Il frate tascabile
I confratelli gli hanno amichevolmente affibbiato (e la cosa pare non gli dispiaccia) il nomignolo di «frate tascabile». In effetti, le sue misure non sono da giocatore di basket. Basso di statura certo, ma capace con il suo entusiasmo di toccare il cielo con un dito.
Il motivo di tanta passione è il fatto di vivere a Padova, al servizio di sant’Antonio, di cui è da sempre devoto. Un’eventualità, quest’ultima, che non l’aveva mai neppure sfiorato e che, invece, si è avverata.
Giunto a «raro privilegio», pare soddisfatto, ma muove subito in tondo la mano come per cancellare tutto. Dopo una breve riflessione, gli si illuminano gli occhi. Capisco che ha trovato la fatidica parola: «Grazia! – esclama felice –. È una grazia che Dio mi ha fatto: quella di essere qui, primo frate indiano accolto come membro effettivo della comunità del Santo, e di poter vivere nei luoghi dove ha vissuto ed è sepolto sant’Antonio».
Il «frate tascabile», all’anagrafe conventuale padre Varghese Puthussery, viene dallo Stato del Kerala, una striscia di costa nella parte sud-occidentale dell’India. Nel Paese si stanno spalmando sull’intera popolazione i benefici effetti dello sviluppo tecnologico ed economico che ha collocato l’India tra i grandi Paesi emergenti. Tra gli Stati di religione induista, il Kerala è quello con il maggior numero di cristiani (19 per cento), e il santo più venerato è proprio Antonio. In ogni chiesa c’è una sua statua, davanti alla quale cristiani e induisti celebrano il martedì la tradizionale novena (la nostra Tredicina). «Se passando, di martedì, nei pressi di una chiesa – racconta padre Varghese – si trova la strada interrotta, è per la folla accorsa a celebrare la novena di sant’Antonio». A suo tempo (1996 e 2007) abbiamo reso conto delle moltitudini che hanno accompagnato il passaggio di una preziosa reliquia del Santo, portata da Padova.
La chiesetta della vocazione
La vocazione del «frate tascabile» nasce in una chiesetta dedicata a sant’Antonio, a Kochi. «Quando la piccola chiesa, a pochi passi da casa mia, veniva aperta per la novena – racconta il religioso –, io non mancavo mai a un appuntamento, affascinato dalle storie del Santo che, ogni volta, il sacerdote raccontava. Sant’Antonio è stato il primo santo che ho conosciuto e venerato». Inevitabile allora che Varghese, a 17 anni, sentendo ardergli dentro il desiderio di dedicare la propria vita al Signore, abbia deciso di farlo tra i confratelli del Santo. Fu così che entrò, nel 1992, nel seminario del Kerala, aperto negli anni Ottanta dai francescani conventuali di Malta.
L’approdo alla Basilica del Santo, poco più di tre anni fa, avvenne in modo del tutto casuale. Ricorda padre Varghese: «I frati del santuario, avendo bisogno di un religioso al servizio dei pellegrini di lingua inglese – di quelli provenienti dall’India in particolare –, sempre più numerosi, ne hanno fatto richiesta al superiore provinciale del Kerala, che ha designato me. Grandi sono state la mia sorpresa e la gioia, per una destinazione che non rientrava in nessuno dei possibili progetti che avevo fatto per la mia vita sacerdotale. Sono grato a Dio per questa grazia particolare: credo proprio che sia stato sant’Antonio a volermi qui».
In Basilica padre Varghese è impegnato su tre fronti: nella cappella delle benedizioni; in penitenzieria, dove confessa in lingua inglese, malayalam (parlato in Kerala) e italiano, che parla con discreta disinvoltura; infine nella guida dei pellegrini.
Le imprevedibili «sorprese» di Dio
Il compito che lo impegna e lo appassiona di più è quello di ministro del sacramento della penitenza. «In quei momenti – osserva –, posso aiutare le persone a ritornare a Dio, ed essere testimone dei veri miracoli, quelli della conversione del cuore dell’uomo che, ritrovando se stesso e Dio, cambia vita».
Il confessionale è il luogo in cui più frequenti si manifestano le «sorprese» di Dio. Padre Varghese racconta, tra le tante, la storia di un autista di pullman che aveva portato in Basilica un gruppo di pellegrini. Lui, però, non aveva alcuna voglia di entrare in chiesa né per visitarla, né tanto meno per inginocchiarsi davanti a un frate a raccontargli le sue faccende. L’attesa era stata più lunga del previsto e così, per vincere la noia, si era avvicinato alla porta del Santuario. A un certo punto, però, ne era stato come risucchiato, tanto da ritrovarsi in ginocchio al confessionale del piccolo frate indiano. Quel che è successo dopo, è top secret. Dio (la noia, aveva creduto lui) lo aveva sorprendentemente atteso proprio lì, per manifestargli la sua misericordia e il suo amore.
«Ricordo di avergli detto cose che neppure pensavo di saper dire; era come se un Altro parlasse al posto mio» commenta padre Varghese.
Altri episodi trasmettono invece la gratificante sensazione di star facendo, con la complicità del buon Dio, cose importanti per gli altri. Racconta il frate indiano: «Lo scorso Natale mi giunge, tramite e-mail, la richiesta di recarmi in una certa via a confessare un’anziana signora malata, che aveva espressamente richiesto la mia presenza. Il nome del mittente non mi diceva nulla, e solo quando l’ho vista ho riconosciuto la persona che abitualmente si confessava da me, ma con la quale non avevo particolari rapporti. Il figlio ha spiegato: “Avevamo chiesto alla mamma quale regalo gradisse per Natale, e lei, costretta a letto, ha espresso il desiderio di potersi confessare dal padre indiano della Basilica”».
In Basilica, tra arte e spiritualità
Padre Varghese, sfruttando la conoscenza di più lingue, accompagna pellegrini di varie nazionalità in visita alla Basilica. «Racconto loro la bellezza dell’arte di cui è ricco il Santuario – chiarisce –, ma anche la vita, le opere, gli insegnamenti del Santo. Una guida artistica e spirituale, che molti dimostrano di gradire, anche se all’inizio dicono di essere interessati solo all’arte».
La domanda più ricorrente rivolta alla guida?
«Sono molte – conclude il religioso –, ma spesso mi chiedono come è possibile che un personaggio così lontano nel tempo sia ancora tanto universalmente vivo nella devozione, anche tra persone di religioni e culture non cristiane. Le risposte possibili sono tante. Io ne abbozzo alcune, che soddisfano anche me solo in parte. Di certo, sant’Antonio è stato uno che ha molto amato Dio e, in egual misura, il prossimo. Continua a farlo, intercedendo presso Dio per le persone in difficoltà e, a quanto pare, viene ascoltato. Tra il popolo è conosciuto come il Santo che fa ritrovare le cose smarrite. Nell’elenco ci stanno benissimo anche la fiducia, la speranza, la voglia di convertirsi, di lottare per un mondo più solidale e più umano. Sono queste le “cose” che l’uomo d’oggi ha più bisogno di ritrovare, e sant’Antonio sa come aiutarlo».
Appuntamenti in Basilica
La Settimana Santa
- Lunedì, martedì e mercoledì, al termine della Santa Messa delle ore 17.00, è prevista la preghiera dell’adorazione eucaristica;
- giovedì (5 aprile) la Santa Messa in coena Domini e il rito della lavanda dei piedi, alle ore 18.00, saranno presieduti da padre Gianni Cappelletto, ministro provinciale della Provincia patavina;
- la liturgia del venerdì santo (6 aprile) sarà presieduta, alle ore 18.00, da padre Giorgio Laggioni, vicario della fraternità del Santo;
- la Veglia pasquale del sabato santo, celebrata dal rettore padre Enzo Poiana, avrà inizio alle ore 21.00;
- nel giorno di Pasqua, le Eucaristie solenni delle ore 11.00 – celebra padre Gianni Cappelletto – e delle ore 17.00 saranno animate dalla Cappella musicale del Santo.