Non è un gioco da ragazzi
Il gioco? È un affare serio, una componente essenziale di tutta la vita. Giocare è il «lavoro» del bambino, mentre da adulti diventa una pausa da occupazioni e preoccupazioni, oppure una passione, declinata nello sport e nell’agonismo. Qui però ci occupiamo di un comparto ben specifico, un altro affare serio: il gioco d’azzardo. Per giocare con le parole: se l’affare è «serio» per tutti, l’«azzardo» è riservato al giocatore, perché il vero «affare» lo fa solo il banco. Lo dicono i numeri di un settore che si ingigantisce sempre più. L’ultima frontiera è dentro il computer di casa. A partire dal 18 luglio, infatti, si può giocare on line ai classici svaghi da casinò – poker, dadi, roulette… – direttamente cash, con soldi veri, e non più con gettoni prepagati. A «limitare» il rischio dovrebbe essere la puntata massima, di mille euro per sessione, e il tetto settimanale o mensile, fissato dal giocatore al primo ingresso nel web-casinò.
Un grande business
Il via libera al gioco cash on line è solo l’ultimo gradino di una scala che in pochi anni ha reso l’azzardo di casa nostra, per spesa pro capite, il primo al mondo. La crescita è stata vertiginosa. Nel non lontano 2000, gli italiani spendevano in giochi il corrispettivo di 14,3 miliardi di euro l’anno. Già molto, ma nemmeno un quarto rispetto al 2010: con un fatturato di 61,4 miliardi – il 4 per cento del Pil nazionale, più 429 per cento rispetto al 2000 –, il gioco è la terza industria italiana dietro Eni e Fiat. In questa cifra è compreso l’intero comparto, perché col termine «gioco d’azzardo» si indicano tutti i giochi il cui risultato finale è determinato dal caso.
Quindi, per citarne solo alcuni, il Gratta e Vinci, le lotterie nazionali, il Win for life, il Lotto, le scommesse sportive e via dicendo. Le forze in campo, scorporando il dato complessivo, svelano che a farla da padrone sono le slot machine e i videopoker, non a caso ribattezzate «macchinette mangiasoldi», che da sole fruttano più della metà del totale degli introiti, con 32 miliardi di euro. Per trovare i 3,1 miliardi della vecchia versione del poker on line, sotto la dicitura «giochi di abilità a distanza», bisogna scendere al sesto posto, dopo le lotterie (9,3 miliardi), il lotto (5,2), i giochi a base sportiva (4,4), i giochi numerici a totalizzatore, ovvero superenalotto, superstar e simili (3,5). Le successive rilevazioni, riferite ai primi sette mesi del 2011, fotografano un ulteriore sviluppo, con 41,9 miliardi rastrellati e un trend di crescita del 21,45 per cento rispetto allo stesso periodo del 2010. A tutto ciò va aggiunto il parallelo mercato illegale, per un giro d’affari stimato nell’ordine dei 100 miliardi di euro l’anno.
Bastano queste cifre per comprendere che la torta è enorme? Per capire meglio che cosa sta succedendo è rivelatrice la formula coniata da Milton Friedman, premio Nobel per l’economia, nel 1949: «Quando l’economia deperisce, l’azzardo fiorisce». Più c’è crisi, più si azzarda al gioco, sperando di ribaltare magicamente la sorte. Secondo un’indagine curata dall’Associazione europea disturbi da attacchi di panico, presentata a luglio, cinque nostri connazionali su dieci considerano il gioco una concreta opportunità per uscire dalla povertà. «Ma è solo un’illusione – spiegano dall’associazione –. A rischio è la loro salute mentale. Il gioco distrugge i singoli e intere famiglie». Nonostante gli allarmi, gli italiani se la giocano eccome, con la complicità dello Stato nel ruolo di biscazziere, colui che tiene il banco. Secondo un’indagine de «Il Sole 24 Ore» dello scorso aprile, ogni abitante dello Stivale, che abbia 0 o 100 anni, spende all’anno 980 euro in giochi d’azzardo. Nella speciale classifica dei più spendaccioni, in testa ci sono i cittadini della provincia di Pavia, con oltre 2 mila euro. Seguono Como, Rimini, Savona e Reggio Emilia.
Quei quasi mille euro sono tanti, ma è chiaro che, se io non gioco, ci sarà qualcuno che nell’azzardo ne spende 2 mila. Infatti, si calcola che i circa 15 milioni di nuclei familiari coinvolti in questo consumo impegnano una cifra simile a quella riservata agli alimenti, ovvero 5 mila euro. Quando non sono molti di più, tanto da far cadere i malcapitati nelle spire dell’usura pur di tamponare gli ammanchi. Non a caso, secondo i dati della Consulta nazionale antiusura, l’azzardo è in Italia la maggior causa di ricorso a debiti e/o usura.
Il giocatore patologico
Il fattore «crisi» non è l’unico aumento progressivo ad andare a braccetto con l’azzardo. Cresce anche il numero di chi, del gioco, ne fa una malattia. Stiamo parlando del Gap, ovvero del «gioco d’azzardo patologico». Coinvolge solo una minoranza dei giocatori, ma poi non così pochi. Se l’80 per cento dei giocatori presenta assenza di rischio (indagine Cnr 2008), rimangono pur sempre 700 mila persone tra i 15 e i 64 anni con uno stile di gioco problematico, e 80 mila con uno stile patologico. Altre ricerche più recenti sono meno ottimistiche (700 mila patologici), e in ogni caso la situazione va peggiorando. È la convinzione di tutti gli osservatori di settore. Spiega Cesare Guerreschi, psicologo psicoterapeuta e fondatore della Siipac (Società italiana d’intervento sulle patologie compulsive): «La liberalizzazione del gioco d’azzardo on line è molto rischiosa e potenzialmente dannosa, proprio per le caratteristiche di capillarità del web. Gli effetti non saranno positivi soprattutto per quanto riguarda i giovani. Il rischio, tra questi, è di sviluppare una vera e propria dipendenza. Internet è un mezzo sempre più indispensabile, ma appunto per questo bisogna maneggiarlo con le dovute attenzioni. La recente introduzione del cash game nei siti di casinò on line è un campanello d’allarme per ricordarci che un semplice divertimento potrebbe diventare una grave dipendenza». La parola chiave è «dipendenza». Siamo abituati ad associarla alla droga o all’alcol, ma sono sempre più diffuse invece le dipendenze «senza sostanze», nelle quali, oltre all’azzardo, rientrano quelle dal sesso, da internet, dallo shopping, dal lavoro.
Una testimone d’eccezione in merito viene dal passato: «Non si trattava di una semplice debolezza o di abulia, ma di una passione profonda, capace di paralizzare tutti i centri di volontà e alla quale non poteva ribellarsi neanche un carattere forte. Bisognava rassegnarsi a considerare il gioco come una malattia incurabile. (…) Se non poteva andar a giocare, cadeva in preda alla disperazione, era triste, cominciava a piangere, si metteva in ginocchio davanti a me e mi supplicava di perdonarlo per le sofferenze che mi procurava». A parlare così è Anna Grigor’evna Dostoevskaja nel suo libro di memorie Dostoevskij mio marito. Il grande scrittore russo, infatti, era un chiaro esempio di persona affetta da Gap: il suo romanzo Il giocatore è stato scritto proprio per fare fronte ai debiti di gioco. Un identikit più aggiornato del giocatore compulsivo è proposto da Alfio Lucchini e Paola Cicerone nel manuale di auto aiuto Oltre l’eccesso. Quando internet, shopping, sesso, sport, lavoro, gioco diventano una dipendenza, che uscirà il 20 ottobre per la FrancoAngeli editore: «I soggetti affetti da Gap giocano spesso, diverse ore al giorno più volte la settimana, sono in prevalenza uomini con un’età media di 30 anni (40 per chi gioca alle slot machine), generalmente sposati. Puntano molto (amano il rischio), spesso fanno debiti, talvolta all’insaputa dei familiari. Hanno problemi sul lavoro (assenteismo, scarsa produttività), a casa, e non di rado con la giustizia. Sono fermamente convinti che vincere non dipenda dal caso, ma dall’abilità o da un’intuizione quasi magica. L’esordio della malattia è subdolo e si manifesta senza che il paziente se ne accorga». Si calcola che 5 mila di loro, nel solo 2010, abbiano cercato aiuto bussando alla porta dei Servizi per le dipendenze (i Sert) delle Asl, piuttosto che a quelle delle cliniche o delle associazioni specializzate.
I conti non tornano
La situazione, evidentemente, è grave. E lo Stato cosa fa? L’atteggiamento è ambiguo. Lo sottolinea il cardinale Dionigi Tettamanzi in Gioco d’azzardo e morale (Edup 2002): «Quella dello Stato è una posizione contraddittoria o schizofrenica: mentre da una parte colpisce una certa illegalità del e nel gioco, dall’altra offre un sostegno di legalità molto discutibile, anzi moralmente inaccettabile. Non è certo questa la strada per risolvere, sia pure in parte, il problema di quel “male incurabile” che è il debito pubblico».
In merito ci sono alcune aggravanti. La prima riguarda le principali vittime, ovvero i giocatori patologici. Il Gap è stato riconosciuto dall’Oms come patologia fin dal 1980, ma in Italia non è nemmeno inserito nei prontuari sanitari. Che rientri nei livelli essenziali di assistenza socio-sanitaria, e che i giocatori d’azzardo patologici in trattamento siano equiparati ai tossico-alcoldipendenti, è quanto chiedono a gran voce le associazioni. Nella lettera aperta che l’Alea (Associazione per lo studio del gioco d’azzardo e dei comportamenti a rischio) ha indirizzato a luglio ai vari ministri competenti, si sottolinea l’abbandono sanitario e sociale nel quale sono lasciati tanti nuclei famigliari.
Il secondo aspetto è di nuovo economico. La premessa è che lo Stato vieta tutte le forme di azzardo che non ha direttamente autorizzato. E allarga le concessioni quando ha necessità di fare cassa, una prassi di tutti i governi della cosiddetta «Seconda Repubblica». Così nel 1995, con Berlusconi, sono comparsi totogol e lotterie istantanee (Gratta e Vinci); nel 1997, con Prodi, il SuperenaLotto; nel 2000, con D’Alema, il Bingo; nel 2003, con Berlusconi, le slot machine; e avanti di questo passo. Praticamente a ogni Finanziaria s’introducono uno o più giochi nuovi. Anche così si spiega lo spropositato più 429 per cento di fatturato. Ha ragione il sociologo Maurizio Fiasco, consulente della Consulta nazionale antiusura, quando afferma che «il monopolio pubblico dei giochi d’azzardo era una leva per contenerne l’espansione entro i limiti socialmente tollerabili; nel tempo, invece, il monopolio dello Stato è servito per estendere incredibilmente il consumo». Questa rivoluzione è utile almeno per far quadrare i bilanci? Non proprio. E non serve essere ragionieri per capirlo. Nel 2004 il giro d’affari del gioco era di 25 miliardi di euro: lo Stato ne incamerava 7,3, ovvero il 29,5 per cento. Nel 2010, lo abbiamo visto, siamo arrivati a una spesa di 61,4 miliardi, ma appena 9,1, cioè il 14,8 per cento, sono stati incassati dall’erario. La percentuale è dimezzata! I conti, decisamente, non tornano.
Terzo punto: l’allargamento è in teoria giustificato da una motivazione etica. Perché le ultime liberalizzazioni sono state previste dal decreto Abruzzo del 2009, volto a raccogliere fondi per la ricostruzione de L’Aquila. Il fatto è che, come denunciato a maggio da Report di Milena Gabanelli, i circa 500 milioni l’anno che avrebbero dovuto essere consegnati ai terremotati abruzzesi non sono mai giunti a destinazione. «I motivi sociali – sostiene Guerreschi – sono solo un alibi o meglio una copertura per giustificare ulteriori liberalizzazioni al gioco».
Ultimo appunto allo Stato riguarda la comunicazione commerciale. Per altri prodotti a rischio dipendenza, come sigarette e alcol, ci sono precisi disciplinari che limitano o vietano la pubblicità. Nulla di tutto ciò per le scommesse, anzi. Basta guardare gli sponsor delle squadre di calcio della massima serie, per non parlare della serie B, che prende il nome da un concessionario di scommesse sportive.
Come arricchirsi con l’azzardo
In conclusione, merita di essere segnalato un libro molto eloquente, Come diventare ricchi con i giochi d’azzardo. Metodo matematico garantito, a firma del giocologo Ennio Peres. Il libro contiene una sola pagina dove si legge: «L’unico sistema sicuro per diventare ricchi con i giochi d’azzardo è il seguente. Scrivete un libro dal titolo “Come diventare ricchi con i giochi d’azzardo” e vendetene moltissime copie. Auguri!». Per la serie: se non giochi, non perdi.
I giocatori adolescenti
Secondo le ultime stime, 450 mila studentesse e 720 mila studenti, cioè il 47,1 per cento dei giovani che frequentano le scuole superiori, sono coinvolti nel gioco d’azzardo. Uno scenario preoccupante: ne abbiamo parlato con Cesare Guerreschi, psicologo psicoterapeuta.
«L’adolescente è un giocatore fortemente a rischio dipendenza. I sentimenti di noia, apatia e rincorsa a emozioni forti sono abbastanza comuni tra i giovani: per questo spesso sono attratti da scommesse e poker on line, dove la componente di abilità è sì presente, ma in questi casi risulta essere un fattore che può nascondere una vera e propria compulsione».
Msa. Chi difende il poker lo definisce uno sport in cui è l’abilità a fare la differenza, molto diverso dalla semplice casualità.
Guerreschi. Il poker è senza dubbio estremamente avvincente e accattivante: è anche per questo che sta spopolando nel web. Le doti di abilità propria sono una parte importante in questo gioco e ne è dimostrazione la presenza di numerosi giocatori professionisti, emulati sciaguratamente da milioni di altri ragazzi e ragazze che credono di avere qualche capacità particolare. Il problema nasce nel momento in cui il giocatore di poker perde il controllo, esce dalla modalità «responsabile» e inizia a perdere ore e ore davanti allo schermo del computer alimentando un’abitudine troppo rischiosa, specie per un adolescente.
Le specificità del gioco on line lo rendono ancora più rischioso?
Sì. I motivi sono sostanzialmente la facile reperibilità e accessibilità; la pubblicità massiccia e pressante sulla maggior parte dei siti web; la comodità di giocare direttamente dal divano di casa.
Come evitare che i ragazzi restino invischiati nell’azzardo?
Per evitare che i giovani incorrano in questo pericolo è quanto mai necessario sensibilizzarli e informarli attraverso i loro canali di apprendimento sui rischi di cadere in una dipendenza.