Riscoprire l’acqua, con nuovi stili di vita
È da poco iniziata l’estate e ha preso avvio l’immancabile tambureggiare mediatico sullo scarseggiare dell’acqua, sul prosciugarsi delle falde, sulla povertà dei bacini idrici, mentre in alcune città ritorna il fenomeno dei rubinetti chiusi a intermittenza. Non è solo la penisola italiana a essere caratterizzata da questa penuria, ma è il mondo intero che ha sete. Forse non ci siamo ancora resi conto a sufficienza che l’acqua è una risorsa finita, cioè non rinnovabile a piacimento, fatto che dipende da molte variabili: cambiamento climatico, crescita demografica, sviluppo economico e, non da ultimo, stili di vita. I dati fondamentali in proposito sono i seguenti: innanzitutto solo l’1 per cento dell’acqua del pianeta è dolce e utilizzabile, poiché il 97 per cento è negli oceani e nei mari (non a caso, visto da lontano, il nostro risulta essere un «pianeta azzurro») e il resto si trova nei ghiacciai. In verità, ci sarebbe acqua per tutti, ma accanto alla questione quantitativa c’è quella distributiva, ben più complessa, che fa riferimento al concreto accesso all’acqua. Si contano, infatti, 1,1 miliardi di persone che non dispongono di un’adeguata quantità giornaliera di acqua pulita, mentre per altri due miliardi l’approvvigionamento è del tutto precario.
Non intendo qui avvalorare la profezia – formulata nel 1995 da Ismail Segageldin, vicepresidente della Banca Mondiale – secondo la quale le guerre del XXI secolo saranno «guerre per l’acqua» e non per il petrolio, ma il controllo dell’«oro blu» produce forti tensioni. «L’accaparramento delle risorse, specialmente dell’acqua – scrive Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate al n. 51 – può provocare gravi conflitti tra le popolazioni coinvolte». Di fatto l’acqua non scatena guerre in modo diretto, ma spesso si trova al centro di conflitti che hanno avuto ben altra origine, come nel caso del Giordano condiviso tra Israele e Territori palestinesi, Giordania, Siria e Libano. Se poi, ad esempio, consideriamo che il continente asiatico – con il 60 per cento della popolazione e con ulteriori prospettive di crescita demografica – può contare solo sul 36 per cento dell’acqua dolce del pianeta, qualche problema prima o poi ci sarà. Ricordiamoci, infine, che l’acqua non serve solo per bere, cucinare e lavare: per produrre una tazzina di caffè si impiegano 140 litri d’acqua, 15 mila occorrono per un chilo di carne bovina e meno di 1.000 per un chilo di mais. Quasi tutto ciò che finisce sulla nostra tavola ha un costo in litri d’acqua utilizzati o inquinati.
Ma veniamo agli «stili di vita», un concetto forse ancora incerto e da chiarire, ma che al fondo sta a significare come un cambiamento duraturo non può che derivare da comportamenti insieme coerenti, costanti e integrati. Non basta entusiasmarsi per una causa e tanto meno spendersi in modo episodico, quasi a spot, per essa: i buoni sentimenti e le iniziative estemporanee, magari un po’ provocatorie o folkloristiche, lasciano il tempo che trovano. Il concetto di «stili di vita», inoltre, non può essere settoriale, vale a dire a senso unico, con un solo ossessivo obiettivo: se mi sta a cuore l’acqua non posso non interessarmi dello smaltimento dei rifiuti e dello spreco di energia. Cominciare da un punto, visto che non si può fare tutto, è funzionale a una visione d’insieme che non va mai persa di vista. In questo senso l’invito è a riscoprire l’acqua come bene prezioso, limitato, di tutti, facendone un uso intelligente. Vorrà dire compiere consapevolmente i mille gesti della quotidianità, dal lavarsi i denti a rubinetto chiuso al fare le lavatrici solo a pieno carico, ma anche al fare la spesa con particolare attenzione. L’Italia, infatti, è il primo Paese in Europa per litri d’acqua imbottigliati e il secondo al mondo, dopo il Messico, per litri bevuti pro capite. Anche qui c’è da pensarci su.