Chi educa si mette in gioco
Girando qua e là per presentare il libro Nuovi vizi. Italiani allo specchio, tra l’altro un distillato di interventi apparsi sulla nostra rivista, mi sono reso conto di quanto la gente oggi desideri una vita buona. Meno arroganza e maleducazione, meno disonestà e corruzione, meno intolleranza e irresponsabilità, insomma, un contesto sociale più vivibile che favorisca dinamiche sociali, familiari e personali distese. Non è la conflittualità a fare paura, poiché ognuno ben sa che la vita è dura ed esigente, ma la violenza gratuita che trasforma un diverbio da pianerottolo in tentato omicidio. Se qualcuno intralcia o infastidisce va messo a tacere, un po’ come avviene anche nei più blasonati talk show televisivi, non più discussioni tra interlocutori che si confrontano ma ricettacoli di insulti, muscolari esibizionismi linguistici: si randella con le parole, insomma. Soffriamo tutti, dunque, per un vero e proprio scadimento delle relazioni, dei legami, quelli sociali ma anche quelli che qualificano la sfera privata, soprattutto familiare. Si fatica a percepire il bene come tale, e soprattutto si dubita che sia comune: insieme bene per sé e per gli altri, di tutti.
L’inversione di marcia non è né facile né scontata. Superate certe soglie, tornare indietro esige di mettere in campo non divieti più rigidi, quanto piuttosto un pensiero più profondo e, soprattutto, un atteggiamento di testimonianza che lo supporti, che lo «mostri» vero perché da tutti praticabile e in grado, alfine, di produrre uomini e donne felici, riconciliati con la vita, veri educatori perché prima essi stessi educati. E questo vale anche e soprattutto per chi è cristiano. Oggi più che mai vi è bisogno di persone, come scriveva don Milani, che «stiano in alto (cioè in grazia di Dio), mirino in alto (per se stessi e gli altri) e sfottano crudelmente non chi è in basso, ma chi mira in basso». Il problema vero non è infatti la debolezza che tutti abbiamo in comune e che ci zavorra a terra, ma la predica ininterrotta (a mo’ di flebo) dei cattivi maestri che tutto appiattiscono e sporcano, insinuando che puntare in alto è controproducente oltre che velleitario. Meglio volare rasoterra, per non illudersi e non illudere sul fatto che il cuore dell’uomo è destinato a cose grandi, con inquietudini che il solo buon senso non può placare.
La vita buona, quella secondo il Vangelo, secondo lo stile vissuto da Gesù nella sua breve ma intensa esistenza terrena, è quanto il cristianesimo ha da proporre all’uomo d’oggi. Servire Dio per Gesù ha significato servire l’uomo, ma prima ancora realizzare in pienezza la sua vicenda umana. Dio non è la negazione dell’uomo, come predicato da antiche e nuove forme di ateismo, ma il suo partner più affidabile. Allontanarsi da Dio è veramente perdere se stessi. Sono questi, d’altronde, i punti sensibili ai quali Benedetto XVI ci ha ormai abituati. Non è sufficiente, in tale prospettiva, un’educazione alla vita di fede che sia puro insegnamento. Ciò che va incentivato non è un discorso didascalico-razionale che mira a convincere, bensì un percorso di accompagnamento testimoniale che dischiude la realtà a una più profonda comprensione, un percorso nel quale chi educa gioca tutto di sé. «Noi non possiamo mai considerarci “a posto”, ma cresciamo e diveniamo educatori continuamente – annota Romano Guardini –. La più potente “forza dell’educazione” consiste nel fatto che io stesso in prima persona mi protendo in avanti e mi affatico a crescere. Siamo credibili solo nella misura in cui ci rendiamo conto che un’identica verifica etica attende me, e colui che deve essere educato. Innanzitutto, vogliamo entrambi essere ciò che dobbiamo essere». Solo vivendo un’autentica vita buona, pienamente evangelica e perciò pienamente umana, l’educatore è in coerenza con quanto va comunicando, araldo credibile della buona causa del Vangelo.