Ancora sulle «Famiglie ferite»

L’infedeltà di un coniuge rende la fedeltà dell’altro ancora più necessaria. Chi accetta il dolore incolpevole rafforza la propria libertà e si fa eco della misericordia del Signore.
27 Dicembre 2011 | di

Dopo i miei interventi dello scorso settembre, sulle «Famiglie ferite», e di luglio – «Sposi, cioè genitori sempre», a proposito dei miei rapidi cenni sull’adozione e sull’affido – sono giunte in redazione alcune lettere che mi hanno provocato a riprendere il dialogo. Parole pesanti e grondanti dell’amarezza di spose umiliate, vittime di un abbandono che hanno cercato tenacemente ma inutilmente di scongiurare, o di genitori mancati che, dopo aver invano tentato la strada dell’adozio­ne, si sono dovuti arrendere davanti ai troppi ostacoli di tipo burocratico o economico.

Il mistero del dolore, soprattutto del dolore incolpevole, è durissimo da accettare. Non bastano certo le parole. Si può solo condividerlo. E si può osare farlo unicamente perché si è certi che Cristo l’ha condiviso fino in fondo, bevendo fino all’ultima goccia il calice del suo sacrificio sulla Croce. Così, in questo mistero di amore abissale, il Signore ha salvato il dolore di ogni uomo.
Dove, in questo mio dialogo mensile con voi, ho toccato dei tasti dolorosi della vita di molti esprimendo il mio giudizio, o meglio, facendomi portavoce del giudizio della Chiesa, esperta in umanità, le mie parole hanno voluto soltanto essere un’umile eco della Sua compagnia al vostro dolore. 
Il giudizio, autenticamente e cristianamente inteso, non è mai una condanna, ma piuttosto l’umile testimonianza resa alla verità che apre alla speranza.

E la verità del disegno di Dio sul matrimonio è affermata con forza dal Vangelo: «Quello che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi» (Mt 19,6). «Il vincolo matrimoniale – riprende il Catechismo – è dunque stabilito da Dio stesso, così che il matrimonio concluso e consumato tra battezzati non può mai essere sciolto. Questo vincolo, che risulta dall’atto umano libero degli sposi e dalla consumazione del matrimonio, è una realtà ormai irrevocabile e dà origine a un’alleanza garantita dalla fedeltà di Dio. Non è in potere della Chiesa pronunciarsi contro questa disposizione della sapienza divina» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1640). Per il cristiano tutta la vita è vocazione. Ogni rapporto e ogni circostanza vissuti nella verità sono parte del disegno di Dio su di noi, come strada del rapporto con Lui. Attraverso quell’ingiustizia che tu senti come incomprensibile e inaccettabile, è Gesù che ti chiama e ti chiede, come fece con Pietro: «Mi ami tu?».
Per questo, se anche il rapporto finisce, il tuo matrimonio non finisce. Il tuo matrimonio, infatti, non è riducibile al rapporto con tuo marito o con tua moglie; in esso è presente l’iniziativa di Dio cui tu hai aderito pubblicamente nel sacramento del matrimonio. Certo l’infedeltà di tuo marito o di tua moglie rende molto dolorosa la tua fedeltà, ma da un certo punto di vista non la tocca, anzi la rende ancora più necessaria. Questa, a ben vedere, rafforza la tua libertà, se no tu sei prigioniero del limite dell’altro e del tuo.
 
Il disegno misterioso del Padre potrebbe chiederti, come chiese al profeta Osea, di «portare» fino alla fine dei tuoi giorni una moglie (o un marito) che non ne vuol più sapere di te e ti umilia fino a deriderti. E tu, abbracciando questa condizione, diventeresti una eco della indomabile misericordia di Dio. Segno oggettivo, tanto più luminoso quanto più «scarnificato», della totale gratuità con cui Egli ama l’uomo. Perciò straordinariamente fecondo e capace di sostenere la speranza degli uomini. Conosco non pochi uomini e donne che vivono così. «Come è possibile?», mi chiedi. Ti rispondo, consapevole della vertigine che questa posizione dà, con le parole dell’Angelo alla Vergine: «Nulla è impossibile a Dio». E insieme a te ricordo le parole che Gesù, poche ore prima di consegnare se stesso sulla croce, ha detto ai suoi: «Coraggio, io ho vinto il mondo» (Gv 16,33).
 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017