Lezione di cristianesimo
Le lezioni le impartiscono solo i maestri e i veri maestri – parola che deriva dal latino magister e che porta alla radice il riferimento a un di più (magis) – sono quelli che sanno insegnare con le parole e con la vita, indistintamente. Per quasi otto anni Benedetto XVI ha dato lezioni di cristianesimo, nel senso più alto, di fronte a parlamenti nazionali, a folle di popolo, a laici-preti-religiosi in ogni angolo del pianeta. Ha riportato al centro del nostro mondo distratto Cristo come Vangelo di Dio e benedizione per ogni uomo e donna che lo accoglie. Con decisione, mitezza, intelligenza, mettendo a frutto i molti anni di docenza universitaria e i profondi studi che hanno costituito la spina dorsale della sua formazione e maturità, prima e durante il pontificato. Credo di aver letto gran parte degli scritti e pronunciamenti di Benedetto XVI, e prima ancora quelli del cardinal Ratzinger, lucido e brillante teologo, trovandovi solidità e passione, grande impegno della ragione e unitamente grande apertura al futuro di Dio. Mi ha sempre colpito la finezza del ragionamento e la cura di mostrarne la vicinanza alla vita, perché le parole non risultassero vane, vuota e inutile teoria.
Ma dopo molte lezioni anche di altissimo livello è arrivata la lezione davvero magistrale, da vero maestro, da cristiano, nella quale Benedetto XVI ha parlato facendosi da parte, annunciando un suo ridimensionamento, forse anche un silenzio della sua stessa parola. Ingravescentem aetatem, cioè l’età avanza, gli anni pesano sulle spalle e queste spalle sono troppo fragili per reggere il peso di un servizio (quello del ministero petrino, del papato) che richiede prontezza di riflessi, energie fresche, impegno diuturno. Il primo sms che ho ricevuto, da un caro amico, dopo il lancio d’agenzia (alle 11.46 dell’11 febbraio) con la notizia che ha stupito il mondo, diceva: «Il Papa ha dato le dimissioni? Sono sconcertato, mi manca la terra sotto i piedi! E noi poveri cristiani?». L’effetto shock c’è stato, indubbiamente, causato dal sentirsi, tutto d’un tratto, orfani di una presenza tanto preziosa e cara, preoccupati per una Chiesa che veleggia tra molti pericoli, anche interni, e che è divenuta una sorta di accusata globale. Ma papa Benedetto XVI non ha fatto altro che mettere al centro, come sempre, il bene più grande della Chiesa e quel Cristo a cui ha dedicato tutte le energie della vita, fin dove possibile, fin dove ha giudicato (da uomo di fede intelligente e libero) che per il bene di tutti fosse giunta l’ora di passare la mano.
E ora? Viviamo la gratitudine per il grande dono degli otto anni di pontificato di papa Benedetto XVI, preghiamo per lui augurandogli lunga vita e ancora molte soddisfazioni, e al contempo preghiamo per il suo successore. Non sono abile nel giocare al «totopapa», anche perché ho sempre visto che Dio ama sparigliare e mettere in campo soluzioni umanamente impensate. Quello che verrà sarà il Papa giusto, quello che ci vuole in questo frangente, anche se subito gli metteranno addosso stupide etichette: troppo giovane o troppo vecchio, troppo eurocentrico o troppo decentrato rispetto all’Europa, conservatore o progressista, e via dicendo. Da sempre il mondo cerca di determinare l’agenda della Chiesa, e qualche volta la Chiesa se la lascia dettare. Ma non sarà così nell’ormai imminente Conclave: come nei precedenti, chi alla fine si affaccerà vestito di bianco sul balcone della Basilica di San Pietro verrà applaudito dalla folla al grido di Viva il Papa, e subito si comincerà a parlare di come Dio riesce sempre a stupire il suo popolo. Che venga da lontano o da vicino, che sia bianco, nero o giallo non fa differenza. Sarà lui il successore di Pietro e la guida spirituale di un miliardo e duecento milioni di cattolici sparsi nel mondo. Chiunque sia, accompagniamolo con l’affetto e la preghiera.