Chi dorme non piglia pesci (ma guadagna in salute)
Non abbiamo tempo da perdere, oggi. E quelle sette-otto ore di sonno cui ogni notte ci spingerebbe la natura sembrano a volte quasi sprecate, incompatibili con i ritmi frenetici cui la società (o noi stessi) ci obbliga. Andiamo a dormire sempre più tardi e anticipiamo l’ora della sveglia, nel tentativo di rincorrere le cose da fare e stare al passo con le richieste che ci vengono imposte dalla famiglia, dal lavoro, dalla scuola o dal nostro bisogno di evasione e divertimento. «Il risultato è che negli ultimi decenni la popolazione in media ha perso un’ora quotidiana di sonno – spiega Lino Nobili, responsabile del Centro per la diagnosi e la cura dei disturbi del sonno dell’ospedale Niguarda a Milano –. Non esiste una regola assoluta cui attenersi, ma ognuno dovrebbe dormire quel che gli serve per stare bene».
Il condizionamento culturale è tale, però, che non sempre è facile essere onesti con se stessi su questo punto, e riconoscere che la causa di molti malesseri diurni potrebbe risiedere nelle cattive abitudini serali che abbiamo acquisito. La luce diretta prodotta dagli schermi di televisori, computer, tablet e telefonini, su cui sempre più spesso giovani e meno giovani puntano l’attenzione prima di dormire, inibisce la produzione di melatonina, l’ormone che induce naturalmente il sonno. Così come non conciliano il riposo i pasti troppo abbondanti della sera, per compensare gli spuntini frettolosi che hanno sostituito il pranzo.
E l’attività fisica, che in genere è benefica, ottiene lo scopo opposto quando è praticata in maniera intensa subito prima di andare a letto. Insomma, tutto il nostro modo di vivere porta a questo semplice risultato: un italiano su tre dorme troppo poco.
La conseguenza più comune non è, come si potrebbe immaginare, la sonnolenza diurna. «È anzi più frequente che il livello di iperattivazione provochi nervosismo, irritabilità, perdita di concentrazione e solo un generico senso di stanchezza, oppure disturbi dell’umore di tipo depressivo» prosegue il neurologo milanese.
Uno degli effetti più tangibili e devastanti della privazione di sonno, per quanto difficile da calcolare, è una rilevante quota di vittime degli incidenti sulla strada o sul lavoro: «Quelli provocati dai colpi di sonno sono i più gravi, e spesso mortali, perché chi ne è vittima non frena, non sterza, né mette in atto alcun tentativo di rimediare alla situazione di pericolo» spiega Lino Nobili. E non occorre che gli occhi siano chiusi per perdere il controllo. «Anni fa – continua il neurofisiopatologo – abbiamo dimostrato che in privazione di sonno, anche se il soggetto è apparentemente sveglio, ci sono parti del suo cervello che sono come addormentate, per cui le sue performance sono inevitabilmente compromesse. Se poi si aggiunge anche una minima quantità di alcol, l’effetto viene amplificato, come è emerso da un lavoro che abbiamo condotto in collaborazione con la Polizia di Stato: anche quando i livelli etilici nel sangue sono entro la norma, se il conducente è in privazione di sonno, i suoi riflessi sono rallentati come se avesse bevuto molto più del consentito».
Longevità a occhi chiusi
Il sonno non serve solo a riposare e resettare il cervello. È un momento prezioso anche per la regolazione di altre attività dell’organismo, come le difese immunitarie o la produzione di ormoni: «Per questo alcuni studi sembrano segnalare l’aumento del rischio di svariate malattie, anche tumorali, legate al sovvertimento dei ritmi sonno-veglia, come accade a chi, per lavoro, è sottoposto all’alternanza di turni di giorno e di notte» aggiunge Lino Nobili. «La carenza di sonno provoca una sorta di infiammazione cronica dell’organismo per cui alcuni pazienti con malattie autoimmuni peggiorano la loro condizione, quando dormono troppo poco». Sulla scia di questa cattiva abitudine si altera poi la produzione di ormoni come l’insulina o come la leptina, che regola l’appetito. Sarà per tale motivo, o anche perché chi non dorme di notte si lascia andare più facilmente a spuntini notturni o a colazioni più abbondanti per tirarsi su, ma la frequenza di obesità e diabete in chi riposa troppo poco è sicuramente più elevata.
«Quando diciamo che esiste un’associazione tra la mancanza di sonno e varie condizioni patologiche non intendiamo indicare sempre con certezza quale sia la causa e quale l’effetto, perché ci sono molti fattori che possono trarre in inganno» precisa Gianfranco Parati, docente di malattie cardiovascolari all’Università di Milano-Bicocca. Per esempio, una persona obesa, o che soffre di malattie di cuore, da sdraiata può respirare con maggiore difficoltà, e quindi può far fatica ad addormentarsi. Allo stesso modo, un malato può essere svegliato più volte durante la notte dai suoi sintomi (su tutti, il dolore o la necessità di andare in bagno). Si parla in questo caso di insonnia secondaria, eventualità che si può risolvere solo intervenendo sulla causa che la provoca.
Condizioni particolari a parte, comunque, oggi sta emergendo in maniera sempre più evidente che il sonno di per sé fa bene alla salute, tanto che andrebbe aggiunto ai quattro pilastri della prevenzione sanitaria (non fumare, bere alcol in maniera moderata, mangiar sano e svolgere una regolare e adeguata attività fisica). Uno studio olandese pubblicato a inizio luglio sull’«European journal of preventive cardiology», e condotto su oltre 14 mila persone di entrambi i sessi, ha dimostrato, infatti, che dormire a sufficienza aumenta l’effetto benefico delle altre quattro sane abitudini a vantaggio di cuore e vasi sanguigni e, come se non bastasse, protegge anche da infarti e ictus.
«Da molti anni ormai osserviamo un’associazione tra la carenza di sonno e il rischio cardiovascolare – prosegue Parati –. Probabilmente il mancato riposo determina uno stress cronico, con un’attivazione permanente del sistema simpatico, che spiega alcuni casi di ipertensione arteriosa resistente alle cure, in cui la pressione non scende neppure durante la notte. Non a caso, nel reparto di cardiologia che dirigo all’Ospedale San Luca dell’Istituto auxologico italiano, sempre a Milano, abbiamo allestito un vero e proprio centro del sonno».
A letto con le apnee
Nel centro milanese diretto da Gianfranco Parati, così come in molti altri disseminati nel Paese, si studiano anche disturbi diversi dall’insonnia o dalla voluta privazione di sonno. Se quest’ultima è sospettata di minacciare la salute di cuore e vasi, ormai anche le apnee notturne – interruzioni del respiro dovute alla transitoria chiusura delle vie respiratorie – vengono associate a ben determinati fastidi. «Una vasta letteratura scientifica le collega all’ipertensione, alle aritmie o al rischio di andare incontro a infarti e ictus – continua il cardiologo –. Tra i pazienti con scompenso cardiaco, poi, queste alterazioni del respiro durante la notte sono molto frequenti; quando aumentano, la prognosi tende a peggiorare». Ma come si fa a sapere se si appartiene a quel 5 per cento della popolazione generale che soffre di queste apnee, anche dette «ostruttive»? «Qualche volta è il paziente stesso ad accorgersene, perché si sveglia nel cuore della notte con la sensazione di non riuscire a respirare – riprende Lino Nobili –. Più spesso, tuttavia, il diretto interessato è del tutto inconsapevole di soffrirne: è chi dorme con lui o con lei a segnalare il fenomeno».
Russare è solo il primo passo, che mostra una turbolenza, non ancora patologica, nel passaggio dell’aria nelle vie respiratorie. Col passare degli anni, o l’aumento del peso, possono manifestarsi le vere e proprie apnee. La loro presenza andrebbe sempre indagata con vari esami, quando si soffre di malattie cardiovascolari, obesità o diabete, oppure quando ci si sente sempre stanchi pur avendo dormito 7-8 ore. Nei casi più gravi si può rimediare con una macchina da tenere sul comodino che aiuta la respirazione durante la notte, ma spesso una drastica riduzione di peso è sufficiente a risolvere il problema.
«Negli ultimi anni – conclude lo psicologo Luigi De Gennaro, docente all’Università La Sapienza di Roma, che nella capitale dirige un Centro per il sonno – la medicina si è concentrata su queste patologie (apnee ostruttive, ndr). A esse si dedica anche la maggior parte dei centri elencati sul sito della Società italiana di medicina del sonno (www.sonnomed.it). Di questi centri, però, pochi si fanno carico dell’insonnia, che è il disturbo più diffuso». Spesso, quando il paziente non riesce a dormire, il medico di famiglia gli prescrive una pillola, «aiuto» che non dovrebbe essere preso per più di 3-4 settimane, e che invece non si abbandona più. «In questo modo non vengono risolti i problemi all’origine del fenomeno e chi assume il farmaco ne diventa dipendente – prosegue l’esperto –. E pensare che basterebbero meno di dieci sedute di terapia comportamentale per risolvere l’insonnia in modo definitivo». Per i farmaci, però, si paga solo il ticket, mentre questi trattamenti in genere sono forniti solo in centri privati. «Ma soprattutto le medicine garantiscono una notte di sonno senza chiedere nulla in cambio» conclude lo psicologo. Cambiare abitudini è molto più impegnativo.
I giovani e l’orologio
Ragazzi e adolescenti non ammetterebbero mai di avere sonno. Non parliamo poi dei più piccoli, con i quali è sempre difficile essere rigorosi sull’ora della nanna: i genitori tornano tardi dal lavoro, l’orario della cena, rispetto alle generazioni passate, slitta sempre più in là, e quelle serali sono le uniche ore in cui si può stare un po’ insieme. Finisce così che a soffrire per la carenza di sonno sono anche i bambini, che reagiscono diventando nervosi e capricciosi, mentre il rendimento scolastico inevitabilmente ne risente. Uno studio condotto dall’Università di Boston per verificare i livelli di apprendimento in cinquanta Paesi del mondo ha dimostrato che gli scarsi risultati ottenuti in matematica o scienze sono spesso collegati a un insufficiente numero di ore di sonno. Per gli adolescenti si chiamano in causa anche i computer in camera tenuti accesi fino a tardi, i cellulari sul comodino che per tutta la notte trasmettono messaggi e notifiche, ma soprattutto la mentalità per cui le ore che meritano di essere vissute sono quelle notturne. «Dormire fino a tardi durante il week-end non serve a recuperare» spiega Lino Nobili, responsabile del Centro del sonno dell’ospedale Niguarda di Milano, «anzi, alimenta il circolo vizioso per cui la domenica sera si fa ancora più fatica ad andare a letto».
Per cercare di porre rimedio a questo fenomeno, alcune scuole negli Stati Uniti e in Gran Bretagna hanno provato a titolo sperimentale a spostare in avanti di un’ora l’inizio dell’orario scolastico mattutino. I primi risultati sembrano ottimi, sia in termini di rendimento sia per quanto riguarda la soddisfazione di insegnanti e studenti. Il rischio di questi provvedimenti è che i ragazzi, sapendo di poter contare su un’ora di sonno in più al mattino, tardino ulteriormente ad andare a letto. Forse sarebbe meglio se capissero che per migliorare i loro voti, e magari salvare l’anno scolastico, potrebbero fare molta meno fatica... dormendoci su.
Il decalogo del sonno
1 L’ora del sonno e quella della sveglia devono essere il più possibile regolari e costanti, week-end compresi.
2 Riposini e pennichelle possono compromettere l’addormentamento serale.
3 Dal pomeriggio in poi attenzione al caffè, ma anche ad altre sostanze eccitanti come tè e bevande contenenti caffeina.
4 Anche il fumo di sigaretta, prima di andare a dormire, può ostacolare il sonno. L’alcol, che invece sembra favorirlo, ne peggiora la qualità.
5 Evitare a cena piatti troppo abbondanti, pesanti o piccanti.
6 Esercitarsi in palestra o andare a correre la sera, aumentando la temperatura del corpo, fanno crescere anche la difficoltà a prendere sonno.
7 Un bagno caldo favorisce il relax, la doccia meno.
8 A letto si dorme, non si lavora.
9 La camera deve essere possibilmente fresca e ventilata.
10 Se non si riesce a dormire, meglio alzarsi e fare altro, piuttosto che continuare a rigirarsi nel letto aspettando il sonno.