Laurearsi in... santuari
Tende di Dio con gli uomini, polmoni della fede, cliniche dello spirito, sentinelle della liturgia. Sono solo alcune tra le definizioni evocative dei santuari, mete di una rete di pellegrinaggi che avvolge il pianeta e che percorre la storia degli uomini, alla ricerca delle tracce di Dio nel Creato. Un mondo, quello dei santuari, ricco di specificità e di vitalità, i cui contorni spesso sfuggono anche ai più fedeli frequentatori; un mondo che muove grandi masse, ma che resta allo stesso tempo intimo, personale.
Per cercare di intuirne il segreto e svilupparne l’apporto, al santuario è stato dedicato un corso di laurea magistrale che esordirà il prossimo ottobre. L’iniziativa è del tutto originale, unica nel suo genere non solo nel panorama italiano, ma anche mondiale: mai prima d’ora era stato predisposto un corso universitario monotematico con queste caratteristiche. A idearlo e a curarne l’organizzazione è l’Istituto superiore di scienze religiose «Santa Maria di Monte Berico» di Vicenza, collegato alla Pontificia facoltà teologica «Marianum» di Roma.
«Si tratta di un biennio di specializzazione – spiega padre Gino Alberto Faccioli, servo di Maria, direttore dell’Istituto vicentino – di carattere multidisciplinare, come si capisce già dalla titolazione del corso: “Il santuario luogo del sacro, meta di pellegrinaggi, centro di civiltà”. L’obiettivo è formare nuove figure professionali per il turismo, religioso e non, che davvero sappiano guidare il pellegrino e il visitatore nella feconda complessità del santuario. Sarebbe bello che ciascun santuario italiano formasse qualche persona da mettere a disposizione dei pellegrini. Non ci è estranea la questione dello sbocco lavorativo: è una forma di attenzione alle difficoltà dell’uomo d’oggi».
L’obiettivo, tuttavia, non è solo inventare un’innovativa figura che accompagni il visitatore, ma anche valorizzare al meglio l’esistente, aiutando a promuovere la ricchezza spirituale, culturale e artistica dei santuari. Un percorso che non si improvvisa. «All’inizio – rivela padre Faccioli – avevamo ipotizzato un master: pensavamo sarebbe stato sufficiente. Poi, studiando la cosa insieme con l’Istituto per le ricerche di storia sociale e religiosa di Vicenza, partner del progetto, ci siamo resi conto della vastità della materia, e così il consiglio d’istituto ha optato per il corso di laurea».
Nel primo anno di studio si affronta la storia dei santuari dagli albori dell’umanità all’avvento del cristianesimo, il fenomeno del culto dei santi, delle reliquie, i miracoli, le apparizioni mariane, il tema del pellegrinaggio. Altri moduli riguardano l’arte e l’architettura, le iconografie e gli ex-voto; infine, la legislazione e l’amministrazione di un santuario. Nel secondo anno si punta di più sull’attualizzazione: il santuario oggi come laboratorio di ecumenismo, di progettualità anche culturali, le specifiche del pellegrinaggio e del turismo religioso nel terzo millennio, la sociologia della pietà popolare. Molta attenzione alla figura di Maria, e diverse «scorribande» nelle esperienze religiose non cristiane, soprattutto monoteiste.
Testimoni di una presenza
Ma qual è lo specifico del santuario? In che cosa si differenzia da una «normale» chiesa? È un luogo dove Dio dà appuntamento all’uomo o, al contrario, uno spazio delimitato scelto dal fedele per incontrare Dio? «Innanzitutto – risponde padre Salvatore Perrella, servo di Maria, docente di dogmatica e mariologia al “Marianum” – il più grande e importante santuario di Dio è l’uomo stesso, come ci ha insegnato Gesù. Quindi il santuario di per sè non è il luogo privilegiato dell’incontro, ma nel santuario si possono incontrare luoghi privilegiati di presenza di Dio, della Beata Vergine e dei santi. Queste le caratteristiche che accomunano e che si possono ritrovare in ciascun tempio: preghiera, ascolto, aggregazione, riconciliazione, bellezza».
Sulla scelta del sito sul quale l’edificio religioso sorge, poi, non ci sono dubbi: la gran parte dei santuari nasce in un determinato posto e non altrove per fare memoria di un preciso avvenimento. Può essere il luogo di vita di un santo (pensiamo solo ai santuari antoniani), il memoriale di un miracolo, il punto in cui è apparsa la Madonna. Emblematica, in proposito, la vicenda di Monte Berico, come sottolinea padre Perrella: «Maria ha scelto questo luogo perché ci fosse una sua casa, dove la gente potesse incontrare suo Figlio. Qui Maria apparve a Vincenza Pasini, chiedendo che su questo colle venisse costruito un santuario, un luogo di incontro con il Signore di cui lei, mater misericordiae, si sarebbe fatta mediatrice. La vocazione di Monte Berico è proprio ricordare che Maria è madre e serva della misericordia».
Casa di Maria
Da Vicenza a Loreto, da Pompei alla Consolata di Torino, solo per restare in ambito italiano: i santuari dedicati a Maria sono molto diffusi, e hanno caratteristiche proprie. Diceva l’allora Patriarca di Venezia Albino Luciani: «È impossibile concepire la nostra vita, la vita della Chiesa, senza il rosario, le feste mariane, i santuari mariani e le immagini della Madonna». «Il santuario mariano – spiega padre Perrella – è una domus Mariae, casa di Maria dove è possibile trovare tutto ciò che è nella casa di Dio. Il Vangelo ci dice infatti: entrati nella casa, videro il bambino e sua madre. Quella tra Maria e il Figlio è un’unione indissociabile, anche nell’iconografia. Nella casa di Maria si sperimenta la presenza di Maria, e, mediante lei, si impara ad accogliere Cristo e gli altri».
Presenza, insegnamento, ospitalità: ecco alcune delle categorie che caratterizzano i santuari mariani. Precisa il servo di Maria: «L’ospitalità in primis è eucaristica. Non ha senso un santuario che non abbia al centro la Parola e l’Eucaristia. Questa è la lezione di Giovanni Paolo II, da lui ribadita tante volte. Poi, ospitalità della cultura, della carità, della pietà popolare». Per «pietà popolare» si intende l’insieme delle devozioni guidate dal magistero della Chiesa; diversa invece la «religiosità popolare», definizione che indica più in generale le manifestazioni cultuali, talvolta anche superstiziose, che nascono dal genio culturale dei popoli.
«La pietà popolare – spiega il docente del “Marianum” – non è mai in distonia con la liturgia: la prima pratica di pietà in un santuario mariano è la liturgia della Chiesa, perché tutte le devozioni hanno per fonte, meta e significato la santa Trinità. Altrimenti trasformiamo la devozione mariana in mariolatria. Maria non è il centro della nostra fede, pur essendo una figura centrale. Dalla liturgia poi sorgono le devozioni particolari: il santo rosario, la via matris, la via crucis, tutte pie pratiche che portano sempre al centro, mai alla periferia. Infine, bisogna tenere conto della dimensione affettiva ed emozionale della fede, del rapportarsi personale con Dio, secondo la sensibilità di ciascuno. Un certo cammino è stato fatto, ma dobbiamo evitare l’intellettualismo nella pietà, armonizzando le esigenze con l’aiuto di una pastorale intelligente».
Idee per la pastorale
Se sono tanti gli elementi che accomunano i santuari, vanno anche preservate le specificità e le originalità di ciascuno di essi: sono un’inestimabile ricchezza per un mondo dalle ampie potenzialità e con possibilità inesplorate sulle quali sviluppare dei progetti. «È così – conferma Perrella –. Pensiamo all’ambito dell’aggregazione. Quanta gente affolla i “santuari laici” – centri commerciali e megastore – nei fine settimana? Ora, perché non valorizzare anche questa dimensione di incontro, anche nel santuario? Le persone sono assetate di relazioni buone: cercano luoghi sicuri, puliti, in cui si pensi senza tormenti e si viva l’amicizia. Perché il santuario, con una pastorale accorta, non dovrebbe farsi “inseguire” dai credenti, piuttosto che rincorrerli? I santuari sono luoghi di aggregazione intergenerazionale: anche questo è un punto di forza, ma bisogna essere in grado di proporre iniziative anche per i più giovani, che hanno un palato diverso. È necessario offrire una mensa cospicua, non i rimasugli di quella passata. La sfida è rinnovare nella tradizione – penso alla struttura dinamica delle sinagoghe ai tempi di Cristo: non solo luoghi del culto, ma anche di cultura, di aggregazione, di incontro –. Per far questo, però, servono figure qualificate. Dobbiamo uscire dall’approssimazione e dalla superficialità. Anche la fede ha bisogno di professionalità. L’area santuariale è una realtà importante, perché esprime una dimensione propria della fede cristiana, che è antica. Per questo va conosciuta, apprezzata, proposta. Non basta la buona volontà».
Il popolo dei pellegrini
La questione del «pubblico» dei santuari, e della sua età, è delicata. Potenzialmente non ci sono limiti anagrafici: si accolgono tutti. Eppure – quanto meno in una fetta dell’immaginario collettivo – i santuari sono visitati e vissuti soprattutto dai meno giovani. Indagini quantitative e qualitative in merito, di carattere statistico o sociologico, sono poche: così, quando ne vengono realizzate di serie, possono destare stupore. È quanto accaduto con la ricerca curata da Alessandro Castegnaro, presidente dell’Osservatorio socio-religioso triveneto, sui pellegrini accorsi in Basilica del Santo per l’Ostensione del corpo di sant’Antonio. L’immagine stereotipata del devoto ne esce rivoluzionata, per età, livello culturale, profondità di fede: ne abbiamo dato qualche anticipazione nel numero del «Messaggero» dello scorso febbraio, e a breve l’intera ricerca uscirà in volume. Insomma, un’avanguardia, piuttosto che una retroguardia. «Va sottolineato che la modalità di visita al santuario dei giovani – commenta padre Perrella – non segue i modelli usuali dei pellegrini. I ragazzi cercano un proprio modo di essere presenti, che si esprime, ad esempio, anche nel loro atteggiamento corporeo. Mi è capitato di notare a volte tra i giovani anche qualche imbarazzo nel mostrare atteggiamenti tradizionali di devozione. Nel santuario trovano quel luogo particolare di cui sono alla ricerca, e che vogliono “gestire da sé”. C’è chi porta con sé un libro, una Bibbia, un quaderno per scrivere. Sono presenze e modalità di fruizione differenti rispetto a quelle cui eravamo abituati. Non possiamo farci trovare impreparati nell’accoglierle».
L’intervista
Il Collegamento santuari
Un tema quasi analogo a quello del corso di laurea magistrale di cui si parla in queste pagine sarà al centro anche del 46° Convegno nazionale del Cns, il Collegamento nazionale santuari, soggetto che riunisce i rettori e gli operatori dei santuari italiani. L’appuntamento, dal 17 al 21 ottobre 2011, sarà ospitato nella Basilica del Santo, secondo il programma di massima che trovate nel riquadro a lato. A parlarcene è monsignor Marino Maria Basso (nella foto), rettore della basilica della Consolata di Torino e presidente dell’associazione.
Msa. Qual è lo specifico del Collegamento nazionale santuari? Prevale l’aspetto del confronto, della preghiera e formazione comune, o ci sono altre sottolineature?
Basso. La vita associativa si svolge su due fronti. Il primo è l’animazione che ogni delegato regionale svolge nel suo territorio, mantenendo i contatti con tutti i rettori, iscritti o meno al Collegamento. È un lavoro importante di incoraggiamento e sostegno soprattutto nei confronti dei santuari piccolissimi, magari vivi solo tre mesi all’anno, che possono sentirsi a volte penalizzati. L’ascolto e l’aiuto reciproco, per le confessioni e la predicazione, sono un frutto nato proprio dal Coordinamento.
E il secondo aspetto?
È il convegno nazionale. Quest’anno saremo «ospiti di sant’Antonio». La tematica è di carattere formativo generale. Nel 2010 abbiamo in qualche modo anticipato le linee guida del decennio della Cei, occupandoci dell’educazione alla riconciliazione; quest’anno sarà la volta del santuario come luogo del sacro
e centro di civiltà.
Affermare che un santuario è luogo del sacro e centro di civiltà è un dato di fatto, una riscoperta o un obiettivo?
Le tre cose insieme. Un dato di fatto, perché la storia diventa in qualche modo inconfutabile. Un obiettivo, perché perdendolo negheremmo il nostro specifico. Una riscoperta, perché ogni convegno è l’occasione per rendere più esplicita una peculiarità emergente, ma che c’era già.
IL PROGRAMMA DEL CONVEGNO
«I santuari: luoghi del sacro e centri di civiltà»
La Basilica di sant’Antonio di Padova ospiterà, dal 17 al 21 ottobre 2011, il 46° Convegno nazionale dei rettori e operatori dei santuari Italiani, dal titolo: «I santuari: luoghi del sacro e centri di civiltà».
Questo il programma di massima:
Lunedì 17 ottobre
Ore 17.00: Saluti delle autorità e introduzione del Presidente Cns
Ore 18.00: Prolusione
Ore 21:00: Visita guidata alla Basilica
Martedì 18 ottobre
Ore 9.30: Prima relazione e dibattito
Ore 15.30: Seconda relazione e dibattito
Ore 21.30: Visita guidata alla città di Padova
Mercoledì 19 ottobre
Giornata di pellegrinaggio al Santuario della Madonna di Barbana (Grado, GO) e alla Basilica di Aquileia (GO)
Giovedì 20 ottobre
Ore 9.30: Tavola Rotonda «Sant’Antonio e la città di Padova». Incontro di spiritualità e cultura con padre Luciano Bertazzo
Venerdì 21 ottobre
Partenza.
Info: infobasilica@santantonio.org