Bibbia dire «il Nome» è come dire «il Signore». Ma perché chiedere a Dio che santifichi il suo Nome, se Lui è già Santo, se è il solo Santo? Perché è in noi, nella nostra storia che deve mostrarsi come santo. In questa storia che genera poveri, prigionieri, ciechi, oppressi. Sono i quattro nomi dell’uomo, afferma Gesù nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,18-19). Adamo è diventato così, per questo Dio diventa Adamo, per portare gioia, libertà, occhi nuovi, e strade nel sole. Venga allora la sua santità nascosta, germinale, appaia nel sole ciò che già pulsa nel profondo, diventi albero il granello. Venga quel di più che l’uomo non si può dare, intervenga Dio, Lui così diverso, Lui che non pensa i nostri pensieri e le cui vie sovrastano le nostre vie quanto il cielo la terra; venga e intervenga Lui, così nuovo, così altro da noi. Il grande teologo Karl Barth sintetizza così: «Che il Tutt’altro si faccia prossimo, perché la storia diventi tutt’altra da quello che è».


La Bibbia è piena di nomi di Dio: pastore, sorgente, fuoco, rugiada, vino, amante, braccio forte, carezza. All’Altissimo si addicono tutti i nomi. Un Salmo lo chiama «roccia e nido» (84,4), un altro lo chiama «sole e scudo» (5,13). Mille sono i nomi di Dio, ma c’è un ultimo nome, il nome segreto, quello più importante, che è rivelato al singolo e che nessun altro conosce, quello che solo tu sai pronunciare, il nome che dà a Dio la tua fede, un nome non fatto di suoni, ma di emozioni, è il tuo segreto tra te e l’Amato, il tuo sapore di Dio, nato dal tuo dolore e dalla tua gioia, che ti viene dall’averlo qualche volta sentito, in qualche modo sfiorato con le dita dell’anima.
È come quando due persone iniziano ad amarsi e si ripetono l’uno il nome dell’altra, e tornano nell’intimo a dire e ridire quel nome, perché in quel nome c’è la persona, tutta l’emozione di una presenza. Io devo santificare quel nome unico, vale a dire metterlo al centro della mia vita, non farne un simbolo sul muro, un ciondolo al collo, un dovere domenicale. Quanti cristiani sono credenti alla domenica e idolatri per il resto della settimana.
Questa prima domanda del Padre nostro, anteposta a qualsiasi altra, contiene un desiderio, in un certo senso il desiderio fondamentale di Gesù; da qui possiamo gettare uno sguardo sull’estrema passione della sua vita: che Dio sia preso sul serio!
Per l’uomo biblico il peccato fondamentale è l’idolatria, adorare «mammona», vendere la propria dignità, esiliare lo spirito, vivere di solo pane. Idolatria è un piccolo cuore, un breve desiderio, placare la sete di cielo con larghe sorsate di terra. Pregare invece è non vivere senza mistero.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017