La bellezza incarnata diventa arte

Di Pasqua, arte e vita parliamo con padre Marko Ivan Rupnik, fondatore del Centro Aletti di Roma, dove Oriente e Occidente si incontrano.
23 Marzo 2012 | di

All’ingresso del Centro studi e ricerche «Ezio Aletti» ti accoglie la scultura di san Leopoldo Mandic´, originario della Dalmazia, mentre sloveno è padre Marko Ivan Rupnik, gesuita e artista, fondatore del Centro. Ma, subito dopo san Leopoldo, è la cappella, decorata a mosaici dai colori accesi, a imporsi come cuore pulsante del luogo. Qui i padri gesuiti e gli altri ospiti cominciano e finiscono le loro giornate con la preghiera. Perché qui l’arte non è vera, se non proviene da uno spirito continuamente alimentato.
Al Centro Aletti sono impegnate una ventina di persone tra cui alcune religiose, esperte in teologia orientale, perché la missione specifica di questo luogo è quella di unire cultura e ricchezze di Oriente e Occidente.
Padre Rupnik ha lo sguardo intelligente di un buon maestro che loda e incoraggia gli allievi impegnati nella realizzazione a mosaico di figure che poi andranno ad abbellire le chiese del mondo, da Fatima a Damasco, a Lourdes...

Msa. Che cos’è la Pasqua per un artista cristiano?
Rupnik. La Chiesa è il posto dove si supera la morte, ma questo è anche la Pasqua. La morte condiziona tutto, ma nello stesso tempo azzera, relativizza tutto. La morte distrugge ogni valore, perché l’ultima stazione sarà comunque il verme che mangerà quello che era onesto e quello che era disonesto. Questa umanità viene vissuta da Cristo, e si lascia penetrare dall’amore. Nel sacrificio di Gesù si supera la morte e tutto ciò che è vissuto nell’amore viene strappato dalla morte. Cristo le ha dato il senso. Lui non si è lasciato uccidere ma si è offerto, si è dato nelle nostre mani che poi si sono rivelate le mani della morte.

Proprio in questo affidamento Lui rivela la vera immagine di Dio e trasfigura nel bene il male che lo ha colpito, perché diventa luogo della suprema rivelazione dell’amore. Questo è il perno di tutta la mia ricerca artistica e spirituale: il motivo della mia vita e vocazione. Io non posso entrare in questa via, che supera la morte, se non essendo rigenerato dall’alto. Dio mi raggiunge là dove io passo. La morte è il passaggio obbligato di ogni uomo. Nella morte noi veniamo «recuperati» da Dio. Noi tutti aspettiamo qualcuno che scenda nelle nostre morti e ci tiri fuori, e questo significa riconoscersi come l’umanità che appartiene a Cristo risorto. Ciò avviene nel battesimo.
Molti anni fa un vecchio gesuita sloveno, che era stato a lungo in prigione, mi fece notare che aveva imparato presto a morire e a risuscitare. «Sono sicuro che risorgerò – mi disse –. L’ho imparato dal battesimo». Penso che la nostra vita si compia nel Triduo Pasquale. La forma con la quale vive l’amore di Dio nella storia è la Pasqua.

Quali delle sue opere meglio rappresentano il Mistero pasquale?
Molto forti sono la raffigurazione della discesa di Cristo agli inferi nella chiesa di San Marco Evangelista di Koper, in Slovenia, e l’opera nella Cattedrale di Santa Maria Rea­le dell’Almudena di Madrid. Il tema è presente anche nella Cripta della chiesa di San Pio da Pietrelcina, a San Giovanni Rotondo (FG), e nella Cappella delle Figlie della Misericordia del Terzo Ordine di san Francesco a Roma.

Quando l’arte riesce a essere profetica?
L’arte riesce a essere profetica quando partecipa a qualche mistero essenziale della nostra fede. Quando l’arte è a sé stante, al massimo può essere allusione, fatalismo, ma non profezia. L’arte apre la strada a una qualità superiore della vita. Nella storia è avvenuta una frantumazione degli orizzonti e della verità. L’arte è diventata inutile, puramente decorativa, tanto è vero che le correnti artistiche, che hanno un’estetica meramente umana, sono arrivate a esaurirsi. L’arte, se vuole essere profetica, deve attingere nell’eschaton (il destino ultimo, ndr) e rivelare qui, dare corpo, generare ciò che l’intuizione e la Grazia hanno generato. L’arte è profetica quando riesce a racchiudere nella sua opera qualcosa di cristologico. Quando svela le realtà più profonde, il loro significato che, in ultima istanza, è Cristo, il Logos. Come il sacramento fa emergere la verità dal creato secondo la visione del Creatore, a suo modo l’arte partecipa a questo mistero facendo trapelare la sacramentalità del mondo, della vita dell’uomo. Così la perfezione dell’arte significa far vedere l’uomo nella sua dimensione reale, cioè fragile, ma aperto all’azione di Dio in Lui. E questa è anche la perfezione della vita spirituale, morale, famigliare. Quando queste cose coincidono, l’arte è profetica.

Quali sono i suoi modelli?
Io mi ispiro tantissimo al primo romanico, al primo gotico e al primo bizantino. Anche le icone, a un certo punto, si sono sclerotizzate nella sterile ripetizione di modelli, in una visione umana che teme il dinamismo. Invece, se voglio essere nella verità, devo essere dentro la «divina umanità», che non esiste filosoficamente ma nella persona di Cristo. Tuttavia, per conoscere veramente Cristo bisogna cogliere il suo rapporto filiale verso il Padre. Noi uomini di oggi siamo senza la categoria della «figliolanza». Colui che ci inizia alla figliolanza è solo lo Spirito Santo che intona nel nostro cuore Abba. Per questo, per un’arte cristiana è indispensabile la sinergia con lo Spirito Santo.

Come è arrivato a fondare il Centro Aletti?
Da bambino avevo grandi intuizioni, da giovane sono stato rivoluzionario, cercavo di dominare le situazioni. Poi ho sperimentato l’enorme misericordia di Dio e ho trovato al momento giusto le persone giuste. L’incontro con il cardinale Tomáš Špidlik è stato determinante e mi ha portato su questa strada. Ho capito che non è importante ciò che io voglio, ma la mia disponibilità a Dio, e che per essere creativi bisogna essere dentro la Chiesa. Sono molto grato alla Compagnia di Gesù e ai superiori che, in tempi di transizione e di turbolenze, hanno voluto questo Centro per lo scambio di doni tra Oriente e Occidente. Qui c’è la possibilità di creare qualcosa, secondo la memoria della Chiesa, dando la precedenza alle persone e non ai progetti.

Qual è lo scopo del Centro?
Il Centro è una piccola comunità dei gesuiti, aiutati da un’altra comunità di consacrate, specializzate in teologia dell’Oriente. Ma, fin dall’inizio, ospitiamo laici e, a volte, preti cattolici o preti ortodossi. Insieme a loro cerchiamo di inserirci in questo sforzo di evangelizzazione dell’Europa.

Come arrivare a una cultura dell’Europa unita?
Nella nuova compagine del mondo, l’Europa non avrà più niente da dire se non elaborerà una sintesi europea. Questa sintesi non si farà a tavolino, ma nella vita. Perciò qui si vive insieme, si cerca e si studia insieme. Sono venuti centinaia di professori universitari per tessere relazioni reali, interecclesiali, vissute nella carità di Cristo, dove la tua ortodossia o la mia latinità romano-cattolica non è una barriera, ma un colore che arricchisce la festa dei colori, ispirandosi alla verità che il Battesimo crea un’umanità nuova, una nuova unione dei popoli.

La Lettera agli artisti di Giovanni Paolo II o l’incontro con loro di Benedetto XVI sono significativi?
Paolo VI ha inaugurato questa stagione di grande impegno dei Pontefici per l’arte. Evidentemente si è fatto molto, ma dopo lunghi periodi in cui si è andati in altre direzioni, la strada sarà difficile. Il cammino sarà certamente ancora lungo, ma è cominciato.
Penso che non si tratti di dialogo tra arte e fede, tra arte e teologia, ma, come mi diceva Giovanni Paolo II: «È importante essere con gli artisti». Se l’artista viene toccato dalla salvezza sarà in grado di comunicare. Quando un giovane si recò da un monaco perché voleva imparare a dipingere le icone, il maestro gli disse: «Bene, si comincia dalla vita, quando sarai ben iniziato alla ricchezza della vita nuova, della vita con Dio, potrai anche esprimerla».
Bisogna comunque ammettere che, da molto tempo, la fede cristiana non è più la fonte di ispirazione dell’arte. Una volta le opere nascevano dalla Chiesa e per la chiesa. Noi non siamo più in grado di creare uno spazio sacro, e se non siamo capaci di creare degli spazi sacri per la liturgia figurarsi se sapremo creare spazi sacri tra di noi, in famiglia, nel lavoro…

Che cosa deve avere l’artista che lavora nelle chiese?
Ci vuole molto coraggio e molta umiltà. Ci vuole una costante purificazione, un affidamento alla misericordia, preghiera e partecipazione alla liturgia. E tanto lavoro, tanta ricerca e studio. L’artista che lavora nelle chiese non può spiegare la sua opera perché non è la sua opera. Lui professa la fede della Chiesa e la vita nuova in Cristo. La perfezione è ciò a cui non si può togliere più niente. Arrivare all’essenziale non significa astrarre, ma purificare. E l’amore più è purificato, più è universale.

La gente vi capisce?
Ci chiamano in molti. Noi andiamo dove ci sono comunità vive della Chiesa. È sconvolgente l’amore della gente che sperimentiamo. Tutte le opere che stiamo facendo non hanno dei soggettivismi incomprensibili: sono una memoria della Chiesa. Le persone lo capiscono. Ma soprattutto le comunità cristiane pregano volentieri e sono aiutate nella partecipazione alla liturgia. Ed è per questo che noi lavoriamo. E quando vediamo il frutto del nostro lavoro siamo sempre tanto grati.

Che mosaici avete in cantiere?
Abbiamo da poco ultimato un’opera al Fatebenefratelli a Roma, stiamo lavorando a Tarbes, in Francia, nella chiesa di un ospedale, in una parrocchia del nord della Spagna, in un ospedale psichiatrico di Lisbona, in una cattedrale in Brasile e in altri cantieri.

Per concludere, allora: che cos’è la bellezza?
Se io non sperimento dentro di me l’azione salvifica di Dio, come posso comunicare la salvezza? Quando c’è il contenuto, poi la forma verrà di conseguenza. La bellezza è l’amore realizzato. San Giovanni Crisostomo diceva: «Che cosa succede che la nostra vita non attira più?». Il mondo vedendoci dovrebbe dire: «Che bello vivere così». La bellezza è pasquale.
 
La scheda
P. Marko Ivan Rupnik

 
P. Marko Ivan Rupnik nasce nel 1954 a Zadlog, in Slovenia. Entra nella Compagnia di Gesù nel 1973. Insegna alla Pontificia Università Gregoriana e al Pontificio Istituto liturgico. Dal 1995 è direttore del Centro Aletti. All’attività di artista e di teologo, affianca quella di conferenziere, di guida di corsi ed esercizi spirituali e di scrittore.Uno dei suoi ultimi libri è L’arte della vita. Il quotidiano nella bellezza (Lipa Edizioni). Una lunga conversazione di Nataša con il monaco Boguljub: un maestro che prende per mano l’allieva, spiegandole la vita nuova. Recente è anche il volume La trasfigurazione della materia (Marietti 1820), sul mosaico realizzato nella cappella della Casa di formazione della Fraternità San Carlo, con testi di Massimo Camisasca, Jonah Lynch, Julián Carron e dello stesso Rupnik.
 

Zoom
Il Centro Aletti
 

È un centro di studi che si affianca alla missione che la Compagnia di Gesù svolge al Pontificio Istituto orientale, con lo scopo di creare occasioni privilegiate di incontro e di scambio tra Occidente e Oriente europeo. La sede si trova in via Paolina, 25 a Roma.

Per saperne di più:
www.centroaletti.com

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017