Missioni antoniane, il Santo in trasferta

A colloquio con padre Luciano Marini, responsabile dei pellegrinaggi delle reliquie antoniane in Italia e all’estero. Un’opportunità per parlare a tu per tu con il Santo di Padova al di fuori dei confini della Basilica.
25 Ottobre 2010 | di

I frati della Basilica sono custodi gelosi delle spoglie del Santo: è raro trovare una reliquia di Antonio al di fuori del tempio sorto sulla sua tomba. Eppure il pellegrinaggio a Padova non è l’unico modo per incontrare a tu per tu il santo portoghese, chiedere la sua intercessione, domandare una grazia. Negli ultimi anni, infatti, si è andata diffondendo un’altra modalità, denominata «missione antoniana». Come dire: se il pellegrino non va ad Antonio, Antonio va al pellegrino.
Ne parliamo con padre Luciano Marini, già direttore generale del «Messaggero di sant’Antonio», ora responsabile delle missioni antoniane. «Chiamiamo con questo nome il pellegrinare nel mondo delle reliquie del Santo. Nella predicazione diciamo spesso: “Non vogliamo parlarvi di sant’Antonio, ma prestare a lui la nostra parola perché egli stesso possa continuare quanto ha fatto con ardore negli anni del suo ministero”. Le reliquie insigni non sono statue, immagini del Santo, ma parte del suo corpo, della sua persona; è lui stesso che parla al cuore delle persone con la sua lingua, e con quelle corde vocali che il Signore ha voluto preservare dalla corruzione, perché la sua predicazione potesse continuare a incidere nella storia della Chiesa».

Msa. Come è sorta la consuetudine delle «missioni antoniane»?
Padre Marini. Si tratta di una realtà nata in seno al «Messaggero», e pensata inizialmente come occasione di incontro con gli associati, che ha avuto una svolta con la ricognizione del corpo del Santo nel 1981. Nel corso di quell’anno molte comunità parrocchiali chiesero la presenza di Antonio tra loro, perché se tanti erano stati i devoti giunti a Padova, tanti di più erano stati quelli che non erano potuti venire. E così, nel 1981, ci recammo pellegrini in ben diciotto città italiane. Un’altra tappa significativa fu il 1995, anno del centenario della nascita di Antonio: in quell’occasione si creò un’équipe molto organizzata per le missioni antoniane.

L’ostensione del 2010 ha dato nuovo slancio a questa attività di apostolato?
Indubbiamente, come ogni forte momento di spiritualità antoniana. Anche in questa circostanza abbiamo ricevuto richieste da parte di comunità cristiane, soprattutto del Sud Italia, che non sono potute venire a Padova lo scorso febbraio.

Quali sono le prossime tappe in programma?
Nel 2011 saremo in Abruzzo, a Casalbordino (CH), poi in Calabria. All’estero è previsto un pellegrinaggio in Ghana e uno in Cile. Ma il calendario non è ancora stato chiuso: c’è spazio per altre missioni antoniane.

Come individuate le mete?
In genere sant’Antonio viene «invitato»: è il parroco a contattarci, oppure un rappresentante del consiglio pastorale. L’occasione può essere il 13 giugno o un’altra ricorrenza antoniana, ma anche una festa parrocchiale o la conclusione di un restauro. Ricordo una telefonata di un sacerdote, parroco di un’unità pastorale appena creata, che metteva insieme quattro parrocchie, divise su tutto. L’unico elemento che sembrava trovare tutti d’accordo mettendo in secondo piano il campanilismo era la devozione al Santo di Padova. Così, per fare comunione e spingere l’unità, quel sacerdote lungimirante chiedeva di organizzare un pellegrinaggio antoniano nella sua terra.

Come si svolge in genere una missione antoniana?
Normalmente dura dai quattro ai sette giorni, mentre se è all’estero anche di più, per dar modo a più persone possibile di accostarsi ad Antonio: basta pensare che nell’ultima occasione, nello Sri Lanka, si calcola siano venuti in processione 2 milioni e mezzo di persone. Per il resto è un’occasione simile alle missioni popolari, con momenti di preghiera, di predicazione, di incontro con il Santo e con i frati, e opportunità di ricevere il perdono mediante il sacramento della riconciliazione.

Quali sono gli aspetti di queste esperienze che più la colpiscono?
I racconti delle persone. Noi frati siamo testimoni dell’azione di Antonio come mediatore di grazie e prodigi. Mi viene in mente la storia di un quarantenne che, all’età di cinque anni, per vedere meglio la processione del Santo dal balcone di casa, al terzo piano, si sporse e cadde, ma rimase illeso. «Mi ha preso in braccio sant’Antonio» mi confidò. Al di là di questi interventi prodigiosi, sono certo che il miracolo più grande avviene quando il Santo tocca il cuore di uomini e donne che – magari da decenni – non vivono più la vita cristiana, e al passaggio delle sue reliquie sentono invece il bisogno di riconciliarsi con il Signore. «Padre, da anni non metto più piede in chiesa – mi diceva una persona in un pellegrinaggio di quest’anno –. Sono venuto per curiosità a vedere le reliquie, ma ora non posso andar via senza confessarmi. Sento una voce dentro che mi spinge a ritornare al Signore». Scrivono i primi biografi di Antonio che molti frati lo accompagnavano perché, dopo le sue prediche, la gente accorreva per ricevere il perdono. È quanto noi frati sperimentiamo ancora oggi.

Di recente si è recato in Costa Rica: come è andata quella missione?
È stata la prima volta per Antonio in America centrale, in collaborazione con il «Messaggero» in lingua spagnola. L’accoglienza è stata davvero calorosa: abbiamo visitato le quattro regioni del Paese, e ovunque la devozione popolare ha avuto modo di esprimersi con lancio di fiori, preghiere, pianti. Abbiamo raccolto anche molte testimonianze, come quella del vescovo della diocesi di Tilaran, Vittorino Girardi, originario del vicentino. Durante l’omelia ha raccontato che la madre, non riuscendo ad avere figli, coprì a piedi gli oltre quaranta chilometri che la separavano dalla Basilica di Padova per chiedere il dono di un figlio. Nel giro di breve tempo nacque lui, che nel secondo nome, Antonio, ricorda quella grazia.

E per quanto riguarda l’Italia?
Certo, ogni Paese ha le sue prerogative, ma il Santo tocca il cuore a qualsiasi latitudine. Ricordo la missione a Pisa negli anni ’90: il vescovo locale, entrando nella chiesa colma di persone per onorare la reliquia, esclamò: «Basta un pezzettino di Antonio per far accorrere la gente!». In ogni caso, l’obiettivo è partire dalla religiosità popolare per annunciare il Vangelo, come ci ricorda il motto «Per Antonium ad Jesum».
 
 
Appuntamenti in Basilica
Novembre
 
- L’1 novembre, solennità di Tutti i Santi, le celebrazioni eucaristiche seguiranno l’orario festivo. La Santa Messa delle ore 11.00 sarà animata dalla Cappella musicale del Santo.

- Il 2 novembre, giornata dedicata al ricordo dei defunti, le celebrazioni in Basilica seguiranno il consueto orario feriale. Unica eccezione, la Santa Messa delle ore 18.00, per dare la possibilità ai fedeli lavoratori di partecipare all’Eucaristia. Nel corso della Santa Messa delle ore 8.00, inoltre, verranno ricordati i defunti della Famiglia Antoniana. Sul sito www.santantonio.org è possibile segnalare il nome della persona defunta che si desidera sia ricordata nella preghiera in tale circostanza.
 
 
Sant’Antonio all’Arcella
Nuova Casa per i malati oncologici
 
Con l’avvio di quest’opera, il quartiere di Padova famoso per il transito del Santo ribadisce la propria vocazione di «cittadella della carità».
 
Viene inaugurata a metà novembre e prevede di far partire l’ospitalità con l’inizio del 2011. È la neonata Casa per malati oncologici «Lucia Valentina Terrani», sorta all’Arcella, il quartiere di Padova famoso tra gli amici di sant’Antonio per aver ospitato il transito del frate portoghese. Oggi, nel luogo dove il 13 giugno 1231 Antonio morì c’è un santuario che ne perpetua la memoria. A pochi passi di distanza, a fianco del centro parrocchiale, sorge la nuova struttura ,la cui realizzazione è stata resa possibile grazie alla Provincia patavina dei frati minori conventuali: quel terreno, infatti, si è reso disponibile con la demolizione del vecchio cinema-teatro parrocchiale. Anche altri enti – in primis l’associazione Padova Ospitale onlus – hanno unito le forze per la realizzazione del progetto che ha potuto contare sul contributo di fondazione Cassa di risparmio di Padova e Rovigo, Regione Veneto, fondazione Help for life e fondazione Banca Antonveneta. «Inoltre, in forma privata, molti devoti di sant’Antonio hanno voluto sostenere l’iniziativa» racconta padre Giancarlo Zamengo, parroco e rettore del santuario di sant’Antonio all’Arcella. «Si tratta di un’opera nata nel segno della carità del Santo, una nuova modalità per rendere presente nell’oggi il suo insegnamento secondo il motto “Vangelo e Carità”.

Padova, città di Antonio, si arricchisce così di una realtà che offrirà a chi viene a curarsi negli ospedali cittadini, uno spazio di ospitalità nel quale poter contare sull’appoggio spirituale e morale dei frati». A maggior ragione dopo la nascita dell’Istituto oncologico veneto, la città accoglie infatti un ampio numero di malati oncologici, molti dei quali provenienti da fuori provincia e fuori regione, e dunque bisognosi di un appoggio in loco.
Tre saranno le realtà che convivranno nei 2 mila metri quadrati di superficie, distribuiti su tre piani, della neonata struttura assistenziale. A caratterizzare l’opera è innanzitutto l’accoglienza dei malati oncologici e dei loro parenti, con cinquanta posti letto a disposizione (al primo e secondo piano), gestiti da una cooperativa sociale. Negli spazi al piano terra, poi, è previsto un poliambulatorio, gestito dalla Lega italiana lotta ai tumori (Lilt), per la prevenzione delle neoplasie. A questo proposito il parroco sottolinea: «Ci sono le premesse perché diventi un centro molto apprezzato: infatti un servizio di questo tipo non è mai esistito nel nostro quartiere». Il piano terra ospiterà anche il terzo «nodo» del progetto, ovvero due sale polivalenti per conferenze e incontri, dalla capienza di 200 posti. Spiega ancora padre Giancarlo: «Anche i parrocchiani sono coinvolti. Infatti l’adiacente oratorio farà da punto di aggregazione per le persone che frequenteranno la casa. Il periodo di permanenza all’Arcella non deve essere solo un soggiorno di tipo alberghiero. Offriremo a questi ospiti occasioni di incontro con la comunità cristiana, un luogo di preghiera nel santuario, e opportunità di aggregazione nel centro parrocchiale».

Con quest’ultima realizzazione, la zona prospiciente il tempio sorto sul luogo della morte del Santo ribadisce la propria vocazione di «cittadella della carità», visto che intorno al santuario è già operativo, ormai da alcuni anni, anche un centro di accoglienza dedicato a una delle prime discepole di Antonio, la beata Elena Enselmini, le cui spoglie sono custodite nel tempio dell’Arcella. Nel suo nome, frati e laici volontari offrono ospitalità a malati provenienti da tutta Italia per visite e cure. L’opera, che sorge in un’ala del convento, dispone di dieci camere doppie con bagno, una piccola lavanderia e una cucina.
Poco distante, infine, sorge un centro di educazione per l’infanzia (scuola elementare e materna) gestito dalle suore francescane elisabettine, e una casa di accoglienza che ospita religiose anziane.
  

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017