«La nostra famiglia», medicina della relazione
«La differenza è che mio figlio è contento di venire qui» potrebbe sembrare una frase carpita al volo da una conversazione tra mamme all’uscita da scuola, o alla fine di un allenamento di calcio, oppure fuori dall’oratorio. Invece no. A pronunciarla è Daniele Rocca, papà di Omar, bimbo dai neri capelli corti e dallo sguardo intenso e indagatore che lo porta fin dove le gambe non riescono. Infatti, Omar, che compie 10 anni proprio a dicembre, per muoversi usa una carrozzina elettrica rosso ferrari, a causa della tetraparesi spastico-distonica da cui è affetto sin dalla nascita, e che lo costringe, periodicamente, a «venire qui».
Per decifrare la frase iniziale, infatti, manca il luogo del quale Omar «è contento». Siamo a Bosisio Parini, provincia di Lecco, sulle basse colline che circondano il lago di Pusiano. Fuori dall’abitato, nel verde della campagna, sorge la sede principale de «La nostra famiglia», dove convivono attività ospedaliere, di clinica, riabilitazione, ricerca scientifica e formazione, il tutto «dedicato» ai minori con disabilità. Sembra periferia, e invece è centro: un centro all’avanguardia a livello internazionale, presidio medico-scientifico dove si coniugano cura e ricerca, secondo il motto predicato dal fondatore, il beato Luigi Monza: «Scienza e tecnica al servizio della carità».
Ma continuiamo a osservare la struttura con gli occhi di Omar e di papà Daniele: «Adesso siamo qui per i trattamenti riabilitativi intensivi e per i controlli periodici. Siamo appena usciti da una visita con un pediatra, ed è stato Omar stesso a chiedere quando deve tornare la prossima volta. Non gli pesa trovarsi in questo ambiente a tanti chilometri da casa, anche perché non lo percepisce come un ospedale, nonostante la permanenza di quindici giorni, per via della riabilitazione». Si sa quanto per un genitore conti che il figlio si senta a proprio agio. Ma Daniele, 46 anni, che di mestiere fa l’elettricista, aggiunge altri circostanziati motivi per spiegare la sua soddisfazione: «Davvero senti che qui la persona è al centro. Non è solo “ospedale” o “riabilitazione”, e la struttura, anche se molto vasta, non è opprimente: ci sei tu, c’è il bambino, ci sono tante piccole attenzioni che ti dimostrano che sei messo al primo posto». L’esatto contrario, insomma, di quella «cultura dello scarto» delle persone fragili denunciata a più riprese da papa Francesco. Mettere al centro il più bisognoso, vale a dire, in questo caso, il bambino con disabilità grave, come si può ben intuire non è un fatto accidentale, ma una scelta precisa, che solo qui a Bosisio Parini comporta l’impegno di circa seicento dipendenti, tra medici e infermieri, ricercatori e docenti, senza contare lo stuolo di volontari che animano le attività dei sette padiglioni del polo.
«Poi certamente – prosegue il papà di Omar –, conta la competenza degli operatori, ma non è altra cosa rispetto al farti sentire bene, a casa, accolto e, altra sensazione difficile da trovare, ascoltato. A “La nostra famiglia” si dà infatti molto rilievo a quanto trasmette la... famiglia. L’approccio del personale sanitario è: noi siamo esperti, ma poi ogni caso va valutato singolarmente, e voi col bambino ci siete tutti i giorni per ventiquattrore al giorno. Percepisci che anche il tuo vissuto è valorizzato. Non è scontato, perché spesso quando hai a che fare col medico conta solo quello che dice lui».
Il pensiero di Daniele va a qualche anno fa quando, in un’altra struttura, Omar «ha quasi rischiato di morire per una pancreatite acuta da farmaci. Sembrava fossimo io e mia moglie Simona a esagerare, e invece… Poi abbiamo trovato un medico che ci ha ascoltati e il peggio è stato scongiurato. Ora per noi l’interscambio è diventato normalità, ma sappiamo che non sempre è così».
La qualità tacita
L’associazione «La nostra famiglia», che è presente nella Penisola con altre ventotto sedi oltre a quella di cui stiamo parlando, non da oggi si distingue per simili attenzioni. Il 2013, infatti, è stato un lungo anno di celebrazioni, perché corrisponde al cinquantesimo anniversario dalla fondazione del polo principale di Bosisio Parini. Tra le autorità che hanno offerto il proprio apporto per i festeggiamenti anche Stefano Zamagni, noto economista ed esperto di welfare, che nella lectio magistralis tenuta a «La nostra famiglia» il 19 ottobre ha «teorizzato» quanto descritto da Daniele: «C’è una qualità codificata di una struttura sanitaria, fatta di codici e protocolli, e la qualità tacita, che è di tipo empatico e relazionale: a parità di competenze, otterrà maggiori risultati il medico capace di entrare in sintonia col malato. Bisogna quindi che la governance di una struttura sanitaria garantisca questa sorta di “medicina della relazione”. Oggi il sofferente, il bambino in particolare, ha bisogno di quella relazionalità umana che si esprime in tanti modi: cantare, sorridere, dare il pizzicotto. Quando voi fate capire a un bambino che lui è importante per voi, vi assicuro che il bambino guarisce prima».
Quanto Daniele e Simona stanno condividendo non è dunque per nulla secondario. È ancora il papà a dare voce all’esperienza vissuta al centro di riabilitazione: «A conquistarti è l’umanità. Dagli infermieri al dottore, si instaura quel rapporto anche di amicizia che nel corso del tempo rimane, perché tornando ritrovi lo stesso personale: e questo aiuta. Quando vieni qui è un po’ come se allargassi la famiglia». Già, forse quella sottolineatura plurale del nome dell’associazione, quel «nostra famiglia» significa proprio questo: quando c’è una persona in grave difficoltà, e nello specifico quando un bambino vive una qualche forma di disabilità, non è un problema «suo» o della sua famiglia, in ottica privatistica. Nella condivisione è, e può diventare, una questione «nostra». Con don Lorenzo Milani, verrebbe da dire «I care», mi interessa, mi riguarda. A Bosisio Parini dicono: «Ci riguarda». Professionalmente e umanamente, senza lasciare nessuno indietro.
Fare bene il bene
«Nostra famiglia» comprende allora il bambino, i genitori, i volontari, il personale, ma anche, in maniera orizzontale, le altre famiglie che frequentano la struttura, come testimonia ancora Daniele: «Nel tempo conosci altri bambini e i loro familiari, in particolare le mamme, ma pure tanti papà. Condividi con loro gioie e sofferenze, i progressi dei figli e i dubbi. La grossa differenza nell’atteggiamento dei genitori la vedi tra chi ha un bimbo con una disabilità dalla nascita e chi invece ha un bimbo che ha subìto un incidente e si trova da un giorno all’altro a dover far fronte a una situazione che sembrava inimmaginabile. Poi magari per noi è un po’ diverso ancora, perché lo abbiamo scelto, ma in realtà le dinamiche di accettazione, cura e accompagnamento, sono simili».
In che senso Daniele e Simona «lo hanno scelto»? Beh, la loro è una storia piuttosto particolare. I due si sono conosciuti nella Comunità Cenacolo di Saluzzo, in provincia di Cuneo, dove Daniele viveva un percorso di disintossicazione dalla droga. Dopo, il fidanzamento, il matrimonio e la scelta di rimanere a vivere nella Comunità, condividendone la spiritualità e lo stile di accoglienza. Racconta Simona: «Quando, dopo un anno e mezzo, non arrivavano figli biologici, abbiamo chiesto al Signore che cosa volesse per noi. Lentamente nella preghiera è emerso questo desiderio di volere una famiglia grande con tanti bambini».
Così è pian piano nata la prima adozione, quella di Omar, alla quale sono seguiti gli arrivi di Chiara, affetta da sindrome di Down, che ora ha 7 anni; Francesco, di 5 anni, e, l’ultimo venuto, Giovanni, di 3, entrambi affetti da forme di tetraparesi.
«Ci siamo sentiti di accogliere bambini che nessuno voleva – confida Daniele –, che erano stati abbandonati alla nascita. Ora per noi aver incontrato una struttura come “La nostra famiglia” è stato essenziale per accompagnare tutti i nostri figli a fare un balzo in avanti in termini di qualità della vita. Non si tratta solo di salute: i miglioramenti che fanno qui al centro diventano quotidianità a casa come pure a scuola, e contagiano anche le persone che hanno intorno. Il bambino vive meglio, comunica meglio, sta meglio, si inserisce meglio con gli altri, e così via». Questa teoria di «meglio» è declinazione di un motto che è parecchio riecheggiato nel cinquantesimo anniversario, ovvero «Fare bene il bene», come amava ripetere il beato don Luigi Monza. Uno slogan che personale dipendente, volontari e associati de «La nostra famiglia» hanno sempre a cuore, e che cercano di applicare «coniugando competenza e dedizione, senza improvvisarsi» precisa Carla Andreotti, direttrice del centro, perché il bene, per fiorire in «meglio», richiede impegno e disponibilità.
Se è vero che «la misura della grandezza di una società è data dal modo con cui essa tratta chi è più bisognoso», come ha detto papa Francesco alla Gmg di Rio, allora quella di Bosisio Parini è una società grande, che chiede di essere sostenuta per diventare, a sua volta, seme di altro bene.
«La nostra famiglia»
L’associazione «La nostra famiglia» si dedica alla cura e alla riabilitazione delle persone con disabilità, soprattutto in età evolutiva. Fondata dal beato don Luigi Monza nel secondo dopoguerra, l’associazione festeggia nel 2013 il 50° anniversario dell’apertura della sua sede principale di Bosisio Parini (Lecco), capofila di altre 28 presenze in Italia, per un totale di 2.300 dipendenti e 25 mila pazienti ricoverati o presi in carico all’anno.
Il centro di Bosisio Parini è articolato in tre ambiti fondamentali di attività: l’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) «Eugenio Medea», realtà ospedaliera che svolge attività clinica e di ricerca scientifica; il centro di riabilitazione; il centro di formazione, nel quale, in convenzione con l’Università di Milano, sono istituiti corsi di laurea in neuropsicomotricità, logopedia ed educazione professionale. L’Irccs «Eugenio Medea» è a oggi l’unico istituto scientifico italiano riconosciuto per la ricerca e la riabilitazione nello specifico ambito dell’età evolutiva.
Per informazioni: www.lanostrafamiglia.it