Lettere al direttore
Rabbie e inquietudini dei nostri ragazzi
«Gentile padre Ugo, sono un’affezionata lettrice e ogni mese, ricevendo la sua rivista, ricordo quando, ancora ragazzina, mio padre la portava a casa con la stessa gioia con cui la domenica portava il vassoio di dolci. Oggi ho 48 anni e sono una mamma piena di angosce e paure per i propri figli. Ed è proprio di adolescenti che le vorrei parlare, sperando che questa mia lettera trovi spazio in una delle sue rubriche per far sì che altre mamme trovino conforto nelle sue parole. (…) Cosa succede a questi nostri ragazzi, così pieni di inquietudini e di rabbia? Perché non riescono ad abbandonarsi a una fede che, per chi li ha preceduti, è sempre stata gioia, rifugio, conforto?».
Marina – Catanzaro (e-mail)
Cara Marina, grazie della bella lettera che, per esigenze di spazio, ho dovuto purtroppo sintetizzare. Mi sono lasciato interpellare dalle sue parole sulle problematiche dei ragazzi adolescenti. Il tema è davvero impegnativo e vasto. Faccio volentieri qualche considerazione assieme a degli specialisti.
Gustavo Pietropolli Charmet, uno dei maggiori esperti italiani in materia di educazione e autore del volume AdoleScienza. Manuale per genitori e figli sull’orlo di una crisi di nervi (San Paolo), scrive: «Si intuisce che essere genitori di adolescenti non possa certo essere spacciata per un’impresa semplice, né tanto meno come una passeggiata in pianura. Bisogna stare vicini e lontani nello stesso tempo, infondere fiducia e trovarla anche da qualche parte, tenendo conto delle fragilità del figlio ma allo stesso tempo dei suoi bisogni specifici».
Non è certo un’età facile. Spesso questi ragazzi hanno problemi con l’autorità, sono a rischio per quanto riguarda la droga e l’alcol e – come lei dice – escludono Dio e faticano a capire chi sono e cosa vogliono. Per cui bisogna cercare, cara signora, di vivere i naturali conflitti che sopravvengono come una fase di sviluppo verso l’autonomia. Gli adolescenti hanno soprattutto bisogno di «fiducia, di incoraggiamento, di messaggi positivi» come scrive Sara Cattaneo, in 10 & LODE! Genitori a confronto sull’adolescenza (Paoline). Hanno bisogno che gli adulti riaffermino il loro ruolo educativo, coinvolgendoli nelle decisioni che li riguardano. Per quanto concerne, poi, il declinare della fede, uno degli aspetti più delicati e controversi, sono fondamentali la testimonianza e l’esempio del genitore. Con la fiducia che, non importa quando, ma prima o poi il seme gettato possa germogliare.
Devolvere i regali di Natale ai poveri?
«Caro padre Ugo, tra la crisi, le calamità naturali e le varie povertà nostrane ed extracomunitarie, non sarebbe il caso di devolvere a chi ha più bisogno il corrispettivo dei regali di Natale? Mentre le scrivo deve ancora iniziare l’Avvento, eppure già mia moglie, come tutti gli anni, è lì che si arrovella a pensare ai doni, più puntuale dei supermercati che riempiono gli scaffali di torroni e panettoni».
Lettera firmata
Gentile lettore, da quanto mi dice capisco che mi vuole arbitro di una disputa familiare, una posizione scomoda dalla quale vorrei smarcarmi. Perché penso che abbiate ragione entrambi, entro certi limiti. Mi spiego cercando di individuare la radice del dono nella sua forma più alta: è un atto di gratuità, frutto di una disposizione d’animo positiva, un modo per esprimere a una persona il proprio volerle bene, un gesto di fraternità. Lei usa come sinonimi le parole «dono» e «regalo», che hanno pesi diversi. Col regalo, infatti, si dà per ricevere un contraccambio. Conta l’entità o il valore dell’oggetto, non il gesto. Col dono, invece, il legame che si crea tra chi dà e chi riceve ha la precedenza assoluta: ti do perché tu possa a tua volta dare (non necessariamente a me). Un esempio: forse chi ha pochi beni non è in grado di fare regali, ma doni sì, anzi spesso è proprio chi ha meno a essere capace di atti di insospettata generosità. C’è una terza parola, nella sua lettera, che illumina il valore del dono: è «Natale», l’evento di gratuità che ha riconfigurato alla radice il significato di «mio» e di «tuo». È alla luce di questa grazia che si crea lo spazio per scambiarsi i doni tra persone care, e allo stesso tempo per avere una rinnovata attenzione nei confronti di chi vive una situazione di indigenza. I due movimenti non si escludono, ma si completano, in nome della fraternità. Il dono, che incentiva il legame, ne è l’alimento.
«Perché non prendete posizione?»
«Caro padre, in questi ultimi tempi stiamo assistendo a uno dei peggiori spettacoli della politica: comportamenti assai discutibili di singoli e dello stesso premier, assolutamente contrari non solo ai princìpi basilari della morale cristiana, ma anche a quelli dell’etica pubblica. Mi dolgo che né lei né il suo giornale abbiate mai preso una netta posizione su ciò che è ormai sotto gli occhi di tutti. Mi reputo un cattolico credente e praticante, ma di fronte a chi obietta che la Chiesa tace per interesse le confesso che ho qualche difficoltà».
Francesco
Inizio, caro Francesco, a risponderle formulando una domanda: prendere una posizione netta, di riprovazione, servirebbe a riaffermare i valori perduti nel contesto sociale e politico in cui stiamo vivendo? Giova ai lettori di una rivista come la nostra entrare nell’arena delle opposte fazioni, gioco così in voga? Il problema oggi, a mio avviso, non è tanto condannare dall’alto della «propria verità», ma trovare il modo più efficace per tornare a riflettere sui comportamenti, sui valori di fondo, sui princìpi che dovrebbero regolare la nostra convivenza sociale e, quindi, politica. Penso che, sia nel caso in cui il mio giornale decidesse di condannare apertamente persone e comportamenti, sia, al contrario, nel caso in cui scegliesse di esser più indulgente nei giudizi, riceverebbe in cambio solo una misera etichetta, di destra o di sinistra a seconda dei casi. Magari verrebbe tirato in ballo strumentalmente dall’una o dall’altra fazione e qualcuno lo accuserebbe di essere ideologico o connivente. Anche noi rischieremmo così di entrare nel cortocircuito della comunicazione bla-bla-bla, dove in realtà tutto è omologato e fin troppo prevedibile: accuse, reazioni, risposte e controrisposte, in un teatrino sempre uguale a se stesso. Alla fine cambierebbe davvero qualcosa? Credo che la strada – ardua e in salita – non sia quella di tacere ma di parlare «diversamente», di recuperare la complessità oltre i banalissimi schemi in campo, di bypassare gli slogan e tornare al pensiero. Un mensile come il nostro ha come compito di scommettere sull’intelligenza dei suoi lettori e sulla loro capacità di ritrovare un universo di valori condivisi, al di là delle proprie appartenenze politiche. Per questo abbiamo fatto una scelta di stile e di contenuti che penso ci caratterizzi. Lo stile è quello di non imporre una verità ma di cercarla insieme a chi ci legge, con umiltà. Per quanto riguarda il contenuto, la scelta è di prediligere la strada dell’approfondimento. Non a caso abbiamo interi dossier e pagine di catechesi su temi come corruzione, arroganza, individualismo, maleducazione, immaturità, fondamentalismo, infantilismo, infedeltà. Sfido chiunque a non trovare in essi i personaggi e le forme della nostra attualità socio-politica, trattati da più punti di vista, con l’invito a fare i conti anche con mancanze e comportamenti personali. Sulla rivista scrivono persone di diversi orientamenti, con il solo «limite» di motivare le proprie tesi alla luce del pensiero riflesso. I giudizi, anche politici, vengono espressi su argomenti concreti e dopo aver tracciato il quadro della situazione: dalla privatizzazione dell’acqua alla crisi economica alla riforma della scuola. Da uno scadimento del livello di civiltà si esce solo a prezzo di grandi fatiche educative, spirituali e di conoscenza. E, soprattutto, se ne esce insieme.
Grazie a tutti, amici lettori
«Attendo con ansia l’arrivo del “Messaggero” perché lo trovo attuale, ricco di informazioni, ma soprattutto di pagine di speranza. Quando l’ho conosciuto stavo attraversando un periodo difficile, in cui non sapevo a cosa aggrapparmi per uscire dall’oscurità che abitava nel mio cuore. Ma, pian piano, grazie anche al vostro aiuto, ho trovato la forza per rialzarmi (…)».
Grazia
«Leggo con passione il “Messaggero di sant’Antonio”, e in particolare mi colpiscono profondamente il cuore le lettere al direttore, con le risposte che lei dà agli abbonati: consigli e spiegazioni amorevoli da vero e sincero uomo religioso (…)».
Antonino
«Siamo una giovane coppia di sposi. Per caso abbiamo scoperto il “Messaggero”. Per noi è stata una nuova rinascita alla fede e, oltre che personalmente, la rivista ci è utile per gli altri, poiché siamo animatori nella nostra parrocchia. Siamo lieti di appartenere alla grande Famiglia antoniana (…)».
Anna e Daniele
Cari Grazia, Antonino, Anna e Daniele e tutti voi, numerosi, che ci avete scritto manifestandoci stima, apprezzamento e affetto: a tutti un grazie sincero. Vi porto nel cuore. Buon Natale!
Sir
Dal 5 novembre è on line il nuovo sito web dell’Agenzia Sir, Servizio informazione religiosa (www.agensir.it), promossa dalla Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc) e dalla Conferenza episcopale italiana (Cei). Il nuovo sito viene pubblicato a quindici anni di distanza dall’avvento del Sir sul web: era il 20 settembre 1995 quando veniva lanciato il primo sito, uno dei primi servizi web cattolici in Italia. Tra le novità della nuova versione di Agensir.it: «SIR Mobile» per i cellulari di nuova generazione e la sezione «Mediacenter», con video e gallerie fotografiche su eventi di particolare rilievo. Ancora: «SIR Prima Pagina», con note, commenti, interviste, servizi su avvenimenti quotidiani di carattere ecclesiale, sociale, culturale, mediatico e politico. Potenziata anche la versione del sito accessibile per gli ipovedenti, mentre acquista maggiore visibilità la sezione «SIR Regione», con informazioni e commenti su iniziative legislative regionali, oltre a servizi monotematici periodici su temi d’attualità. Ogni giorno scorrono inoltre sul sito le notizie del servizio «SIR Quotidiano», di cui una selezione, d’interesse europeo, viene proposta anche in inglese.
Sulla nuova versione di Agensir.it restano in primo piano i servizi bisettimanali «SIR Italia» e «SIR Europa»: «Non si tratta di un elenco di cose fatte o da fare – commenta il direttore Paolo Bustaffa – ma di un percorso professionale che si sviluppa nel quotidiano incontro tra le realtà ecclesiali del territorio e quelle nazionali ed europee. Un’esperienza di reciprocità non comune, in cui la fatica e la bellezza del pensare non sono considerate un impegno in più ma vengono vissute come fatica e bellezza che motivano e sostengono una professionalità che, senza presunzione, si pone in dialogo anche con media di diversa ispirazione culturale».
Lettera del mese. Educare sempre e comunque
Delusione educativa?
Quella educativa è una delusione che porta a interrogarsi, a cercare di attivare alleanze tra soggetti interessati al medesimo fine. Una delusione che accresce la convinzione che educare vale la pena.
«Caro direttore, sono una madre di tre figli (19, 17 e 8 anni). Ho letto il suo editoriale sull’ultimo numero del “Messaggero”. Ho apprezzato la presentazione del volume di commento al documento dei vescovi italiani sull’educazione. A suo tempo avevo letto il libro La sfida educativa. Tutti parlano di educazione, si riempiono la bocca di temi quali emergenza educativa, ma la realtà è che i genitori sono lasciati soli nel loro compito. Nessuno ci spiega come si fa a essere bravi genitori, come possiamo concretamente educare i figli a quei valori sui quali abbiamo fondato la nostra vita. Tutto va bene finché sono piccoli, ma poi, crescendo, prendono la loro strada e sempre più spesso abbandonano quei principi ai quali si è tentato di educarli, anche con l’esempio».
Una mamma delusa
«Urgenza» educativa, «sfida» educativa, «crisi» educativa, «emergenza» educativa… Per quanto riguarda l’educazione, siamo ormai abituati a un vocabolario all’insegna dell’allerta. Anche se poi l’urgenza tanto declamata produce solo un accumulo di preoccupazione, senza che la preoccupazione si trasformi in «occupazione». Insomma, sirene perennemente spiegate segnalano eccessi e trasgressioni nei comportamenti degli educandi, ma anche disaffezione e latitanze da parte di chi dovrebbe accompagnare e orientare.
Un punto di partenza realistico, dal quale muovere con pieno diritto, potrebbe essere quello che lei suggerisce, vale a dire la delusione educativa. Diciamocelo senza peli sulla lingua: educare è sempre un rischio. C’è il rischio dell’educatore che mette in gioco tutto se stesso, con parole e azioni concrete, a volte di esemplare elevatezza, che finiscono nel nulla, almeno apparentemente. Chi riceve queste parole e questa testimonianza, semplicemente non è interessato a richiami che giudica lontani, decontestualizzati, poco fondati, moralistici, contrari alla propria libertà. «Lasciatemi fare i miei sbagli, e comunque lasciatemi scegliere», rispondono molti giovani all’incalzare di adulti che parlano in nome di un «bene» che non viene riconosciuto come tale. Una sorta di cortocircuito del linguaggio impedisce di incontrarsi in un punto condiviso, per cui si perpetua il monologo delle parti.
Se da un lato, allora, vi è per l’adulto, per l’educatore, il rischio di «autoesporsi» e quindi di misurare la propria coerenza, cioè quella stessa che propone come misura all’educando, vi è anche sempre il rischio che quest’ultimo neghi il suo assenso, non corrisponda a quanto gli è proposto e quindi decida altrimenti.
La delusione educativa, in ogni caso, dev’essere tenuta ben distinta dalla diserzione educativa, quel gettare la spugna che purtroppo caratterizza oggi troppi genitori, insegnanti, guide politiche e anche religiose. La diserzione educativa consiste infatti nel rinunciare a proporre la sensatezza e replicabilità, pur se in fogge e tempistiche diverse, della propria esperienza di vita, lasciando che l’altro si costruisca una propria vita a palinsesto, seguendo gli impulsi del momento e senza preoccuparsi della coerenza dell’insieme, di legare il prima con il poi e viceversa. Non educare non è innocuo, come si vorrebbe far credere, ma del tutto diseducativo, perché alimenta il mito che ognuno avrebbe in sé i talenti per fare da solo, in regime di autarchia. La delusione educativa, come lei la descrive e come io l’intendo, è il dispiacersi dopo aver fatto, all’apparenza inutilmente, tutto il possibile per contagiare il bene e indicare cammini di autentica crescita umana e cristiana. Una delusione che porta a interrogarsi, a reagire, a cercare di attivare alleanze tra soggetti interessati al medesimo fine. Una delusione che invece di scoraggiare accresce la convinzione che educare vale la pena.