Lettere al direttore

24 Aprile 2012 | di

L’emozione di «Due giorni al Santo»
«Sono particolarmente felice di essere riuscito a fare a me stesso e a mia moglie questo bel regalo (partecipare all’iniziativa “Due giorni a Padova con sant’Antonio e i suoi frati” ndr). Dei frati ci hanno colpito la semplicità, gli sforzi quotidiani per aiutare i meno fortunati, il costante ricordo dell’esempio del loro Santo. Toccanti le visite brevi, ma intense, al santuario di Camposampiero, luogo delle prediche del Santo e dell’apparizione di Gesù Bambino, e all’Arcella dove Antonio chiuse gli occhi alla vita dicendo: “Vedo il mio Signore”. Il culmine dell’emozione è stata la visita notturna alla Basilica, aperta solo per noi. Le luci, la viva partecipazione e il raccoglimento di noi tutti, l’incontro ai piedi della Tomba del Santo con il Rettore della Basilica, hanno creato un’atmosfera unica, quasi surreale. Il giorno dopo, domenica, la messa solenne e le file interminabili di fedeli alla Tomba. Momenti che resteranno per sempre scolpiti nella mente e nel cuore. Ora ho capito perché si dice che il Santo è vivo ed è in mezzo a noi».
Antonio – Reggio Calabria
 
Vi abbiamo invitati dalle pagine del «Messaggero», e voi siete venuti. Un’emozione anche per noi, perché è un’occasione privilegiata per condividere la nostra missione e lo spirito che ci anima. Se Antonio è vivo, è anche perché ognuno di noi e di voi gli presta le gambe, la mente e il cuore.
 
 
Solo chi ama sa attendere
«Fino a un anno fa non mi ero mai posta neppure il problema: i rapporti prematrimoniali sono vietati dalla Chiesa, e io, da brava cristiana, li evitavo. Poi ho conosciuto Alessandro e le mie certezze hanno iniziato a vacillare. Il nostro amore è sincero, e ci completiamo a vicenda. I tempi per un matrimonio, tuttavia, non sono ancora maturi (io compirò 22 anni a luglio; lui, neo-laureato, è alla ricerca di un lavoro). E così viviamo in un perenne stato di attesa. Attesa che la nostra relazione venga ufficializzata davanti a Dio, attesa che il nostro amore si evolva anche sul piano fisico. Ma non c’è il rischio che il tempo logori un rapporto così impostato? In fin dei conti, se i sentimenti sono profondi, che male può fare l’unione fisica di due anime che già si appartengono?».
Gabriella – Asti
 
Un amore puro e sincero come quello che descrivi, cara Gabriella, è un dono che vale la pena proteggere con sacrificio e determinazione. Dietro alla castità prematrimoniale prescritta dalla Chiesa c’è molto più di un freddo intento moralizzante. L’astinenza dal rapporto fisico giova all’uomo perché lo aiuta a capire l’essenza più profonda del matrimonio e della natura umana stessa. Se da un lato, dunque, l’attesa irrobustisce i legami sinceri, dall’altro smaschera le falsità e scioglie i rapporti superficiali e volubili. In altre parole, laddove il tempo corrompe un legame, vuol dire che questo non era così solido. «Non poter avere un amore che si esprima anche nella tenerezza corporea sarebbe disumano. Accettare delle regole, prepararsi a un legame tra uomo e donna, è invece necessario come lo è imparare a essere capaci di amare con il corpo e con la mente – scrive il cardinale Carlo Maria Martini in Conversazioni notturne a Gerusalemme (Mondadori) –. D’altro canto, se non riservi qualcosa al momento dell’impegno e del matrimonio, se anticipi tutto, il rischio di fallire a causa delle debolezze e dei limiti umani del tuo rapporto è grande. L’amore tra due persone è sempre unico. Per questo è opportuno tutelarsi da una “svendita”». In tal senso, se «dare il vostro corpo ad un’altra persona significa donare tutto voi stessi a quella persona», come spiegò papa Giovanni Paolo II ai giovani di Kampala (Uganda) il 6 febbraio ’93, allora il vostro non può essere un dono a scadenza o in prova. Per sempre, significa per sempre. E l’attesa, in questo caso, non rischia di impoverire il rapporto, ma anzi lo rende più prezioso.
 
 
La tentazione di smettere di pregare
«Gentile padre Ugo, non voglio girare intorno al problema: non riesco a pregare. Ho anche provato, ma non sentivo nulla e comunque non ho ottenuto ciò che chiedevo. Continuo ad andare a Messa la domenica, non è quello il punto. È quando sono solo che mi blocco. Non vorrei gettare la spugna, ma la tentazione di farlo è grande. Per questo le ho scritto: che cosa devo fare? Grazie».
Enzo – Pescara
 
Pregare è una battaglia: questa affermazione non è esagerata. Perché non è sufficiente rivolgersi a Dio solo quando se ne avverte il desiderio: i cristiani di ogni tempo hanno vissuto a volte la sensazione di aridità interiore e la fatica del rimanere vigilanti. Basta pensare a Pietro, Giacomo e Giovanni nell’Orto degli ulivi. «Vegliate e pregate per non entrare in tentazione» aveva chiesto loro Gesù, ma i discepoli si addormentarono per ben tre volte, tanto che «non sapevano che cosa rispondergli», come racconta il Vangelo di Marco. Nell’invito di Gesù è già contenuto l’insegnamento decisivo, e probabilmente, non a caso, anche lei riconosce che quella di smettere di lottare è una «tentazione» vera e propria. Una grande santa come Teresa d’Avila scriveva: «Tutte le difficoltà che si incontrano nella preghiera hanno un’unica causa: quella di pregare come se Dio non fosse presente». E, aggiungo, come se non ci ascoltasse, solo perché magari la risposta non ha esaudito le nostre aspettative. Leggo a proposito in Youcat, il «nuovo» catechismo dei giovani: «Egli non è un distributore automatico, e dobbiamo lasciar decidere a lui in che modo vuole ascoltare il nostro grido». Ci faccia caso, con le citazioni proposte le ho suggerito un percorso fatto di tre sorgenti inesauribili per imparare a pregare: la Parola di Dio, l’esperienza dei santi e l’insegnamento della Chiesa. A questa triplice scuola si rivolga con fiducia per elevare il suo pensiero e il suo cuore al Padre.
 
 
Lettera del mese. ANDARE PER SANTUARI 
 
Pellegrinaggi, reliquie e apparizioni
 
Oggi più di ieri si sa ciò che è degno di culto e ciò che non lo è. Superati gli eccessi di devozione del passato, ora non vi è alcuna maggiorazione anche riguardo a reliquie speciali come la Sindone e il Velo di Manoppello.
 
«Ho un’amica a cui piace molto andare in pellegrinaggio e, visto che il nostro parroco organizza di frequente viaggi a santuari, è sempre in giro. Lei dice che, grazie a tutto questo, la sua fede si è rafforzata, ma io mi chiedo se la fede abbia bisogno di tanto girovagare, venerando reliquie anche dubbie e visitando luoghi di apparizioni improbabili. Che non sia piuttosto, l’andare per santuari, un vezzo del nostro tempo, favorito dalla mobilità facile e dal business dei viaggi low cost?».
Lara – Rimini
 
Poiché ogni giorno vedo arrivare, a flusso pressoché continuo, frotte di pellegrini che si recano nella Basilica del Santo per pregare sulla tomba di sant’Antonio, la sua lettera e le sue domande hanno attirato la mia attenzione. Se pensiamo ai pellegrinaggi di un tempo, quelli in cui si viaggiava solo a piedi o in carovana, rimanendo esposti per giorni alle intemperie, alle aggressioni dei briganti, per cui molti prima di partire facevano testamento, quelli di oggi ci appaiono poco più che delle escursioni. Pullman Granturismo con ogni confort scarrozzano, infatti, gruppi di parrocchiani con frammisti curiosi o amanti dei viaggi, verso santuari mariani, monti sacri, abbazie titolate, cittadelle della fede come Assisi e San Giovanni Rotondo. In numero sempre più crescente, come riferiscono le statistiche.Come giudicare il fenomeno, vistoso fino a essere imponente, andando oltre ogni giudizio solo personale, che potrebbe celare un confronto mal sopportato? Quando lei parla di reliquie dubbie, le posso garantire che, dove possibile, si tende a escludere ogni falso, com’è accaduto dopo la prima ricognizione del corpo di sant’Antonio nel gennaio 1981: censiti con precisione scientifica tutti i resti del corpo, si procedette a invalidare le molte pseudo-reliquie disperse per il mondo. Siamo, dunque, ben lontani da quanto il riformatore Calvino poteva scrivere nel suo Trattato sulle reliquie alla metà del ’500: «È tutto così imbrogliato e confuso che non si possono adorare le ossa di un martire senza il rischio di adorare le ossa di un brigante o di un ladrone, o anche di un asino, di un cane o di un cavallo. Non si può adorare un anello della Madonna, oppure un suo pettine o una cintura, senza correre il pericolo di adorare gli anelli di qualche donna dissoluta».

In quei tempi, gli eccessi erano, purtroppo, all’ordine del giorno, e da qui la necessità di una grande prudenza. Oggi, più di ieri, si sa ciò che è degno di culto e ciò che non lo è, e non vi è maggiorazione alcuna anche riguardo a reliquie del tutto speciali come la Sindone e il Velo di Manoppello, ancora in grado di attirare le folle. «La nostra fede in Gesù – ha scritto nel messaggio di Pasqua del 2010 alla diocesi l’allora cardinale di Torino Severino Poletto – non ha bisogno della Sindone bensì del Vangelo, ma la Sindone rimane comunque un grande aiuto alla nostra fede e alla nostra preghiera, perché ci invita a meditare sulla Passione del Signore e sull’amore per noi che quella Passione veicola come messaggio e come dono». Per quanto riguarda, poi, le apparizioni che lei definisce improbabili, non si può che ribadire la grande prudenza della Chiesa in proposito. Così come non è facile provare che delle apparizioni sono autentiche, è vero anche il contrario: non è facile, cioè, provare che della apparizioni sono fasulle. Una speciale commissione internazionale d’inchiesta, presieduta dal cardinal Ruini e istituita presso la Congregazione per la dottrina della fede, ad esempio, sta lavorando sul caso Medjugorje (nella foto, il santuario e la statua della Vergine), forse il più eclatante di tutti i tempi, anche perché le apparizioni durano da più di vent’anni, con frequenti messaggi della Madonna ai fedeli. La prima riunione si è svolta il 26 marzo 2010, e sicuramente ne sono seguite altre. Finora nessuna indiscrezione, segno che la commissione lavora con serietà.

Lettere al direttore, scrivere a: redazione@santantonio.org

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017