Famiglia, fede, nuova evangelizzazione
Entrando in quest’anno vogliamo guardare, fin da subito, in avanti. Innanzitutto a un appuntamento che anche la nostra rivista intende preparare con riflessioni e tanta informazione. Si tratta del VII Incontro mondiale delle famiglie che si terrà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno, con una conclusione, di domenica, che vedrà la presenza di papa Benedetto XVI. La Famiglia: il lavoro e la festa, questo il titolo del raduno milanese che mette a tema, nella prospettiva di un lavoro sempre più precario e di un fare festa ridotto spesso a pura evasione fino alla trasgressione, il tema della famiglia che molto sta a cuore alla Chiesa, e non solo. Con parole argute il cardinal Ravasi definisce la famiglia dei nostri giorni «un sorvegliato speciale o malato al cui capezzale s’affannano psicologi, sociologi, moralisti, pastori di chiese e così via». Le diagnosi si moltiplicano, ma le cose non cambiano. Eppure tutti noi veniamo da una famiglia, generalmente viviamo in una famiglia o in relazione a una famiglia, molti di noi desiderano farsi una famiglia. Perché a ben guardare la famiglia resta in vetta ai desideri di quei giovani che ci ostiniamo a definire fragili e senza ideali, che molto si aspettano da adulti a volte disillusi e poco convinti di avere modelli da proporre. Nei prossimi mesi, dunque, parleremo di famiglia sostenibile, meno conflittuale, in ascolto della novità della parola di Dio.
Più che un appuntamento, quello che ora segnalo sarà un lungo e intenso periodo da mettere a frutto: dall’11 ottobre 2012 (cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II) al 24 novembre 2013 (solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo) Benedetto XVI ha indetto un Anno della fede. Non è del tutto una novità, visto che già nel 1967 un simile evento era stato proposto da papa Paolo VI affinché la Chiesa del primo postconcilio giungesse a professare con più consapevolezza la stessa fede, ma l’opportunità di ritornare sul tema della fede, di rinsaldare il credere incerto e frammentario di molti, di mostrare nuovamente plausibile la fede cristiana nel vasto contesto secolarizzato, è un fatto degno di nota. Sappiamo, inoltre, che si tratta di una delle insistenze del magistero di Benedetto XVI fin dall’inizio del suo pontificato: la fede non è innanzitutto sforzo morale e nemmeno può essere surrogata dal buonismo, cioè da forme generiche di carità. Al centro dell’Anno della fede starà dunque la conversione intesa come purificazione e trasformazione di «pensieri e affetti, mentalità e comportamento». Nelle questioni centrali della vita, e tra queste va collocata la fede, non esiste il low cost, ma si esige la seria assunzione di un cammino che se da una parte sradica dall’altra fa nuovamente e più pienamente fiorire.
Il terzo appuntamento di rilievo sarà senz’altro il Sinodo dei Vescovi indetto nel prossimo ottobre intorno al tema La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana. C’è da dire che l’espressione nuova evangelizzazione sprigiona un grande fascino, quel fascino che l’ha tenuta nel campo ecclesiale e nel linguaggio della fede per più di un trentennio, da quando cioè, nel 1979, fu coniata da Giovanni Paolo II. La sua forza sta nell’evocare quello che non c’è e dovrebbe esserci: una evangelizzazione insieme all’altezza dei tempi e all’altezza del Vangelo. È necessario andare – dicono con grande chiarezza i Lineamenta, il documento preparatorio del Sinodo – oltre il «business as usual» (oltre la «routine di sempre») che non macina più, oltre quella pastorale formato bonsai che consiste nel continuare a fare con pochi (oltre che nello stesso modo) quello che prima si faceva con molti. Come amava dire il grande direttore d’orchestra Gustav Mahler, «la tradizione non è culto delle ceneri ma custodia del fuoco», e solo con questo spirito il cristianesimo potrà accendere futuro e accedervi.