Igino Giordani. Non amò mai il potere

Scrittore fecondo, giornalista, politico e testimone coraggioso della fede, cofondatore del Movimento dei Focolari. Eppure rimase sempre lontano da tentazioni di ambizione e potere.
26 Marzo 2010 | di


E le tentazioni, spesso assecondate, hanno fatto della nostra classe politica, una «casta», malvista per i troppi privilegi, l’arroganza, la litigiosità e la scarsezza di ideali, se non quello di arricchirsi. Con buona pace del bene comune. Questo pensa la gente. E le cronache della quotidiana corruzione le danno ragione. Tanto che il presidente dei vescovi italiani, cardinale Angelo Bagnasco, ha invocato «una generazione nuova di italiani e cattolici capaci di impegnarsi per il bene di tutti».
Ma la politica la si può vivere anche diversamente. Qualcuno l’ha fatto, e pur frequentando luoghi così poco rassicuranti, s’è persino fatto santo. Penso a Igino Giordani, di cui ricorrono in questi giorni i trent’anni dalla morte, che fu scrittore fecondo, giornalista, politico e testimone coraggioso della fede.
Per molti della mia generazione, Giordani è stato un maestro: alcune sue opere, come Il messaggio sociale del cristianesimo o La divina avventura, hanno accompagnato la nostra formazione. Leggevo i suoi articoli su «Città nuova», il mensile del Movimento dei Focolari di cui era direttore, per capire come stava andando il mondo (di solito male) e come sarebbe potuto andare (assai meglio) se la gente si fosse lasciata guidare dall’amore e non dall’egoismo, origine di ogni prepotenza.
Poi ho avuto la fortuna di incontrarlo, con il comune amico Gino Lubich, nella redazione di «Città nuova». Ricordo la sua affabilità, il sorriso franco, l’umiltà: espressioni abituali della sua bontà o, se si vuole, dell’evangelico amore del prossimo, valore fondante della sua vita. Maestro di giornalismo, mi aveva suggerito di vivere il mestiere che avevo intrapreso, il giornalismo appunto, come missione e testimonianza della verità e dei valori.

Dalle trincee alla Biblioteca vaticana

Nel 1919 accoglie l’appello di don Luigi Sturzo agli «uomini liberi e forti» a dar vita a un partito che rappresenti il mondo cattolico e i suoi valori, pace e giustizia anzitutto, in un momento di grande incertezza politica e di forti tensioni sociali. Fresco di laurea, mette a servizio del neonato Partito popolare l’intelligenza e la penna, brillante e tagliente, assumendo il ruolo di capo dell’ufficio stampa.

Come cristiano e uomo «libero e forte» non può approvare le derive dittatoriali del fascismo che ha preso il potere, e nei suoi libri, Rivolta cattolica (1925) in particolare, scrive cose che al duce non piacciono. Perciò viene brutalmente stoppato. Dopo soli quattro numeri, puntualmente sequestrati, è costretto a chiudere il mensile «Parte Guelfa» da lui fondato; viene poi radiato dall’Albo dei giornalisti, con divieto di insegnare nella scuola pubblica: «Un confino sociale e politico», come commenta lui stesso.

La Santa Sede, dove è conosciuto e apprezzato, gli offre allora la direzione della Biblioteca vaticana, dopo avergli fatto seguire un corso di biblioteconomia negli Stati Uniti, e poi la direzione di «Fides», il mensile dell’Opera per la preservazione della fede. Fa assumere come bibliotecario Alcide De Gasperi, e in un libro coraggioso, La verità storica e una campagna di denigrazione, lo difende dalla calunnia di essere al soldo dell’Austria. Insieme lavorano e si preparano all’avvento di tempi migliori. Che giungono con la caduta del fascismo.
Nel clima fervido della ritrovata libertà, Giordani è chiamato (1944) a dirigere «Il quotidiano», giornale dell’Azione cattolica, che sostituisce l’«Avvenire» troppo compromesso con il regime. Ne fa un bel giornale, con punte anche di settantamila copie, al quale dà il «la», intervenendo con noterelle polemiche quasi quotidiane. Lo lascia nel 1946 quando si candida all’Assemblea Costituente nelle file della Democrazia cristiana. Eletto tra i «padri costituenti», contribuisce a porre le fondamenta ideali della Repubblica italiana. Il partito gli affida la direzione de «Il Popolo», ma le troppe ingerenze sulle sue scelte editoriali lo inducono a dimettersi. Non gli piace essere un «direttore diretto».


Chiara Lubich e i focolarini

Ma ecco irrompere nella sua vita Chiara Lubich, la giovane trentina che nella sua città devastata dalla guerra ha fondato un Movimento di consacrati che vogliono cambiare se stessi e il mondo, vivendo gli ideali di amore e di libertà del Vangelo. L’incontro con Chiara avviene nel settembre 1948. Giordani, cinquantaquattro anni, sposato con figli, è conquistato dall’ideale di comunione e dal fervore spirituale di Chiara e compagni. Quello che vede e sente gli appare come l’approdo da tempo cercato: «Tutti i miei studi, i miei ideali, le vicende stesse della mia vita mi apparivano diretti a questa meta. Potrei dire che prima avevo cercato; ora ho trovato», commenterà in seguito.
Passa così, armi e bagagli, nelle file del Movimento dei Focolari. E che bagagli: colmi di esperienza politica, professionale, culturale e teologica (ha studiato a fondo i Padri della Chiesa). Ma anche di laico sposato e padre di famiglia, una novità nel Movimento, composto solo di consacrati. Sarà lui ad arricchire di contenuti dottrinali e culturali le intuizioni di Chiara, tanto da essere considerato cofondatore del Movimento dei Focolari. La spiritualità di comunione di Chiara gli cambia la vita. Gli amici quasi non lo riconoscono più. La sua stessa prosa, spesso infiammata dalla forza polemica, ora si fa pacata. Dialogo e comunione diventano i temi della sua ricerca e gli obiettivi della sua azione. Appoggia ogni iniziativa che serva a far nascere la concordia tra i popoli: dal Patto Atlantico all’unità del Vecchio Continente che, come membro eletto del Consiglio dei Popoli d’Europa a Strasburgo, contribuisce ad avviare. Dialoga con tutti, persino con i comunisti, che a suo parere non vanno demonizzati. In particolare dialoga, sulle pagine de «Il quotidiano», con il direttore de «l’Unità» Davide Lajolo. Gesti profetici, considerate pericolose ingenuità dai vertici del partito che lo invitano a desistere. Ci sono però in ballo valori ai quali Giordani non intende rinunciare. E allora, alle elezioni del 1953, gli tolgono l’appoggio e non viene rieletto. La verità è che la politica non è fatta per l’uomo che lui è: incapace di simulazione, sincero, pronto sempre a dire «pane al pane» sorridendo e senza acredine, capace di dar fiducia a tutti, a tal punto da sembrare in certi casi ingenuo. Ma la sua schiettezza è in realtà semplicità evangelica.


Una politica per una umanità nuova

Giordani non vive la mancata elezione come sconfitta. Ne approfitta per dedicarsi totalmente al Movimento, studiandone la spiritualità, che poi espone con organicità e chiarezza in un testo, La divina avventura, fondamentale per i focolarini. Aperto ai fermenti di rinnovamento che scuotono la Chiesa, se ne fa portavoce sia nelle pagine di «Città nuova» che nei suoi libri. Si interessa in particolare di ecumenismo – il dialogo tra i cristiani, divisi in decine di chiese – in vista di quell’unità invocata da Gesù, e del ruolo del laico nella Chiesa – sinora subalterno alla gerarchia – tema sul quale scrive un libro, Laicato e sacerdozio, che anticipa la rivalutazione che del laicato farà il Vaticano II. Continua a occuparsi anche di politica, fuori dal Palazzo. Il suo intento è di far emergere una cultura sociale e politica nuova, con orizzonti che abbraccino l’intera famiglia umana, e capace di preparare uomini disposti a vivere la politica – considerata l’organizzazione più alta dell’amore cristiano – come una vocazio­ne e in spirito di servizio al bene comune. Alla sua scuola crescono uomini disposti a tanto, che daranno vita ai nostri giorni al Movimento politico per l’unità. Giordani conclude la sua esperienza terrena a Rocca di Papa il 18 aprile 1980. Ha detto di lui Chiara Lubich: «Era tale in lui l’amore verso Dio e il prossimo, che ha impersonato davvero il nome col quale era chiamato nel Movimento: “Foco”, fuoco». I lavori del processo di beatificazione, avviati nel 2000, sono ancora in corso. Non resta che attendere.


Hanno detto di lui


Giovanni Paolo II. «Adamantino testimone della fede cristiana nel nostro tempo, mediante un’operosa vita esemplata sul Vangelo e numerosi scritti apologetici, densi di dottrina e di sapienza».


Padre Bartolomeo Sorge, teologo e politologo gesuita, già direttore de «La Civiltà Cattolica». «Un laico maturo, che ha vissuto nel cuore della Chiesa con profondità interiore, con apertura straordinaria sul piano culturale, sul piano dell’impegno storico, nei luoghi più difficili dove portare il Vangelo è impegnativo. La sua attualità quindi rimane grande. Sono doni che appartengono al tesoro stesso della Chiesa e dell’umanità, che vuole crescere, secondo la luce del Vangelo, in questo vincolo d’amore che fu poi anche il suo messaggio specifico sul piano sociale».


Sandro Pertini, Presidente della Repubblica. «Ero legato a Giordani da sentimenti di affettuosa amicizia. Ne ricordo oggi la figura nobilissima e l’alta coscienza morale e democratica».


Giulio Andreotti, senatore a vita. «Giordani fu un politico che si distinse per assenza assoluta di ogni punta di ambizione, per fedeltà al mandato, per rispettoso comportamento anche nei confronti degli avversari. Era – e lo si apprezzava tutti – un vero uomo di fede».


Giovanni Spadolini, storico, parlamentare repubblicano. «Igino Giordani fu uno spirito profondamente cristiano, apologista di fede cattolica, biografo, divulgatore instancabile. Non amò mai il potere e concepì sempre il servizio pubblico come funzione, come responsabilità».



Centro Igino Giordani

Nel 1985 Chiara Lubich fonda il «Centro Igino Giordani», per la conservazione della corrispondenza, dei suoi volumi editi e inediti.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017