Per Gabriele una vita da figlio
La sorpresa divenne doppia quando l’ecografia rilevò che si trattava di due gemelli: «Al momento l’unica preoccupazione era il pensiero di gestire contemporaneamente due neonati» ricorda Paola. Al controllo successivo, la dottoressa si fece seria, chiamò Carlo dentro l’ambulatorio e diede la notizia: uno dei due gemelli aveva una grave malformazione e non sarebbe sopravvissuto. «Mi disse che mio figlio sarebbe morto dentro di me – continua Paola –. Mi crollò il mondo addosso». Paola cercò gli occhi di Carlo, lui la guardò come se l’accarezzasse, per spronarla a sperare, per trasmetterle che insieme ce l’avrebbero fatta.
Dopo dieci giorni andarono al controllo. Mentre la sonda scandagliava l’addome e il cuore batteva «fuori giri», una frase gelò l’aria: «Ma questo non si è ancora deciso a morire!», esclamò la dottoressa. «In quel momento mi son sentita io morire – racconta Paola –: non potevo accettare che parlasse così di mio figlio. Non riuscii a far altro che mettermi a piangere, mentre lei mi spiegava che a questo punto dovevo io eliminare mio figlio malato per poter salvare l’altro. Mi parlò di aborto selettivo».
Tornarono a casa angosciati. L’ipotesi di eliminare il figlio malato era insopportabile: «Come avremmo potuto – si domanda ancora Carlo – vivere con quel peso nel cuore? Che cosa avremmo raccontato al figlio sopravvissuto? E, nello stesso tempo, come potevamo accettare di mettere a repentaglio la vita del figlio sano?». A quel punto era chiaro che non si trattava solo di una questione di salute: era un dilemma morale, che scuoteva l’anima, metteva in discussione tutti i valori in cui credevano. Ed erano soli, abbandonati a un crocevia. «Confidammo l’angoscia a un amico – racconta Paola –. Ci indirizzò a una persona che, a suo dire, era abituata ad affrontare questioni simili».
Per la prima volta Carlo e Paola incontravano la parola «bioetica»: solo ora capivano davvero che cosa significasse. «Dall’esperto di bioetica cercavamo una speranza per i nostri figli – spiega Carlo – e nello stesso tempo una soluzione che non prevedesse una morte procurata da noi genitori». Difficile descrivere quell’incontro. Per Paola fu come riprendere a respirare dopo una lunga apnea: «Ci propose una valutazione presso un centro specializzato nel trattamento della malformazione che aveva colpito nostro figlio. Sentivamo il bisogno di un’opinione autorevole e definitiva, ma soprattutto di una strategia che ci aiutasse a credere nel rispetto della vita». L’iter fu lungo e doloroso, ma alla fine nel tumulto dei pensieri si chiarì la via: «Ci confermarono – racconta Carlo – che per il gemello malato non c’era speranza di vita, ma ci dissero, allo stesso tempo, che non c’era alcun bisogno di anticiparne la morte».
Alcuni giorni dopo, Paola e Carlo andarono a pregare sulla tomba di Giovanni Paolo II. Incontrarono casualmente un conoscente molto vicino al Pontefice, gli confidarono il motivo della loro preghiera e lui li invitò a incontrare il segretario del Papa, don Stanislao, che proprio in quel momento stava celebrando la messa in una cappella vicina: «Fu un incontro fortuito – continua Carlo – che noi interpretammo come un segno della Provvidenza. Don Stanislao benedisse Paola e i nostri bambini, invitandoci ad avere fiducia, perché – ci disse – non saremmo stati soli nel nostro cammino».
Tornarono a casa il giorno dopo. L’esperto li aveva rassicurati che alcuni suoi colleghi avrebbero potuto seguire la loro vicenda in un centro vicino al proprio paese, ma che si sarebbero tenuti in contatto per ogni evenienza.
La gravidanza passò lenta, il parto cesareo portò alla luce due gemelli: Gabriele e Marco. «Gabriele restò con noi ancora quattro giorni – racconta Paola –, come già ci avevano detto, poi ci lasciò soli con Marco». Oggi Marco va a scuola, ma Carlo e Paola ogni tanto gli parlano di Gabriele e vanno a trovarlo lì dove riposa, accanto al nonno. «Qualche volta con Paola – racconta Carlo – ci scopriamo ancora con gli occhi lucidi, ma non sono più soltanto lacrime amare, perché ora possiamo ricordare che in quei giorni non siamo stati soli e siamo comunque riusciti a donare a Gabriele una vita da figlio».
(ha collaborato Giulia Cananzi)
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Per approfondire, a cura di Giulia Cananzi
Le scelte che aiutano a guarire dentro
L’esperto di bioetica risponde alle domande sollevate dal caso dei gemelli.
Msa. Un figlio malato, destinato alla morte dopo il parto, e un figlio sano, che rischia di morire se non viene abortito il fratello. Due genitori cresciuti credendo e scommettendo sulla vita, che si trovano a un bivio infernale. E si sentono soli. Che fare in questi casi?
Dei Tos. Regalare la vita a un figlio è il dono più grande che una coppia di genitori possa ricevere. Sottolineo la parola «dono» perché si ha l’impressione che oggi l’arrivo di un figlio sia considerato un diritto e una sorta di autorealizzazione della coppia; da questo equivoco nascono grandi frustrazioni e infelicità e, non raramente, conflitti etici rilevanti. È importante perciò che la coppia, nello scoprire il nuovo ruolo di papà e mamma, sia accompagnata da diverse figure professionali: il medico di fiducia, lo psicologo, fino al consulente etico se occorre. Oggi sia i consultori che i punti nascita degli ospedali sono in grado di supportare con efficacia il percorso della gravidanza e di orientare la coppia verso approcci più specialistici in caso di difficoltà. Anche se bisogna aggiungere che l’assistenza alla maternità non è uguale in tutto il Paese. Un ruolo importante possono svolgerlo anche i consultori di ispirazione cristiana o i centri di aiuto alla vita, diffusamente presenti in Italia, soprattutto dove dovessero emergere difficoltà che chiedono un orientamento sia tecnico che di discernimento etico.
Sia la frase («Questo non si è ancora deciso a morire!») che la proposta (aborto selettivo) della dottoressa non tengono minimamente in conto il disagio psicologico e la sensibilità dei genitori. Un’incapacità di ascolto che molti imputano alla classe medica.
La professione medica da sempre è una sintesi fra competenza tecnica e dimensione etico-relazionale. È vero che, a partire dalla seconda metà del Novecento, la medicina è diventata sempre più tecnologica, impoverendosi della dimensione etico-relazionale. Ciò genera nei malati un vissuto di abbandono e per la medicina un’immagine di «fredda scienza». Talora si dice che i medici abbiano perso la capacità di ascoltare. Tuttavia non si può generalizzare perché ci sono molti professionisti attenti e disponibili. È oggi diffusa in tutte le aziende sanitarie la consapevolezza del bisogno di umanizzare la cura. Per questo si moltiplicano le esperienze di formazione per medici e personale sanitario. Un processo di miglioramento a ciclo continuo che non può mai darsi per concluso e che deve coinvolgere soprattutto le nuove generazioni di professionisti. In questo senso è preziosa l’intuizione di lavorare sempre più in équipe, in modo da integrare nello stesso servizio competenze diverse, in un approccio multidisciplinare che consente di cogliere la complessità dei bisogni, compresi quelli meno espliciti di ricevere un sostegno e un orientamento sulla questione del «senso», che interroga le situazioni di fragilità e di vulnerabilità della vita.
Per i giovani genitori l’incontro con l’esperto di bioetica è un ritorno alla speranza, la certezza di non essere più soli a scegliere «la strada giusta», una cura dell’anima che alla fine permette di salvare il buono dell’esperienza negativa («…siamo riusciti a donare a Gabriele una vita da figlio»). È una strada consigliabile solo ai credenti o un percorso che aiuterebbe tutti?
La questione del «senso» non può essere circoscritta al significato religioso della vita. Chiunque è chiamato a interrogarsi sul significato delle proprie azioni e di come queste diano o no compimento alla propria vita umana. Le ragioni della vita coinvolgono tutti, così come tutti siamo coinvolti dalla fragilità e dal limite. Ogni giorno ci poniamo domande sul senso di ciò che ci sta accadendo. La risposta a queste domande è essenziale per recuperare la speranza e per poterci risollevare dalle cadute o rigenerare dal dolore che abbiamo subìto o provocato con i nostri errori. La dimensione etica ci consente di acquisire una visione sapienziale che, nella valutazione dei valori in gioco, ci permette di raggiungere una scelta serena e consapevole, capace di dare pace al nostro cuore. La serenità futura dipende sempre dalle scelte di oggi, soprattutto se esse sono state positive e propositive. La presenza della fede potenzia e illumina tutto ciò, ma la sua assenza non ci esime dal bisogno di speranza per una vita autenticamente umana.