«Grazie Messaggero!»
Il motivo di questo cambiamento? Devo dirvi subito che per noi frati è normale vivere una sorta di itineranza che ci porta là dove più è necessaria, di volta in volta, la nostra presenza, esperienza di vita e sensibilità personale. Aggiungerei, poi, che il ministero di ogni frate non è mai isolato e solitario, ma è espressione di una comunità che insieme progetta e conduce. Anche noi frati del «Messaggero», e con noi i confratelli della Basilica, esprimiamo insieme un identico apostolato per tutta la grande Famiglia Antoniana, assicurando una continuità e un’alternanza che non lasciano mai i nostri interlocutori privi di ascolto e di risposte, essendo appunto unico il cuore.
Quattro anni passati a vostro servizio non sono molti, ma sono stati per me sufficienti per sperimentare una grande e affettuosa compagnia spirituale con tutti voi, condividendo trepidazioni, gioie, riconoscenza a sant’Antonio. Quante volte in questi anni con i miei confratelli ho pregato per voi più volte al giorno. Quante volte abbiamo parlato con commozione delle vostre lettere e telefonate che chiedevano una preghiera per lenire una sofferenza, che ci raccontavano di una grazia ricevuta, che esprimevano apprezzamento per la rivista. E naturalmente tutto questo continuerà, come avviene ormai da centododici anni, da quando, cioè, il «Messaggero» esiste.
Detto questo, mi sento meno «in colpa» nello spiegarvi perché, in accordo con i superiori, sono passato ad altro incarico, con la premessa che, senza questi quattro anni al servizio del «Messaggero», non sarei quello che sono: l’esperienza è stata davvero forte e coinvolgente e per essa ringrazierò sempre sant’Antonio e tutta la sua grande famiglia.
Tante le opere unico il fine
Il «Messaggero di sant’Antonio», accanto alla Basilica, è forse la più importante opera di ministero che i frati conventuali di Padova svolgono in nome del Santo, ma non è la sola. Abbiamo infatti, oltre alla Caritas Antoniana – nata dal cuore stesso del «Messaggero» quale vera e propria mano caritativa di Antonio –, due presenze molto significative: il Villaggio Sant’Antonio di Noventa Padovana, nato dopo la guerra come orfanotrofio e poi evoluto secondo i bisogni della società, e la Comunità San Francesco di Monselice (sempre in provincia di Padova) che dal 1980 accoglie persone con problemi correlati all’uso di alcol e di droga. A suo tempo io stesso, insieme con il confratello padre Luciano Massarotto, ho avuto l’avventura di essere tra gli iniziatori di quest’ultima realtà, che nel tempo è andata crescendo, e di cui si constata ancora la necessità. Ho servito questa comunità di accoglienza per un lungo tempo prima di essere chiamato ad altri incarichi in differenti contesti. In qualsiasi luogo io sia andato, però, ho avuto la fortuna di maturare esperienze ispirate all’azione caritativa e sociale di sant’Antonio. Ho così capito che tutte le attività dei frati sono guidate da uno stesso spirito unitario: esse sono, tutte insieme, un segno vivo della presenza di Antonio, conforto per le non trascurabili sofferenze individuali e familiari, così frequenti nella nostra società opulenta ma infelice. Ed è precisamente per poter continuare tutti insieme a dare vita e storia a queste presenze che noi frati ci spostiamo dove possiamo dare il meglio di noi, sempre nello spirito di sant’Antonio.
La Comunità San Francesco
La Comunità San Francesco, con varie sedi nel territorio, ha maturato programmi per il benessere personale e spirituale di ragazzi, ragazze, coppie (talora con bambini) che nell’incontro con la droga hanno vissuto una battuta d’arresto nello sviluppo di una vita serena e responsabile. Da quel che ho sperimentato nel passato, e di cui sono convinto tuttora, molte persone che usano sostanze stupefacenti non sono né cattive né malate o disturbate (magari lo possono diventare col tempo): sono semplicemente incappate in un errore di valutazione del loro vero bene e del cammino per raggiungerlo.
Il lavoro della comunità, animato spiritualmente dai frati (senza escludere altri apporti professionali specifici), si fonda sulla condivisione di valori positivi e sulla forza moltiplicatrice di benessere che deriva da una solidarietà disinteressata. In tal senso trovo davvero stimolante passare dalla guida del «Messaggero» – che è opera di formazione di coscienze e di riflessione su stili di vita sobri ed essenziali – al far «compagnia educativa» a giovani che chiedono una mano per riappropriarsi responsabilmente della propria vita. La Comunità San Francesco ha trovato in questi suoi trent’anni un punto di forza proprio nella condivisione di vita, nella «compassione» e nell’ascolto diretto delle persone. In poche parole: nel vivere quotidianamente con i giovani, fianco a fianco. Ho chiesto di poter svolgere ancora questo servizio, perché stiamo vivendo un tempo in cui non ci misuriamo soltanto con i problemi di droga di qualche giovane sprovveduto, ma con stili di vita «drogati», che segnano molta della cultura che respiriamo. Ecco dunque l’elemento di continuità con l’esperienza vissuta al «Messaggero».
I confratelli mi hanno lasciato libero in questa scelta, e padre Ugo ha accettato di svolgere anche il mio ruolo. Ringrazio questo intelligente e operoso confratello che, affiancato nella sua opera da padre Paolo Floretta (nel ruolo di vice direttore generale), sarà senz’altro un buon padre e fratello per la grande famiglia del «Messaggero», a Padova e nel mondo. Da cinque anni ormai padre Ugo sa unire al meglio lo «spirito di Antonio» con la lettura dei segni dei tempi che scorrono davanti a noi uomini e donne chiamati a vivere e a giudicare, nella fede, il tempo che ci è dato.
Una curiosità, per finire: continuerò a collaborare con il «Messaggero»? E come potrei non farlo! A lui devo anche la mia vocazione: da giovanissimo chiesi di farmi francescano proprio perché ero venuto in contatto con i frati attraverso le pagine della rivista che ricevevo mensilmente a casa. E allora: grazie ancora «Messaggero di sant’Antonio»!