Lettere al direttore

28 Gennaio 2013 | di

Nel calendario né santi né Natale
«Gentile direttore, sfogliando l’agenda 2013 che la mia banca mi ha regalato, ho subito cercato le date più importanti per programmare le visite ai miei figli che vivono in un’altra città. Ho iniziato dalla Settimana Santa e dalla Pasqua, ma con mia grande sorpresa… non le ho trovate! Come pure non ho trovato Natale, Santo Stefano, l’Assunzione e nemmeno l’indicazione dei santi del giorno. Ho poi scoperto che anche il calendario edito da un’importante catena di ipermercati aveva cancellato ogni riferimento alle nostre grandi feste.
Pur considerando che nel nostro Paese si va diffondendo il multiculturalismo e la multireligiosità, faccio fatica a capire la logica che ha portato a questa brutale “novità” che ritengo ispirata da pretestuose motivazioni più che mai avventate, se consideriamo che la stragrande maggioranza della popolazione italiana ancora si riconosce nei grandi valori della nostra religione cristiana. Personalmente mi sento offeso e indignato e penso che questa questione non vada sottovalutata».
Carlo P.
 
Gentile Carlo, potrei farle decine di casi analoghi: a scuola, per esempio, non solo il crocifisso ha rischiato di essere rimosso dalle aule, ma anche la recita della Natività è stata sostituita da quella di Cappuccetto Rosso mentre, più di recente, i santi Cirillo e Metodio stavano per perdere aureola e croce nella moneta da 2 euro slovacca e Babbo Natale veniva escluso perché «troppo cristiano». È chiaro che c’è qualcosa che non va. Se i santi si devono «mimetizzare» e persino Babbo Natale è rubricato tra i simboli che possono offendere la sensibilità di chi ha un credo diverso, significa che come minimo c’è un eccesso di zelo, una gara a maggiorare la laicità fino a farla diventare pregiudizio.

A mio avviso ci sono almeno un paio di fraintendimenti di fondo. Innanzitutto, l’idea che una società per essere laica si debba spogliare di qualsiasi «traccia religiosa» anche a dispetto della propria tradizione. Poi, il credere che i simboli religiosi siano riconducibili solo a un’identità specifica. Essi fanno parte, invece, di ciò che ha costruito nel tempo la nostra visione del mondo – i valori collettivi, le leggi, gli usi, le tradizioni, la cultura – e, in quanto tali, appartengono a tutti, atei e agnostici compresi. La società è come un essere vivente, evolve, cambia e si contamina, ma è figlia della sua storia; pretendere di renderla neutra – per conto di chi e a quale fine, poi? – un po’ m’inquieta.

Si dirà che è giusto fare tutto il possibile per mettere a proprio agio chi è diverso da noi. E sul principio in sé non ho nulla da eccepire. Ma accogliere l’altro non significa diventare estranei a noi stessi. Chi di noi cambierebbe mobilio e usi della propria casa sperando così di compiacere l’ospite in arrivo? È davvero quello che egli si aspetta da noi? Non sarebbe meglio accoglierlo mostrando ciò che davvero siamo, accettando la relazione e il confronto con lui, anche se questo richiede impegno? L’assurdo è che, a fronte di questi esempi eccessivi, la cronaca quotidiana delle relazioni tra culture riporta più spesso casi di diffidenza, rifiuto e pregiudizio. Sembra una contraddizione, in realtà sono due facce della stessa medaglia. Chi non conosce e non rispetta profondamente se stesso corre, infatti, due rischi opposti: di annullarsi nella ricerca del modo migliore di compiacere o di annullare gli altri per paura di perdere se stesso.
 

14 febbraio: la festa degli ignoranti
«Sono stanca di vedere festività storico-religiose cadere preda del consumismo e dell’ignoranza. Natale uguale regali e panettone, Pasqua focacce e uova di cioccolato. Ma Gesù Bambino e il Cristo risorto dove li mettiamo? Proprio l’altro giorno ho condotto una piccola indagine nella classe dove insegno. Trovandoci all’inizio di febbraio, la domanda ai ragazzi mi è venuta quasi automatica: “Se dico ‘san Valentino’, che cosa vi viene in mente?”. Tra i banchi è calato il gelo. Poi, qualche risatina. Nessuno, ma proprio nessuno, che sapesse chi era questo Valentino tanto nominato. Ecco allora che prima di fare gli auguri agli innamorati, io il 14 febbraio li farei a tutti gli ignoranti. Gli stessi che si scambiano regali in nome di un martire del III secolo di cui non sanno nulla».
Oria – Aosta
 
«Uno dei problemi più seri della nostra epoca è quello dell’ignoranza pratica religiosa in cui vivono molti uomini e donne. […] Questa ignoranza provoca nelle nuove generazioni l’incapacità di comprendere la storia e di sentirsi eredi di questa tradizione che ha modellato la vita, la società, l’arte e la cultura europee». Così parlava papa Benedetto XVI lo scorso novembre ai vescovi della conferenza episcopale di Francia. Che l’ignoranza rappresenti un limite dell’uomo non è certo una novità. Già Platone nel IV secolo a.C. la presentava come un male «insopportabile», proprio perché ottuso. «Chi non si accorge di essere privo di qualcosa, non desidera quello di cui non sente il bisogno», scriveva nel Simposio il filosofo greco, come a dire che chi si crede già sapiente non cercherà mai di migliorarsi.

Nel caso della festa di san Valentino, farei attenzione, però, a non puntare il dito contro chi non ne conosce l’origine. Intorno alla figura del patrono degli innamorati c’è infatti parecchia confusione: i documenti sono scarni e, spesso, realtà, storia e leggenda si confondono. La prima fonte che riferisce di un certo san Valentino nato a Interamna Nahars (l’antica Terni) nel 176 d.C. e morto martire a Roma il 14 febbraio 273 è il Martyrologium Hieronymianum (il più antico catalogo di martiri cristiani risalente alla seconda metà del V secolo). Stando anche a quanto riferito da altre fonti storiche, non c’è dubbio che un Valentino vescovo di Terni morto martire a Roma, decapitato e seppellito nei pressi della cittadina umbra, sia realmente esistito. Più difficile stabilire, invece, il motivo che ne avrebbe fatto il protettore degli innamorati. E qui ci addentriamo in una selva di racconti più o meno coloriti che lascio ai lettori approfondire. Come la leggenda della rosa della riconciliazione, che narra del modo in cui, col solo aiuto del fiore spinoso, Valentino riuscì a pacificare una coppia di innamorati, di cui successivamente celebrò il matrimonio. Oppure, la storia della cristiana Serapia e del centurione romano Sabino. Si racconta che i due innamorati, osteggiati dalla famiglia della giovane, chiesero al vescovo Valentino di celebrare le loro nozze. Neppure la malattia, che colpì Serapia a pochi giorni dal matrimonio, riuscì a dividere la coppia.

Il 14 febbraio, poi, non ricorre soltanto la morte del vescovo di Terni. Nel 1400, quello stesso giorno, sorgeva a Parigi l’Alto tribunale dell’amore, un’istituzione ispirata ai principi dell’amor cortese, con lo scopo di decidere su controversie legate ai contratti d’amore, ai tradimenti e alla violenza contro le donne».
Dal valore cristiano a quello prettamente laico, il 14 febbraio richiama a sé, quindi, un universo di storie e significati. Ma, lasciando da parte la storia, perché non concentrarsi – magari anche in classe – sul significato più profondo che la festa di san Valentino veicola? Perché l’amore non è esclusiva di teenager con la fissa dei regalini. Amare significa superare barriere e convenzioni, consumismo e futilità, nel nome del prossimo e, quindi, nel nome di Dio. L’uomo, in quanto creatura del Signore, è stato programmato per amare: esiste forse un sentimento più forte di quello che ci lega a Dio? E allora il 14 non festeggino solo gli innamorati, né tantomeno gli ignoranti. La festa dell’amore è festa di tutti.
 


Parole e segni potenti
 

In occasione del 750° anniversario del ritrovamento della lingua incorrotta di sant’Antonio, le Edizioni Messaggero Padova hanno pubblicato il libro Parole e segni potenti, un’antologia di testi ispirati al Santo, curata da Giorgio Laggioni e Andrea Massarin.

Il volume sarà presentato il 1° marzo 2013, alle 20.45, presso la Sala dello Studio teologico della Basilica di sant’Antonio, a Padova, con il seguente programma:

Saluti: padre Enzo Poiana, Rettore della Basilica del Santo
Introduzione: padre Ugo Sartorio, direttore del «Messaggero di sant’Antonio».
Intervento: padre Luciano Bertazzo, direttore del Centro studi Antoniani
Saranno presenti i due curatori del volume, padre Giorgio Laggioni e padre Andrea Massarin.

Voce recitante, Silvia Nanni; accompagnamento musicale, Gian Paolo Todaro.
 
 


Lettera del mese. Martiri d’oggi
 
Ogni cinque minuti un cristiano ucciso per la sua fede
 
Nel solo 2012 sono stati 105 mila i cristiani uccisi a motivo della loro fede. Una vera e propria carneficina che fa del cristianesimo, come ha affermato di recente Benedetto XVI, la religione più perseguitata del Pianeta.
 
«Caro padre, mi colpisce e amareggia l’indifferenza dei cristiani europei di fronte alle vere e proprie stragi di cristiani come loro sia in Africa che in Asia. Il sangue di questa moltitudine di martiri inquieta la coscienza e dovrebbe provocare una salutare scossa per la fede. Cosa ne pensa di questo ritorno massiccio e inaspettato del martirio?».
Luisa – Parma
 
Per quanto riguarda l’intolleranza e la violenza contro i cristiani, il 2012 si è chiuso in maniera tragica. Anche se i sei cristiani uccisi nel dicembre scorso durante la Messa di Natale in Nigeria non sono stati che i titoli di coda di un infinito bollettino di guerra. Benedetto XVI ha alzato più volte la voce per ricordare come tra le religioni quella cristiana è la più perseguitata del Pianeta, ma a poco è servito. Ogni anno il bilancio di uccisioni, persecuzioni, stragi, riprende quota e i numeri sono impressionanti. «Nel 2012 – ha precisato recentemente il sociologo Massimo Introvigne, coordinatore dell’Osservatorio della libertà religiosa in Italia, in un’intervista a Radio Vaticana – sono stati uccisi per la loro fede 105 mila cristiani: questo significa un morto ogni 5 minuti». Non si tratta di calcoli a spanne, ma ricavati da dati diffusi dal documentatissimo Centro «David Barret» negli Stati Uniti. Anche la geografia del fenomeno è conosciuta, e chiama in causa soprattutto Paesi che lasciano spazio al fondamentalismo islamico come Nigeria, Somalia, Mali e Pakistan, oppure Paesi dove persistono regimi totalitari di stampo comunista, primo tra tutti la Corea del Nord.

Naturalmente non si tratta di 105 mila storie di martirio, poiché, in senso stretto e quindi teologico, il martire cristiano è colui che offre volontariamente la propria vita per la causa di Cristo e del Vangelo. Infatti, il testo conciliare più denso sulla testimonianza radicale del martirio (cf. Lumen gentium n. 42) parla di una realtà «con la quale il discepolo è reso simile al suo maestro che liberamente accetta la morte per la salute del mondo». Insomma, non ogni cristiano ucciso in odio alla fede è martire, pur trattandosi in ogni caso di una testimonianza alta e di indiscutibile valore. E anche la troppo facile concessione da parte dei media dell’attributo di martire a figure di terroristi (si pensi al Medio Oriente) che premeditatamente trascinano nella loro morte per autodistruzione uomini e donne innocenti, non fa che indurre confusione. Il mar­tire cristiano, infatti, è sommamente pacifico, e offre la sua di vita, non quella di altri, per cui non è né un kamikaze né un suicida. Vi è poi la delicata questione se la testimonianza del martirio sia testimonianza alla verità genuina e decisiva.

Considerando le molte teste calde in circolazione disposte a farsi uccidere pur di affermare un’idea, è meglio dire che chi muore per una causa ritenuta importante dà (soggettivamente) la vita per la (sua) verità senza però dare vita alla verità. Piuttosto, il gesto totalizzante del martirio interpella la libertà di chi constata il darsi di queste situazioni estreme, affinché prenda posizione in merito alla causa attestata. Sant’Agostino, con l’incisività del retore, afferma: «A fare il martirio non è la pena, ma la causa», quindi non l’accumularsi della violenza più bieca quanto piuttosto la motivazione che sta alla radice della scelta, per il cristiano Gesù Cristo e il suo regno di giustizia.
Il nostro discorso non sarebbe completo se non ricordassimo che i 105 mila di cui abbiamo parlato sopra appartengono a più confessioni cristiane, per cui alcuni tra loro hanno anche realizzato quello che Giovanni Paolo II, nell’anno del Grande Giubileo, ha definito l’«ecumenismo dei martiri», tra i molti il più convincente.


Lettere al Direttore, scrivere a: redazione@santantonio.org


Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017