Una vita... in formazione
Una semplice costruzione di color rosso mattone apre sul lato destro la sequenza degli edifici che s’affacciano sulla padovana via Cesarotti. Alcuni di questi sono preziosi per arte e storia, come il complesso comprendente la Loggia e l’Odeo Cornaro, due capolavori del Rinascimento padovano, riportati da recenti restauri al loro originario cinquecentesco splendore. Ma ritorniamo alla più modesta «casa rosso mattone»: sul suo lato occidentale incombe con solida bellezza l’abside della Basilica del Santo, dove si arresta il gradiente inseguirsi di cupole, campanili e torrette che lanciano verso il cielo il celebre Santuario; dal suo lato meridionale, invece, si diparte un breve chiostro, detto «Chiostro del Paradiso», in tempi lontani estrema dimora dei frati della Basilica.
Perché tanto interesse per il poco rilevante edificio color rosso mattone? Presto detto. Esso è la sede della Curia provinciale dei francescani conventuali di Padova. Da lì un gruppetto di religiosi, con a capo il Ministro provinciale, attualmente padre Gianni Cappelletto, guida e anima una vasta provincia religiosa che, con l’ormai imminente unione alla consorella bolognese, abbraccerà tutta l’Italia del Nord, assumendo il nome di Provincia italiana di sant’Antonio. Per qualche numero sarà questo il luogo dei nostri incontri mensili, che non ci allontanerà dalla Basilica e da sant’Antonio, perché anche la vita dei religiosi della Curia scorre, come vedremo, nel fiume della realtà antoniana.
Una vocazione precoce
Il primo incontro è con padre Giovanni Voltan, vicario provinciale, cioè primo dei consiglieri e braccio destro del ministro provinciale. Cinquantenne, padovano di Salboro, quartiere della periferia sud della città del Santo, padre Giovanni è, come si suol dire, una «vocazione precoce», essendo entrato a soli 11 anni nel seminario di Camposampiero (Padova). «Per simpatia», commenta oggi, ovvero sulla scia di un fratello di due anni più anziano di lui, oggi don Leopoldo, parroco di Campodarsego (Padova). Assieme a lui lo scorso aprile padre Voltan si è cimentato nella Maratonina di sant’Antonio, ventun chilometri da Camposampiero a Padova, espressione spettacolare di una passione – che anche chi scrive da anni coltiva – che parte da una convinzione: «La corsa è immagine eloquente del pellegrinaggio della vita: apre spazi al silenzio, alla preghiera e alla conoscenza di se stessi, e lo fa in una dimensione di fraternità, quando si corre con altri». A Camposampiero il piccolo Giovanni inizia il lungo percorso di formazione, che lo conduce, passo dopo passo, verso la consacrazione. «Le scelte importanti – ricorda – le ho fatte intorno ai 17 anni, per confermarne altre precedenti forse più istintive e meno consapevoli. Quando si entra in seminario in tenera età, si è come “polli d’allevamento”. Ma arriva il tempo in cui occorre scegliere con maggiore consapevolezza e maturità».
Fresco di ordinazione, padre Giovanni comincia subito a occuparsi dell’educazione e della formazione degli aspiranti alla vita religiosa e sacerdotale. Continuerà a farlo per vent’anni, passando dai più piccoli, ospitati nei seminari di Rivoltella del Garda (Brescia) e Camposampiero, ai più grandicelli di Pedavena, nel bellunese, (i tre istituti sono ora soppressi) e di Brescia, per finire con quelli dell’Istituto teologico Sant’Antonio dottore, a Padova, alle prese con l’ultimo tratto del cammino di formazione e con le tante e sempre più importanti scelte in esso disseminate. Una missione delicata, la sua, che si conclude nel 2005. Segue un periodo di relativo «riposo», dopo il quale, nel 2009, il neoeletto Ministro provinciale, padre Gianni Cappelletto, lo sceglie come suo vice.
In Curia partendo dalla Basilica
Precisa padre Giovanni: «Pur risiedendo in Curia, noi siamo membri della comunità del Santo, della quale condividiamo la vita partecipando ai riti quotidiani e anche, per quel che mi riguarda, ad alcuni impegni concreti, come l’ascolto delle confessioni, la visita guidata dei pellegrini al Santuario… Per me il momento più intenso è al mattino quando, dopo essere stato alla tomba del Santo a raccomandargli persone care, mi associo ai confratelli nella preghiera e nella celebrazione dell’Eucaristia, spesso accompagnando io stesso i riti con le note dell’organo… È un momento importante, che dà il “la” e trasmette forza a tutta la giornata…».
I suoi rapporti con il mondo della devozione antoniana non si fermano a questo. «Mi è stato chiesto – racconta – di coordinare le sette comunità conventuali residenti in Padova e dintorni, vale a dire quelle dei conventi del Santo e dell’Arcella, del “Messaggero di sant’Antonio”, dell’Istituto teologico, del Villaggio di Noventa Padovana, del Santuario di Camposampiero e della Comunità San Francesco di Monselice. Tutti insieme abbiamo promosso un’iniziativa, rivolta ai devoti del Santo: li abbiamo invitati a trascorrere due giorni con Antonio e i suoi frati. Lanciata sul “Messaggero di sant’Antonio”, la proposta ha avuto un numero di adesioni assai superiore ai cinquanta posti a disposizione. La lunga lista di richieste ci ha indotto a ripetere più volte l’esperienza. Nell’ottobre scorso siamo giunti alla quarta edizione.
Nei due giorni trascorsi a Padova, i pellegrini sono accompagnati a visitare i luoghi classici della devozione antoniana: Camposampiero, dove frate Antonio ha trascorso gli ultimi giorni di vita, impreziositi dalla visione di Gesù Bambino; l’Arcella, dove egli ha concluso la sua esperienza terrena e, ovviamente, la Basilica, che ne custodisce le spoglie mortali, e che abbiamo fatto visitare a sera inoltrata, senza il brusio di altri visitatori, immersi in un luminoso silenzio che fa sentire più viva l’arcana presenza del sacro. La visita prosegue poi nei luoghi in cui la carità nel nome del Santo si concretizza: il Villaggio di Noventa Padovana, che accoglie nuove povertà e promuove iniziative a favore di persone con disabilità, la Comunità San Francesco di Monselice, che ospita chi tenta di liberarsi dalle spire della dipendenza da droghe, alcol e gioco. I pellegrini vivono questi due giorni con riconoscenza, come consolidamento di un’amicizia che da anni, attraverso il “Messaggero di sant’Antonio”, li lega al Santo e al suo messaggio di Vangelo e Carità».
Un ruolo da interpretare
E il suo ruolo di vicario? «Non ho ancora capito in che cosa consista – dice padre Voltan sorridendo –. Qualche bello spirito, applicando suppergiù al termine latino vicarius le regole dell’acrostico, lo definisce un vir inutilis, carens auctoritatis, un uomo inutile privo di ogni autorità… Battuta a parte, credo non sia un ruolo “fisso”, ma da definire cammin facendo, interpretandolo anche in base alla sintonia che si riesce a instaurare con il superiore, una sintonia che tra me e padre Gianni, ad esempio, è ottima.
Sento di essere il primo tra i consiglieri a essere consultato, proprio perché vicario e quindi partecipe delle gioie e anche delle fatiche che porta in sé il ruolo del provinciale, che è quello del buon padre di una famiglia molto numerosa. Il mio compito principale è, allora, di essergli vicino, offrendogli i miei consigli quando richiesti e sostenendolo nei passaggi difficili della sua missione. Un altro compito è di essere inviato a rappresentarlo in luoghi e situazioni in cui non riesce a essere presente, cercando quindi una vicinanza alle comunità e alle situazioni da lui indicate».
Il Santo in Russia
Sarà inviato in Russia il sarcofago di marmo che ha accolto il corpo di sant’Antonio. Diventerà l’altare maggiore della chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo a San Pietroburgo, officiata dai frati minori conventuali. Si tratta del sarcofago provvisorio, posto nella Cappella di San Giacomo (in Basilica) in occasione del restauro della Cappella dell’Arca, che aveva ospitato il corpo del Santo per circa 20 mesi, tra il 2008 e il 2010. Il sarcofago riprende la forma dell’arca trecentesca raffigurata nell’affresco di Giusto de’ Menabuoi, che si trova nella Cappella del Beato Luca.
La donazione è stata voluta dai conventuali di Padova, d’intesa con la Veneranda Arca di Sant’ Antonio, per sancire lo stretto legame esistente con i frati della Custodia russa. Da quando infatti, nel 2008, le Reliquie del Santo sono state portate in pellegrinaggio in Russia, nel Santuario antoniano è notevolmente aumentata la presenza dei devoti provenienti da quel Paese. (N.M.)