Diamoci tempo, è Natale!
Il cammino verso il Natale è tutto in discesa. Ultimo mese dell’anno, magari un piccolo pacchetto di giorni da passare in famiglia, al calduccio di affetti finalmente da gustare con un po’ di calma, con la prefigurazione di momenti speciali che evocano la profondità di una vita: parole, sapori, silenzi, affetti, ricordi, volti, emozioni, attese. Una magia certamente amplificata dall’inevitabile battage commerciale, ma molto più sacra e interiore di quanto non si creda. Gli uomini non sono stupidi, e sanno distinguere ciò che vale da ciò che è paglia, anche se poi, per mille motivi, si adagiano sulla paglia e non danno il meglio di sé, non sono in grado di essere esigenti e quindi di rispettare i propri desideri. Un certo timore di essere tagliati fuori li spinge, infatti, ad accodarsi allo sciame del così fan tutti, per cui alla fine ambiscono a una felicità omologata, formato standard, tanto sicura quanto poco originale e personale. Si tratta della felicità sotto dettatura da parte di chi – media asserviti a logiche di parte, modelli economici sconnessi e incoerenti, stili di vita sopra le righe, ecc. – vuole darcela a bere, insinuando che la maggioranza decide della bontà della rotta verso un’esistenza pienamente realizzata. Molti ci cascano col comportamento, ma sentono in cuore che non è così, e il Natale con i suoi tempi rallentati fa riemergere – per fortuna – questa inquietudine.
E quando il cuore dell’uomo è ancora in grado di inquietarsi, di sospettare di se stesso, di non arrendersi al grande sbadiglio di una vita sazia e piatta, tutto è ancora possibile. Perché sotto le ceneri di esistenze quasi telecomandate (dove i pulsanti che crediamo di pigiare sono in realtà schiacciati da altri) può nascere la rivolta di chi rivuole indietro se stesso, perché non è più disposto a subire il ricatto di chi intende plasmarlo con lo stampino. Se è rassicurante essere come son tutti, è a dir poco entusiasmante essere e sentirsi se stessi, unici e particolari, capaci di scegliersi e quindi di scegliere, estranei all’influenza di modelli di vita dopati e inautentici.
Dicevamo sopra dei tempi rallentati del Natale. Non facciamone un’ossessiva caccia al regalo, un’abitudinaria corsa all’abbuffo, una moltiplicazione esponenziale di contatti, un gioco di società che ci vede buoni e solidali per un paio di settimane. Approfittiamone per tirare il freno a mano, per riprenderci il tempo delle relazioni, per dare qualcosa di noi stessi, per nutrire lo spirito e disintossicarci da dodici mesi di apnea.
Natale è la festa cristiana che per eccellenza ci porta a riflettere sul senso del «tempo». Innanzitutto perché ci mostra come il Dio di Gesù Cristo ha avuto tempo per l’uomo. Nell’Incarnazione accade qualcosa che mai la mente umana avrebbe potuto immaginare: «L’Eterno entra nel tempo, il Tutto si nasconde nel frammento, Dio assume il volto dell’uomo» (Giovanni Paolo II, Enciclica Fides et ratio, n. 12). Corrispondere a questo mistero di vicinanza e intimità significa, da parte dell’uomo, dare tempo al Dio che ha (avuto) tempo per l’uomo, perché in questa reciprocità scocca la scintilla dell’incontro e si rende possibile la salvezza. Quello dell’uomo, in tale prospettiva, diviene tempo abitato, benedetto, risanato, redento.
Se le cose stanno così, non siamo più condannati a inseguire ansimanti il tempo o a spremere l’attimo per timore che fugga. Siamo anche dispensati dalla folle corsa contro il tempo ingenerata dal mito dell’eterna giovinezza. Fare pace col «tempo» e con i «tempi» della vita è il grande dono del Natale. Se l’amore mi viene incontro del tutto gratuitamente non ho più bisogno di svendermi, di camuffarmi, di consumare tutto e subito. Se Dio è con noi, niente potrà essere contro di noi. Diamoci tempo, è Natale!