Gianrico Carofiglio. Il colore delle parole

Oltre che per comunicare e raccontare, le parole possono essere usate anche per modificare la realtà. Occorre restituire loro senso e consistenza: lo sostiene uno scrittore che ha venduto tre milioni di copie di libri.
26 Ottobre 2011 | di

È da poco in libreria il suo ultimo romanzo, Il silenzio dell’onda, nel quale racconta l’intrecciarsi di tre vite che apparentemente non hanno nulla in comune. Una storia, dalla narrazione serrata e struggente, che parla di padri e di figli, di caduta e di riscatto della vita. Stiamo parlando di Gianrico Carofiglio, magistrato e scrittore che, dopo numerose pubblicazioni giuridiche e specialistiche, una decina di anni fa esordì con successo nella narrativa. Autore apprezzato nel panorama editoriale italiano e straniero sin dai suoi primi libri – alcuni dei quali hanno come protagonista l’avvocato Guido Guerrieri –, ha abituato i lettori a storie dal ritmo incalzante.

Con uno stile pulito e a tratti ironico, Carofiglio sa approdare negli spazi profondi dell’animo umano descrivendolo con levità e naturalezza. Ma sappiamo bene che è difficile indagare emozioni e sentimenti e poi raccontarli senza fare un uso improprio o eccessivo delle parole. Occorre pulizia nella scrittura, occorre che il lavoro nasconda il lavoro, come ricorda Erich-Emmanuel Schmitt, rimarcando al contempo l’estremo peso che una goccia di inchiostro può avere sull’animo ancor prima che su un foglio. Parrebbe una contraddizione per uno che di mestiere maneggia le parole e ridisegna la realtà inventando le storie. Ma è lo stesso Carofiglio a spiegarlo nel suo saggio La manomissione delle parole nel quale scrive che, oltre a comunicare e a raccontare, le parole possono anche essere usate per realizzare cambiamenti o modificare la realtà. Oggi alcune parole sono state stravolte, consumate e spesso svuotate del loro significato originario e ciò vale per le cinque analizzate nel saggio: vergogna, giustizia, ribellione, bellezza e scelta. Lo scrittore ci mette in guardia dalla «manomissione» delle parole, da chi ne fa un uso «sciatto e inconsapevole» o ne «manipola deliberatamente il significato» con l’effetto di renderle, alla fine, dei «bozzoli inutili».

Scrive l’autore: «Dobbiamo restituire senso, consistenza, colore, suono, odore alle parole. E per fare questo dobbiamo farle a pezzi e poi ricostruirle». È un’operazione di rottura e ricostruzione, una «manutenzione» attenta che può ridare alle parole la loro forza originaria: anche questa per Gianrico Carofiglio si chiama «manomissione».
Ogni scrittore sa bene che dal momento in cui comincia a scrivere una storia, accetta di consegnare un pezzo di sé nelle mani degli altri. A volte sono piccole emozioni, a volte grandi sentimenti che pian piano gli fanno stringere quel tipo di amicizia speciale con qualcuno che probabilmente non incontrerà mai. Un’amicizia che scorre esclusivamente sulle righe di un foglio e che lentamente può alimentare la vita e i sogni di chi legge.

Msa. In questo senso lo scrittore ha una responsabilità.
Carofiglio. Sì. Una grande responsabilità. Infatti per me le qualità fondamentali di uno scrittore sono l’onestà e il rispetto per i lettori. Si deve scrivere dicendo la verità, che non significa, naturalmente, raccontare fatti realmente accaduti. Significa parlare con sincerità dei sentimenti, non usare «trucchi da quattro soldi», come diceva Raymond Carver, cioè evitare gli stereotipi, le frasi fatte, le parole abusate. Significa aver il coraggio di addentrarsi nelle proprie zone oscure per poi raccontarle senza reticenze.

Come e quando ha capito di poter scrivere?
Ho sempre desiderato scrivere, da quando ero un bambino di otto-nove anni. Per molto tempo ho continuato a ripetere che un giorno avrei scritto un romanzo, ma col passare degli anni io stesso ci credevo sempre meno. Mi sembrava un’aspirazione troppo velleitaria.
Ci ho provato seriamente nel 2000, ma ho davvero capito di poterlo fare solo dopo aver finito il mio primo romanzo, nel maggio del 2001.

La vita è una storia che si dipana nel tempo. Possiamo affermare che lo scrittore ci aiuta a cogliere la dimensione narrativa della nostra esistenza?
Direi di sì. A questo proposito mi permetta di citare una frase di Chesterton (il creatore del personaggio di padre Brown) che amo molto: «Le fiabe non dicono ai bambini che i draghi esistono. Questo i bambini lo sanno già. Le fiabe dicono ai bambini che i draghi possono essere sconfitti».

Le chiederei di commentare la frase dello scultore Giuseppe Rivadossi: «La scienza è conoscenza, l’arte (la scultura come la poesia) è riconoscenza nei confronti di quella bellezza che è fatta di amore e riconciliazione con la vita, alla quale l’opera d’arte può contribuire».
È una bella frase e la condivido, anche se forse è un po’ riduttiva. Il tema della bellezza è fondamentale – ho dedicato proprio alla bellezza un capitolo del mio libro, cercando di riflettere sulla dimensione etica e civile di questa parola – ma io credo che l’arte sia anche e in ugual misura un percorso di conoscenza».

Rubem Alves, scrittore brasiliano, ci ricorda che sapere e sapore derivano dalla stessa parola latina. Quindi leggere significa anche mangiare, ma le parole devono essere digeribili! Che cosa ne pensa?
Sono del tutto d’accordo. Devono essere digeribili e dunque ben cucinate, possibilmente senza troppi grassi, senza additivi artificiali, utilizzando ingredienti sani e cercando combinazioni nuove. È un altro modo per dire che bisogna scrivere in modo pulito e onesto ma anche, ogni volta che è possibile, sorprendente.

I sogni nutrono spesso le nostre vite. Qual è il suo sogno oggi?
Ne ho tanti, per fortuna. Mi piacerebbe imparare a disegnare e a dipingere; mi piacerebbe imparare la musica; vorrei imparare tante nuove lingue (adesso parlo inglese, francese e un po’ di spagnolo). Naturalmente vorrei scrivere nuovi libri, trovando nuove idee e nuove strade, raccontando nuove storie che piacciano a me e ai lettori. Mi piacerebbe attenermi sempre a una vecchia massima che mi è sempre piaciuta moltissimo e che suona più o meno così: «Non è che si smetta di giocare perché si diventa vecchi; la verità è che si diventa vecchi perché si smette di giocare». Ecco, forse il desiderio che racchiude tutti gli altri è proprio questo: riuscire sempre a mantenere lo stesso atteggiamento fanciullesco e lo stesso stupore per tutte le cose straordinarie dell’esistenza.

A proposito di sogni, non ha mai pensato di scrivere una storia per bambini?
Ci penso spesso. Uno dei miei desideri – o delle mie aspirazioni – è di scrivere un libro che possa essere letto, in modi diversi naturalmente, sia dagli adulti che dai bambini. Non so bene adesso quali saranno i miei programmi, ma ho qualche idea e questa è una delle cose che potrei fare nei prossimi mesi.

Nel suo ultimo romanzo, fresco di stampa, Il silenzio dell’onda, lei ci racconta una storia di riscatto e di rinascita da un passato doloroso.
È un tema che mi ha sempre affascinato, quello della caduta e del riscatto. L’idea che non esista nessuna colpa irreparabile e che tutto ruoti attorno alle nascoste, straordinarie capacità degli uomini e delle donne di rovesciare destini che sembrano sovrastarli. Direi che il senso fondamentale de Il silenzio dell’onda è proprio in questo tema.
           
Il nuovo romanzo

«Il silenzio dell’onda»
Da mesi, il lunedì e il giovedì, Roberto Marìas attraversa a piedi il centro di Roma per raggiungere lo studio di uno psicanalista. Si siede davanti a lui, e spesso rimane in silenzio. Talvolta i ricordi affiorano. E lo riportano al tempo in cui lui e suo padre affrontavano le onde dell’oceano sulla tavola da surf. Lo riportano agli anni rischiosi del suo lavoro di agente sotto copertura, quando ha conosciuto il cinismo, la corruzione, l’orrore. Fuori, ma anche dentro di sé. Di professione fantasma, ha imparato a ingannare, a tradire, a sparire senza lasciare traccia. Una vita che lo ha ubriacato e travolto. Le parole del dottore, le passeggiate ipnotiche in una Roma che lentamente si svela ai suoi occhi, l’incontro con Emma, come lui danneggiata dall’indicibilità della colpa, gli permettono di tornare in superficie. E quando Giacomo gli chiede aiuto contro i suoi incubi di undicenne, Roberto scopre una strada di riscatto e di rinascita. (Rizzoli, pagine 300, euro 19,00).
 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017