Missionario di antonianità
Nella «galleria» affollata di ritratti dei frati addetti alla Basilica appendiamo stavolta quello di uno che non vive all’ombra delle superbe cupole del Santo, ma a una manciata di chilometri di distanza da queste, nel convento annesso al Santuario dell’Arcella, dove, il 13 giugno 1231, morì frate Antonio. Se però pensate che padre Luciano Marini sia un intruso, vi sbagliate di grosso. Il compito che i superiori gli hanno affidato fa di lui un missionario, incaricato di ricreare, laddove è invitato, la stessa tensione spirituale che pervade la Basilica e che spesso, complice sant’Antonio, favorisce il ritorno a Dio, fine ultimo di ogni azione pastorale.
Originario di Chiari, nel bresciano, padre Luciano è stato parroco a Venezia (nella chiesa dei Frari), e a Mestre, officiatore della Basilica di San Francesco ad Assisi e direttore del Centro missionario nazionale dei francescani conventuali a Roma. Dal 1979 al 1988 è stato direttore generale del «Messaggero di sant’Antonio». Proprio in questo periodo padre Luciano pose le basi per la sua attuale occupazione. «Nel 1981 – ricorda –, sull’onda dell’emozione suscitata dalla ricognizione delle spoglie mortali di Antonio, poi esposte e venerate da migliaia di devoti, molti parroci e superiori di santuari chiesero di ospitare nelle loro comunità le reliquie del Santo.
Il “Messaggero di sant’Antonio” si assunse il compito di realizzare “giornate antoniane”, coinvolgendo i lettori della rivista. Così, in due anni, portammo le reliquie in diciassette città italiane, sorpresi dal grande accorrere di gente e dai molti segni dell’intercessione di sant’Antonio». I buoni risultati sortiti nei primi viaggi convinsero i frati a riprendere quelle «giornate» nel 1995, settimo centenario della nascita di sant’Antonio, e a proseguirle poi, in modo più o meno continuativo, in Italia e all’estero. «Pur impegnato in altre mansioni, partecipai a nuove “giornate antoniane”, convinto della loro efficacia pastorale – racconta padre Luciano –. Poi, nel 2007, conclusa la mia esperienza di direttore del Centro missionario a Roma e assegnato alla comunità dell’Arcella, fui incaricato di dare continuità all’iniziativa, adeguandola alle nuove esigenze pastorali».
Sulla strada verso Dio
Padre Luciano accettò l’incarico e, con un occhio attento ai segni dei tempi, trasformò man mano le «giornate» in «missioni» popolari, cioè in quelle «occasioni propizie» che i fedeli in particolari momenti sono invitati a cogliere, per mettere un po’ di ordine nella propria vita e riprendere il cammino, confortati dall’amore di Dio ritrovato. Il tutto, seguendo il modello di sant’Antonio; non a caso parliamo di «missioni antoniane». Tra queste, significativa è quella di Pavia, guidata da alcuni frati francescani conventuali. Racconta padre Luciano: «Un giorno il responsabile della missione mi dice: “Perché non porti qui le reliquie di sant’Antonio?”. “Se i parroci sono d’accordo, volentieri”, rispondo. I parroci hanno detto di sì e le ho portate». Il risultato? Chiese abitualmente poco frequentate che improvvisamente traboccano di fedeli. Se il Santo riempie le navate, deve aver pensato padre Luciano, meglio approfittarne per portare fedeli a Dio, per invogliarli ad amarlo di più e ad amare gli altri come fratelli. Sant’Antonio in vita faceva la stessa cosa: riempiva le chiese non per far bella mostra di sé, ma per annunciare la Parola di Dio e convincere gli uomini a essere buoni. «Il fine della “missione antoniana” è questo – spiega padre Luciano –: portare a Dio attraverso sant’Antonio; permettere al Santo di continuare la sua missione di testimone coraggioso “dell’unica Parola che salva”, il Vangelo. Lui stesso era solito dire: “I santi vengono da Dio, parlano di Dio e portano a Dio”. Io ho visto nei quattro simboli che accompagnano la sua immagine – libro, fiamma, pane e Bambino – il paradigma della sua vita. Il libro è la Parola di Dio; la fiamma, l’ardore con cui egli l’ha vissuta e annunciata; il pane è l’amore per gli altri, per i poveri in particolare, mentre il Bambino è Dio, la meta del nostro cammino».
La «missione antoniana» con reliquie a seguito, richiesta per solennizzare celebrazioni e anniversari legati alla devozione al Santo, dura dai quattro ai cinque giorni e si svolge secondo un canovaccio predisposto.
Programma intenso
«Ricevuta la domanda – spiega padre Luciano –, invio un testo nel quale, chiarito il fine squisitamente pastorale dell’evento, elenco i momenti chiave della missione: l’accoglienza delle reliquie, gli incontri con i bambini, i giovani, i carcerati, con gli anziani e i malati nelle case, negli ospedali, negli istituti. E poi le celebrazioni eucaristiche, le veglie di preghiera, l’unzione degli infermi, il ricordo della morte del Santo (Transito) e, soprattutto, il sacramento del ravvedimento e della penitenza, che segna la volontà di porre Dio al centro della propria vita. Tutto questo, seguendo rituali preparati, con preziosi riferimenti ai precetti del Santo sulla strada da percorrere per arrivare a Dio».
Non mancano, in ossequio alle tradizioni locali, scenografiche processioni, fuochi d’artificio e momenti di gioioso stare insieme. Perché la visita di sant’Antonio è un evento che non passa inosservato: «Negli ultimi anni abbiamo svolto in Italia, al Nord come al Sud, circa una ventina di “missioni antoniane” all’anno, sempre molto seguite, anche dai giovani, i venticinquenni in particolare, ai quali spetta, talvolta, il compito di preparare l’evento. Siamo andati anche in altri Paesi: Sri Lanka, Ucraina, Benin, Costa Rica, Canada e Australia. Il prossimo anno ci attendono Messico e Senegal».
Antonio, ancora testimone
A chi arriccia il naso di fronte a tanta devozione per il Santo, padre Luciano risponde segnalando con discrezione episodi che fanno riflettere.
Ecco un esempio: un giorno un parroco prega padre Luciano di far visita a un malato del paese, personaggio importante ma allergico a chiese e preti. Padre Luciano riesce a farsi ricevere.
«Sono andato – racconta – ben accolto dalla moglie e ho parlato a lungo con lei e con questa persona. Alla fine, recitata una preghiera, li ho benedetti entrambi. Missione compiuta, ho pensato. Invece no, perché nel pomeriggio mi ha raggiunto una telefonata della moglie: “Venga presto, mio marito vuole confessarsi. Da cinquant’anni non si confessa”. Sono subito ritornato, ho confessato il marito e gli ho portato anche l’eucaristia». Dunque, «come non pensare – conclude padre Luciano – che sant’Antonio, nel segno forte delle sue reliquie, continui a svolgere la sua missione di annunciatore del Vangelo e di testimone della misericordia divina per portare gli uomini alla salvezza?».
Un mese di incontri
In occasione della festa di Ognissanti dell’1 novembre, le Messe in Basilica seguono l’orario pomeridiano festivo, ovvero vengono aggiunte le celebrazioni delle ore 18.00 e delle 19.00.
Per il 2 novembre, dedicato alla memoria dei defunti, oltre alle Messe feriali è prevista una celebrazione alle 18.00.
Questi, poi, gli altri appuntamenti del mese in Basilica:
-venerdì 9 novembre, alle 15.00, Santa Messa per il pellegrinaggio di 800 croati accompagnati da mons. Marin Srakić, presidente della Conferenza episcopale croata.
-domenica 18 novembre, alle 8.00, Santa Messa con Radio Maria.
-mercoledì 21 novembre, alle 11.00, Santa Messa per l’Arma dei carabinieri, in occasione della festa della Virgo fidelis.