Veleni d’Italia

Una mappa dettagliata delle aree critiche del nostro Paese racconta decenni di sviluppo selvaggio che ha contaminato l’ambiente, e condannato migliaia di cittadini a malattie e lutti. Una triste eredità anche per le prossime generazioni.
25 Gennaio 2012 | di

 Bere un bicchiere d’acqua fresca. Consumare un buon piatto di pasta al pomodoro. O una gustosa insalata con le primizie del vostro orto. Gesti semplici e consueti. Eppure molto pericolosi se vi trovate a vivere in alcune aree dell’Italia dove decenni di industrializzazione hanno lasciato la loro eredità più micidiale: la contaminazione dell’ambiente con sostanze nocive che, come un famelico mostro mitologico, invisibile e silenzioso, continua a divorare lentamente le sue vittime. Oggi, di quel «mostro», è stato fatto un identikit. A vederlo così, a macchia di leopardo, somiglia alla Tac di un organo vitale aggredito da una malattia. Quasi una metafora della condizione di chi vi dimora. Una nemesi perfetta con cui l’ambiente ha ripagato chi l’ha inquinato. Tuttavia, a osservare bene la cartina geografica dell’«Italia dei veleni», elaborata dall’Istituto superiore di sanità, vengono i brividi. L’elenco completo dei Comuni coinvolti si trova su internet: http://www.epiprev.it/sites/default/files/EP2011Sentieri2_lr_bis.pdf..

Le aree evidenziate in corrispondenza dei siti in cui sono state riscontrate significative condizioni di inquinamento e degrado causate, negli anni, dagli insediamenti industriali, sono la cruda realtà fotografata da Sentieri, acronimo di «Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio inquinamento»: la prima mappa dell’Italia avvelenata da amianto, diossina, idrocarburi, metalli pesanti. Responsabile non è solo la chimica, ma anche l’industria petrolchimica e della raffinazione, quella siderurgica, l’industria che produce energia elettrica, le miniere, i siti collegati all’amianto e ad altre fibre minerali; le discariche e gli inceneritori. Lo studio, durato tre anni, ha preso in considerazione quarantaquattro dei cinquantasette siti compresi attualmente nel «Programma nazionale di bonifica». I quarantaquattro Sin, cioè Siti di interesse nazionale, sono tra le più grandi realtà industriali italiane, al cui interno si contano molteplici attività produttive, la maggior parte delle quali ha operato anche per più di cinquant’anni.
Sentieri è, a suo modo, un viaggio nel passato. Gli studi epidemiologici hanno coperto un arco di tempo piuttosto lungo. Non possono, cioè, essere letti come un dato tout-court riferito agli ultimi mesi. La contaminazione ambientale è, infatti, il risultato di anni di inquinamento industriale, in parte ridimensionato – per fortuna – dai mutati scenari economici e industriali, italiani e internazionali. Tuttavia i suoi effetti continuano a uccidere. Forse l’unico «limite» della ricerca è che non abbraccia centinaia o, probabilmente, migliaia di altre realtà «minori», sparse sul territorio italiano, di cui si sa poco o nulla, o di cui non si parla, ma che certamente esistono, a giudicare dai vari forum che si trovano su internet, laddove cittadini indignati segnalano piccole e grandi emergenze, lamentando, per esempio, tassi anomali di mortalità in famiglia e nel circondario, o rievocando vicende, magari dimenticate, legate a insediamenti industriali nel loro territorio a fronte, talvolta, di un’informazione deficitaria che, quando non latita, nicchia o, peggio, ammicca. Spesso i rifiuti tossici sono un bel business per le eco-mafie. E chi apre bocca, rischia la vita. Lo sa bene Christian Abbondanza, presidente della Casa della legalità di Genova (www.casadellalegalita.org), vittima di continue intimidazioni. L’associazione denuncia, da anni, le infiltrazioni della mafia e della ’ndrangheta nel Nord Italia. E ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica la questione dei veleni di Pitelli, dell’Acna di Cengio e della Stoppani, gli affari delle cosche sul litorale ligure, tra politica e imprenditoria.
 
I killer silenziosi
Finanziato dal ministero della Salute, nell’ambito del Programma strategico nazionale «Ambiente e Salute», Sentieri si è concentrato sull’analisi del tasso di mortalità delle popolazioni residenti in prossimità di grandi insediamenti industriali italiani – attivi o dismessi –, e nelle vicinanze di aree destinate allo smaltimento di rifiuti industriali pericolosi. E che, in questi casi, hanno ottenuto il riconoscimento di Sin. Ogni Sin comprende uno o più Comuni. La popolazione che vive nei Sin studiati corrisponde all’incirca al 10 per cento della popolazione italiana, con concentrazioni di abitanti che vanno da 202 residenti di Emarese (AO), a 1.314.222 abitanti del litorale Domizio flegreo e dell’Agro aversano, in Campania, tenendo conto dei dati dell’ultimo censimento del 2001. Nelle aree prese in considerazione, si è registrato un totale di decessi, tra uomini e donne, pari a 403.692 persone: un’enormità rispetto alle 9.969 persone attese. La quasi totalità dei decessi è stata censita al Centro-Sud.

«In queste aree è in atto uno sforzo importante dello Stato e degli enti locali – precisa uno degli autori dello studio, Pietro Comba, dell’Istituto superiore di sanità –. Sforzo che sta portando a una progressiva riduzione delle emissioni e alla bonifica di terreni e falde inquinate. Tuttavia non bisogna abbassare il livello di attenzione – ammonisce Comba –. Noi abbiamo raccomandato di migliorare la conoscenza attuale dei livelli di inquinamento ambientale e delle esposizioni professionali perché permane la presenza di sostanze cancerogene industriali. Inoltre abbiamo sollecitato l’attivazione di specifici programmi di sorveglianza sanitaria».
La mappa di Sentieri, al di là dell’algido nitore statistico, riflette le vicende umane di migliaia di persone: drammi familiari, malattie devastanti, sofferenze inaudite, morti premature, malformazioni prenatali.
Spesso l’inquinamento industriale ha colpito – in anticipo su molte altre categorie sociali – gli stessi lavoratori delle aziende inquinanti, condannati a morte per primi da un’industrializzazione incalzante: quella nata dal boom economico italiano degli anni Cinquanta; un trend protrattosi almeno fino alla fine del XX secolo, e le cui tragiche conseguenze si sono già palesate, e continueranno a incidere, sulla salute dei cittadini e sulla salubrità di insediamenti urbani e rurali, anche negli anni a venire. Le regioni che stanno pagando il prezzo più alto sono il Piemonte, la Sardegna e la Campania. Ma non scherza nemmeno il Veneto con Porto Marghera, Venezia e Mestre. «Molte aziende, quando dovrebbero iniziare a bonificare le aree che hanno inquinato, preferiscono chiudere e trasferire gli impianti industriali nei Paesi in via di sviluppo, in Asia o nell’Est europeo, continuando così a inquinare altrove piuttosto che provvedere alla bonifica da noi, come prescrive la normativa italiana ed europea», lamenta Paolo Rabitti, ingegnere e urbanista, autore di Ecoballe per i tipi di Aliberti, e di Cronache dalla chimica. Marghera e le altre, edito da Cuen. Rabitti, negli ultimi vent’anni, è stato consulente delle Procure italiane in alcuni dei più importanti processi istruiti su casi di inquinamento ambientale. «Purtroppo – aggiunge –, se non interviene lo Stato, non si procede con le bonifiche. E, a volte, non si bonifica neanche quando ci sono i fondi per farlo».
 
Quell’ipoteca chiamata salute
I ricercatori di Sentieri hanno attribuito un ruolo all’incremento della mortalità in aree densamente popolate in prossimità delle quali sorgono raffinerie, poli petrolchimici e industrie metallurgiche con rischi, quindi, non solo professionali, ma estesi anche a differenti classi di età e popolazione. È il caso di Gela (CL) e Porto Torres (SS) dove per l’incremento della mortalità correlata al tumore ai polmoni, alle malattie respiratorie e alle malformazioni congenite «è stato suggerito un ruolo delle emissioni di raffinerie e petrolchimico».


«A Porto Torres – informa Rabitti – hanno dovuto chiudere la darsena perché si riversava in mare così tanto benzene che gli operai stavano male a causa delle esalazioni. A Mantova, l’area sotto il polo chimico è contaminata dal benzene, presente sopra la falda. Il benzene è tossico e cancerogeno. Fanno analisi da dieci anni, ma mai nessuno ha deciso di effettuare un intervento drastico di bonifica. Cosa aspettano? Che finisca nel lago o nel fiume Mincio?». L’Arpa (Azienda regionale per la protezione dell’ambiente) della Lombardia replica che il ministero dell’Ambiente, vista la gravità della situazione, «ha deciso di intervenire dando incarico alla società Sogesid di progettare un sistema per la messa in sicurezza dell’intero sito».
La crescita delle patologie tumorali è altresì connessa alle emissioni degli stabilimenti metallurgici di Taranto, e nel Sulcis-Iglesiente-Guspinese (Sardegna). In quest’area dell’isola, la ricerca ha preso in considerazione trentanove Comuni con una popolazione complessiva di 263.117 abitanti tra i quali è stato censito un eccesso di mortalità per malattie perinatali. «In molti bambini sono stati rilevati alti livelli di piombo – osserva Comba –. Nelle pecore sono state riscontrate forme di fluorosi dovute al consumo di erba in pascoli contaminati da alluminio. C’erano vigne che producevano uve inutilizzabili per la vinificazione perché contenevano quantità elevate di metalli pesanti». Le sostanze tossiche possono entrare in contatto con l’uomo anche per inalazione diretta, la cosiddetta vapour intrusion, quando l’acqua delle falde inquinate, utilizzata per innaffiare orti e coltivazioni agricole, evaporando, rende volatili i contaminanti. Picchi di mortalità per malformazioni congenite e condizioni morbose perinatali, sono stati collegati all’inquinamento ambientale anche a Massa Carrara (Toscana), Falconara (AN), Milazzo (ME) e Porto Torres (SS). Per le patologie del sistema urinario, e per le insufficienze renali, un ruolo causale dei metalli pesanti, degli idrocarburi policiclici aromatici e dei composti alogenati, è stato suggerito per Massa Carrara, Piombino (LI), Orbetello (GR), nel basso bacino del fiume Chienti, tra Macerata e Ascoli Piceno, e, ancora, nel Sulcis-Iglesiente-Guspinese.

Non mancano nemmeno le malattie neurologiche. Sul banco degli imputati, piombo, mercurio e solventi organo-alogenati: sono stati rilevati a Trento Nord, dove per decenni la Sloi ha prodotto piombo tetraetile; a Grado (GO), a Marano (UD) e nel basso bacino del fiume Chienti. Mentre a Brescia, nell’area Caffaro, dove lo studio ha preso in considerazione una popolazione di 200.144 abitanti, l’incremento dei linfomi non-Hodgkin – una neoplasia maligna del tessuto linfatico –  che lo studio Sentieri ha messo «in relazione con la contaminazione diffusa da Pcb» (i Policlorobifenili) prodotti per decenni, in passato, in virtù delle loro intrinseche qualità di isolanti termici ed elettrici, utilizzati anche nella carta copiativa, negli adesivi e nelle vernici. Il risultato è stato avvalorato da una recente ricerca di Asl e Università di Brescia, pubblicato su «Environmental Research». Amianto e discariche sono altresì responsabili dell’alto tasso di mortalità, causato da malattie degli apparati digerente e genito-urinario, che investono uomini e donne residenti sul litorale vesuviano: 11 Comuni con una popolazione di circa 462.322 abitanti.
Nell’area di Sassuolo (MO) e Scandiano (RE), che conta 102.811 abitanti distribuiti su sei Comuni, è stato riscontrato un alto tasso di mortalità negli uomini, correlata a malattie del sistema cardio-circolatorio e dell’apparato respiratorio (tra queste la silicosi); e, nelle donne, a malattie dell’apparato digerente. Le malformazioni congenite, invece, sembrano legate all’esposizione al piombo: un metallo utilizzato, per molti anni, nella produzione della ceramica, e che ha contaminato il sottosuolo, le acque superficiali e di falda.
Nel Lazio, la valle del fiume Sacco ha visto, nei decenni, lo sviluppo di numerose attività. Accanto all’industria chimica, che ha prodotto anche insetticidi, e a insediamenti che hanno trattato l’amianto, sono state generate «ingenti quantità di residui di lavorazione, il cui smaltimento ha rappresentato, e rappresenta tutt’oggi, un elemento di forte rischio ambientale» osserva Sentieri. In quest’area, i ricercatori hanno osservato un eccesso di mortalità negli uomini e nelle donne, con un tasso elevato di tumore allo stomaco e di malattie dell’apparato respiratorio.

Drammatica la situazione in Campania, dove c’è una diffusa presenza di discariche con il conseguente inquinamento di terreni e falde, in particolare nelle province di Napoli e Caserta, nel cuore di «Gomorra» – doviziosamente ritratta da Roberto Saviano –, roccaforte dei Casalesi e della camorra. Il litorale Domizio flegreo e l’Agro aversano comprendono ben settantasette Comuni. Evidentissima l’esposizione della popolazione a svariate sostanze inquinanti, con una lampante impennata di patologie tumorali. Nel corso dell’intercettazione telefonica di una conversazione tra due camorristi che pianificavano lo sversamento di rifiuti tossici in una falda della Campania, uno dei due avvertiva allarmato l’altro: «Se buttiamo ’sta roba nelle falde, ci avveleniamo pure noi!». «Embè? – gli rispondeva l’interlocutore, sghignazzando –. Tanto noi beviamo l’acqua minerale!». Ecco, è questo che dovrebbe farci indignare. Tutti. Perché l’inquinamento non interessa solo aree circoscritte e remote, e il suo effetto non è limitato nel tempo. Anzi, le sostanze inquinanti si sono ormai stabilmente legate alla catena alimentare. Si sono insinuate nelle acque, nei suoli, nell’aria che respiriamo. E possono ancora arrivare sulle nostre tavole e nei nostri bicchieri. Il cancro è diventato così il prodotto di massa finale di un’industrializzazione miope e insensata. Complice, se non addirittura mandante, di precise responsabilità politiche ed economiche, tacite e conniventi che, per troppo tempo, hanno sacrificato la salute pubblica sull’altare dell’affarismo. Responsabilità che non possono, però, non interpellarci come cittadini e consumatori.
Se ieri i protagonisti occulti del nostro «benessere» erano l’amianto, il cvm, gli idrocarburi, i metalli pesanti, oggi lo sono le polveri sottili – prodotte da automobili, riscaldamento e inceneritori – e l’elettrosmog: elettrodotti, ripetitori e telefonia mobile. Siamo proprio certi che non stiamo ripetendo gli stessi errori?
 
 
Il Paese malato
Amianto, un incubo senza fine

 
Piemonte. Area di Casale Monferrato (AL): 48 Comuni, quasi 90 mila abitanti. Qui sono stati osservati alti tassi di tumore polmonare negli uomini, e di tumore pleurico negli uomini e nelle donne. Un tempo, a Casale, c’era la fabbrica della Eternit che produceva cemento-amianto. Il contenzioso giudiziario che oppone cittadini e lavoratori alla multinazionale, è ancora aperto.
«Noi rappresentiamo oltre 1.600 famiglie di deceduti, di cui 420 famiglie di cittadini morti per mesotelioma – dice Bruno Pesce, coordinatore dell’Associazione familiari vittime amianto (www.afeva.it) –. Dei circa 50 nuovi casi all’anno di mesotelioma, l’80 per cento interessa i cittadini, e non gli ex operai. Ci sono 300 ammalati. A Casale abbiamo già superato i 1.800 morti».
Il mesotelioma pleurico è un tumore che non lascia scampo. È direttamente correlato con l’esposizione alle fibre di amianto. Ma ha una latenza financo di decenni prima di manifestarsi.

La bonifica è iniziata da molti anni grazie al Comune e ai fondi regionali e statali. Ma, oltre alla contaminazione prodotta dalla fabbrica, chiusa nel 1986, ce n’è un’altra ancora più subdola: «la Eternit regalava a cittadini e lavoratori la polvere di tornitura di tubi per acquedotti e fognature – ricorda Pesce –. Cemento e amianto venivano bagnati, solidificati e utilizzati nei marciapiedi o come terra battuta. L’amianto è stato trovato addirittura sui sagrati delle chiese, nelle stradine degli orti, e, sparso in polvere molto volatile, perfino nei solai e nei sottotetti delle case, usato come isolante termico. È stato un modo criminale di smaltirlo, perché l’amianto non è stato impiegato solo a Casale Monferrato, ma in paesi anche a più di dieci chilometri di distanza. La gente se lo andava a prendere col camioncino».

Un centinaio di questi siti sono stati bonificati. Purtroppo, almeno una volta alla settimana, se ne scopre uno nuovo. Oltre a Casale Monferrato, la presenza di amianto ha portato al riconoscimento di altri cinque Sin (Siti di interesse nazionale): a Balangero (TO), Emarese (AO), Broni (PV), Bari e Biancavilla (CT). Eccetto Emarese, in tutti gli altri siti sono stati registrati incrementi della mortalità per tumore maligno della pleura, e 330 casi di cancro al polmone, in uomini e donne. A Bari, in particolare, è stata presa in considerazione una popolazione di 316.532 abitanti sottoposti all’esposizione di amianto, la cui produzione è cessata nel 1985, ma non le sue conseguenze sulla salute pubblica. Oltre alle malattie dell’apparato respiratorio e al mesotelioma, è stata registrata, nelle donne, una sensibile casistica di patologie dell’apparato digerente, circolatorio e genito-urinario. A Pitelli (SP), Massa Carrara, Priolo (SR) e nell’area del litorale vesuviano, anche altri agenti inquinanti sono stati associati all’insorgenza del mesotelioma.
 
 
Venezia
Ecosistema a rischio

A Venezia, Mestre e Porto Marghera, lo studio Sentieri ha preso in esame una popolazione complessiva di 271 mila persone in un’area che, storicamente, sconta la presenza di diverse tipologie di impianti: chimici, metallurgici, raffinerie, impianti per la produzione dell’energia, oltre a discariche e inceneritori. «Per uomini e donne è presente un eccesso di tutti i tumori (polmone, pleura, vescica, fegato, pancreas) e di malattie dell’apparato digerente». Marghera è balzata agli onori delle cronache anche per il «Processo al Petrolchimico»: decine di operai morti o ammalati a causa di patologie collegate alla lavorazione del cvm, il temibile cloruro di vinile monomero. Una verità venuta a galla grazie al coraggio di un operaio, Gabriele Bortolozzo. 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017