Col sorriso sulle labbra

Salvifico e terapeutico, cura le piaghe del corpo e medica le ferite dell’anima. Un’espressione del viso semplice e contagiosa, simbolo di un profondo bisogno di dialogo, di amore e di solidarietà. Il perché è così importante imparare a sorridere.
25 Novembre 2011 | di

 Può una catena di sorrisi, da sola, portare la felicità a un gran numero di persone, passando di volto in volto? Parrebbe di sì, o almeno questa è la convinzione dell’undicenne Trevor, che ha elaborato una singolare teoria basata su un modello che non è né economico né sociologico, ma esperienziale. Una teoria che ha anche un nome: «Movimento passa il favore». A spiegarne il principio fondante è lo stesso Trevor, al quale un insegnante ha affidato come compito quello di immaginare un gesto che potrebbe cambiare il mondo: «Questo sono io e queste sono tre persone a cui darò il mio aiuto. Ma deve essere qualcosa di importante, una cosa che non possono fare da sole. Perciò io la farò per loro e loro la faranno per altre tre persone». La ricetta è di un’ovvietà disarmante. Stando a quest’insegnamento, anche un sorriso può rappresentare qualcosa di veramente importante: da solo, ne genera subito altri tre, poi altri nove e così via. Troppo semplice per essere vero. Semplice come guardare un film e sognare di tornare bambini. Il film in questione è Un sogno per domani e Trevor ne è il protagonista. Non quindi un acclamato ricercatore o un illustre psicologo, ma semplicemente un bambino come tanti, in un film come tanti.

A volte, però, la realtà supera la fantasia e si resta meravigliati nello scoprire che di catene del sorriso, al mondo, ne esistono davvero, e tante. Uno studio, pubblicato sul «British Journal of Medicine», condotto per la prima volta su vasta scala – un campione di 5 mila persone controllate periodicamente per vent’anni – lo ha di recente dimostrato. Il contagio emozionale prodotto dai sorrisi si trasmette attraverso la rete sociale fino alla terza cerchia di conoscenze, purché queste ultime siano incontrate e frequentate con costanza.
Smile train conferma la regola: centosessanta volontari e più di mille espressioni felici donate in soli tre anni. Sorrisi regalati ai volti dei bambini del Sud del mondo – sfigurati da una malformazione congenita della bocca o da traumi da guerra – spesso privati del pane, dell’acqua, ma anche di un’emozione felice. In questo caso il motivo del mancato sorriso è una menomazione e non un dolore dell’anima come accade, magari, nell’Occidente, dove la scienza per la cura del sorriso ha a che fare con la psicologia e poco con la chirurgia.
Spiega Fabio Massimo Abenavoli, specialista in chirurgia plastica ricostruttiva e maxillo-facciale, presidente di Smile train Italia onlus: «A essere preclusa non è solo la possibilità di sorridere. Il problema comprende anche la difficoltà o l’impossibilità di parlare, mangiare, respirare, senza contare il grave disagio e l’isolamento sociale che ne deriva». Dietro ai sorrisi del Sud del mondo si cela quindi un grande valore, ovvero «il diritto che ogni individuo ha alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona», così come sancisce la Dichiarazione dei diritti dell’uomo. «Con l’intervento chirurgico – prosegue Abenavoli – non solo rimettiamo in asse tutte le strutture necessarie a elaborare un sorriso, ma restituiamo al nostro piccolo paziente il diritto a una vita normale».
 
Serenità terapeutica

La letizia in volto, portatrice di un messaggio di per sé antiaggressivo, antigerarchico e socialmente coesivo, rappresenta, non a caso, un’importante forma di regolazione del comportamento espressivo che riguarda tanto gli aspetti interattivi e sociali quanto l’esternazione e la comunicazione delle emozioni. A confermarne il valore terapeutico è, tra le altre, l’esperienza stessa di Smile train, per cui il sorriso simboleggia il binario su cui corre la comunicazione tra chirurgo e paziente, mediata da un linguaggio universale che, riaccendendosi, unisce due culture diverse.

Secondo Umberto Veronesi, riferimento internazionale per la lotta contro il cancro e direttore scientifico dell’Istituto europeo di oncologia di Milano, il sorriso rappresenta una delle componenti magiche della medicina moderna, attraverso cui poter influenzare psicologicamente il paziente. «Il malato chiede sempre di essere amato, in tutto il suo percorso di cura – racconta Veronesi nella prefazione del libro La metà del viso –. Per questo ha bisogno di un medico capace di trasmettere, anche con un gesto, uno sguardo, un sorriso, la certezza che non solo sta curando il malato, ma che si sta prendendo cura di lui. Un medico capace di entrare non solo nel corpo ma anche nella mente del suo paziente, di condividere con lui il peso psicologico della malattia, di partecipare al suo desiderio di volersi rimettere in gioco. Con un sorriso, il medico può lenire la sofferenza, dissipare l’ansia, dare una mano alla sua voglia di lottare contro la malattia e di vincere la sfida».
Il sorriso è la medicina naturale che ci fa stare meglio, dunque, ma anche la cartina di tornasole, la fotografia deputata a riflettere il nostro stato di benessere.
E proprio una fotografia come se ne scattano tante, sulla quale alcuni visi sorridono e altri no, è stata oggetto di uno studio da parte di un gruppo di ricercatori dell’università di Berkeley, decisi a scoprire se esistesse un nesso tra l’espressione al momento dello scatto e la promessa di una vita futura felice. Nel complesso è emerso che i soggetti più sorridenti non solo presentavano i livelli più bassi di emozioni negative, ma, a distanza di anni, manifestavano una sensazione di vita felice. Il sorriso, dunque, è qualcosa di più dell’espressione di uno stato d’animo momentaneo: riflette, infatti, un’inclinazione durevole.
 
Chi sorride sta meglio

Ma il sorriso potenzialmente è anche altro: scherno, aggressività, freddezza. Quali caratteristiche ha allora quel movimento espressivo ascrivibile a un atteggiamento facciale di benessere? A questa domanda risponde Pio Enrico Ricci Bitti, ordinario di Psicologia generale all’università di Bologna, responsabile di una serie di esperimenti sulla natura sociale ed emotiva del sorriso: «I sorrisi che esprimono emozioni positive implicano la presenza di almeno due movimenti mimici, ovvero l’innalzamento e l’allargamento degli angoli delle labbra, a opera del muscolo zigomatico maggiore, e la contrazione del muscolo orbicolare dell’occhio. In alcuni studi è stato analizzato il sorriso che esprime sensazioni piacevoli, un caso che potrebbe essere ascritto, in senso lato, al benessere: all’innalzamento e all’allargamento degli angoli delle labbra si associano una lieve apertura della bocca e una relativa riduzione della rima palpebrale». Ma quindi, quali sono gli effetti del sorriso sul benessere psicofisico? In merito interviene Pasquale Ionata, psicologo e psicoterapeuta, già docente di psicologia della personalità alla Pontificia facoltà Auxilium di Roma: «L’azione benefica sul nostro corpo si traduce in rapide contrazioni ritmiche delle fibre muscolari del diaframma. Esse producono un massaggio salutare sugli organi addominali, stimolandone le funzioni, attivando le secrezioni digestive ed epatiche; influiscono, inoltre, sul ritmo respiratorio, attivano la funzione polmonare e l’azione del cuore, producendo una migliore ossigenazione. Ma ben maggiore è l’utilità psicologica del sorriso». Non a caso, in psicoterapia, le conquiste più importanti sono quelle che prevedono un diretto coinvolgimento delle stesse risorse del paziente. Di conseguenza, il sorriso, appropriatamente stimolato, ha in sé una notevole efficacia terapeutica, in quanto aziona le dinamiche alla base del benessere. La trama della nostra felicità è data infatti – come mostra la maggior parte degli studi sul tema – più dalla frequenza e dalla ripetizione di piccoli stati d’animo che dalla presenza di grandi sommovimenti emozionali.
 
Rimedio per la fatica

«A essere innescato – prosegue Ionata – è l’allentamento della tensione psichica, che produce un grande sollievo e un benefico rilassamento interno, sostituendo all’attività di facoltà affaticate quella di altre più fresche, utilizzate di rado. Quando si è stanchi ed eccitati, è più facile ottenere il riposo in questo modo piuttosto che rifugiandosi nell’inazione, durante la quale la mente continua a svolgere a vuoto il suo febbrile lavoro. Altra funzione utile del sorriso è quella di costituire uno sfogo innocuo e opportuno delle tendenze represse. Anzitutto di quella ludica, dell’inclinazione a giocare che è assai viva in noi e di cui non si tiene abbastanza conto. Troppo presto e troppo duramente viene represso il nostro “io bambino” che, grazie a un sorriso, può invece risvegliarsi, riaffiorare e ravvivarci».
Da un punto di vista fenomenologico, sorriso e riso sfumano l’uno nell’altro. «Lo psicologo Owen Fitzpatrick, allievo di un grande della psicoterapia come Richard Bandler – conclude Pasquale Ionata –, ha scoperto che ciò che accomuna i migliori comici è l’incredibile capacità di osservare una data situazione e di trovarne il lato divertente. Le sue scoperte sono note come la tecnica del “Filtro per ridere”. Essa consiste nel guardare a ciò che disturba attraverso gli occhi di un comico: immaginando, cioè, di dover presentare una scenetta o un monologo incentrato su un problema personale, provando a esagerare platealmente l’esperienza. La forza di una risata e di un sorriso possono aiutare a gestire in maniera efficace ogni tipo di problema e, in generale, rendono la vita più facile e divertente». Resta solo da chiedersi: quali favori – per dirla alla maniera di Trevor – possiamo «passare» al nostro prossimo? Tanto per iniziare, basta sorridere.
 
 
Zoom. Come allenarsi al sorriso
 
- I pensieri positivi della sera
Questo esercizio è un classico della psicologia positiva. Consiste nel focalizzarsi, poco prima di addormentarsi, sui bei momenti trascorsi durante la giornata. Non occorre ricercare grandi vissuti, basta evocare piccole gioie quotidiane.
- Sostenersi nei momenti positivi
La condivisione sociale è un regolatore delle emozioni che funziona al ribasso per quelle negative, grazie a un effetto di sostegno, e al rialzo per quelle positive. Esprimerle, dunque, consente di codificarle nella nostra memoria, trasformandole in risorse a cui attingere per affrontare
le avversità future.
- Conoscere le proprie esigenze di felicità.
La tendenza a fossilizzarsi sulle abitudini e ad accontentarsi delle «felicità commerciali» deve essere contrastata riflettendo regolarmente su ciò che realmente piace.
- Non perdere mai di vista le proprie priorità
È fondamentale avere sempre ben presente la differenza tra ciò che è urgente e ciò che è importante. Tra le cose urgenti rientra, ad esempio, fare la spesa, cucinare, lavorare; tra quelle importanti, stare bene con le persone care, meditare, dedicarsi a una lettura, pregare.
In generale, ciò che è urgente è rumoroso e mobilita, mentre ciò che è importante è silenzioso e si lascia dimenticare facilmente.
Perdere di vista le cose importanti provoca un’inspiegabile sensazione di frustrazione e di vuoto esistenziale a cui, in un primo momento, è difficile dare una spiegazione. Sino a quando finalmente capiamo: da quanto tempo non sorrido? E se fosse questa la mia malattia?
- Pregare
«La preghiera dell’uomo triste non ha mai la forza di salire fino a Dio. Poiché si prega solo nello sconforto, se ne dedurrà che nessuna preghiera è mai giunta a destinazione». Questa frase paradossale, attribuita a uno gnostico del II secolo, insegna una cosa importante: si prega anche con il sorriso.
- Annoverare il sorriso tra i propri valori personali
Memorizziamo meglio una situazione satura di emozioni se queste ultime sono associate a dei valori. Pertanto, valorizzando il potere, saranno ricordati soprattutto i successi; privilegiando il denaro, i guadagni e gli arricchimenti conquistati. Al contrario, ricercando il sorriso, risulterà più facile far riaffiorare i ricordi legati ai momenti felici.
 
(tratto da Christophe André, Quattro lezioni di pace interiore. Viaggio attraverso gli stati d’animo, Corbaccio, Milano 2009)

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017