Vita da pendolari
Nove ore alla scrivania, quasi due per arrivarci. Un’ora per mangiare, sette per dormire e cinque per tutto il resto. Da venticinque anni sempre la stessa solfa. La vita di Renato, 50 anni, impiegato in un ufficio commerciale nel cuore di Verona somiglia a un cubo di Rubik. Ogni istante è studiato nei minimi dettagli. Ogni tassello deve combaciare alla perfezione. Perché basta un minuto di ritardo per mandare all’aria un’intera giornata di appuntamenti. A cominciare da quello col vagone del treno che tutti i giorni Renato prende dalla stazione di Vicenza.
«Quindici minuti di ritardo – borbotta l’impiegato che a casa ha lasciato moglie e due figli –. Anche oggi timbrerò il cartellino fuori tempo e rincaserò per ora di cena». Dura la vita del pendolare. Per reggerla non basta, come direbbe Luca Carboni, «un fisico bestiale». Elasticità mentale e adattamento sono indispensabili «per resistere agli urti della vita». Lo sa bene Fiorella, 56 anni, impiegata di banca che, appoggiata a una colonna in stazione, «divora» il suo quotidiano e, di tanto in tanto, getta serafica un’occhiata al tabellone delle partenze. Forse sta già pregustando l’agognata pensione: «Ho riscattato gli anni di studio all’università, tra qualche tempo mi vedo in relax da tutt’altra parte».
Sono le 7,41 e la stazione di Vicenza è un alveare in fermento. Al fianco dei tanti pendolari veterani armati di ventiquattrore e impermeabile, avanzano a gruppetti le nuove leve. Studenti e giovani manager che con la vita itinerante hanno iniziato da poco a fare i conti. Francesca, 26 anni, si alza tutti i giorni alle 6 per raggiungere, alle 9, il laboratorio di Padova dove sta preparando la sua tesi in biotecnologia. «Prendere il treno è un sacrificio, ma anche un investimento. Se tutto va bene, a ottobre mi laureo e poi addio vita da pendolare!». Stessa carrozza, altra destinazione per Nicolò di Schio (VI), matricola alla facoltà veneziana di lingue orientali che, con una stanza in affitto a Mestre, fa il pendolare part-time solo il lunedì e il venerdì. «Così riesco a frequentare i corsi e a coltivare le amicizie», incalza il 21enne che stringe tra le mani una raccolta di racconti di Charles Bukowski, il suo compagno di viaggio preferito. Pendolari, dunque, per necessità, ma anche per convinzione. È il caso di Gabriella Cardinale, 49 anni, reumatologa padovana che, pur di non tradire il suo credo ambientalista, si è studiata un percorso ad hoc. Partenza: Abano (PD), dove abita; destinazione: il poliambulatorio nel cuore di Padova, dove esercita la professione. «Quindici minuti in auto fino a un parcheggio in periferia, tre quarti d’ora in autobus per raggiungere il centro – calcola la dottoressa –. In una città simile a una camera a gas la mia scelta è un regalo a tutti i bambini padovani che ogni giorno, andando a scuola, si sorbiscono un “aerosol” di sostanze tossiche».
Avanti e indietro
Avanti e indietro proprio come un pendolo. È il monotono destino di chi ogni giorno macina chilometri per assicurarsi il sospirato diploma di laurea o la cosiddetta «pagnotta». Un movimento costante nello spazio, ma non certo nel tempo. Secondo il rapporto Per le tecknoCittà. Comportamenti sociali più avanti dell’organizzazione urbana realizzato nel 2012 dal Censis insieme alla Rur (Rete urbana delle rappresentanze), i pendolari sarebbero passati dai 13 milioni 149 mila del 2007 agli oltre 14 milioni (più precisamente erano 14 milioni 195 mila a fine 2012) di oggi. Se poi si pensa che nel 2001 erano appena 9,6 milioni, l’incremento in dieci anni è stato davvero enorme.
Ma da che cosa dipende una simile impennata? Globalizzazione, sviluppo dei mezzi di comunicazione… Anche la crisi economica ci ha messo del suo, costringendo a una flessibilità di orari e trasferte senza precedenti. Infine, non dimentichiamo la trasformazione del tessuto urbano: «Di recente, in Italia si è accentuata la pratica di spostarsi in periferia per risparmiare sull’affitto o sull’acquisto della casa» spiega Sergio Veroli, vicepresidente di Federconsumatori. Risultato: le città si svuotano, le cinture extraurbane crescono e le distanze si dilatano: «All’aumento del pendolarismo – continua il dirigente – è corrisposta una necessità sempre maggiore di mezzi di trasporto collettivo». Peccato che a questo bisogno – a detta di Veroli – non sia stata ancora data adeguata risposta. «Finora in Italia, a livello di finanziamenti, si è privilegiato il trasporto su gomma. Ma ora, per decongestionare le aree urbane e ridurre costi e inquinamento, serve una politica economica che investa nel trasporto su ferro».
Ad avvalorare l’appello del numero due di Federconsumatori ci pensano i dati diffusi dal rapporto Pendolaria 2013 di Legambiente: dal 2009, all’aumento dei passeggeri ferroviari (+17 per cento) è corrisposta una riduzione delle risorse statali per il trasporto regionale pari al 25 per cento. Treni in calo (nel 2012, tanto per rendere l’idea, solo in Piemonte sono state soppresse dodici linee), e vagoni sempre più gremiti. Su certe linee, la mattina è come se si spostassero città intere. Poco importa se i ritardi dei regionali sono all’ordine del giorno, se le condizioni igieniche a bordo lasciano a desiderare e se, negli ultimi anni, le tariffe dei biglietti sono lievitate come il pane (un aumento medio del 10 per cento, con picchi fino al 23,4 in Lombardia): quello ferroviario resta comunque il mezzo più conveniente per il pendolare. Basta confrontare i numeri del rapporto Censis Pendolari d’Italia, scenari e strategie (realizzato nel 2008, in collaborazione col ministero dei Trasporti) per convincersene: a fronte di una spesa media mensile di 109,50 euro per il solo carburante dell’auto, il viaggio in treno incide per meno della metà (49,20 euro) sulle tasche del pendolare. Altro paio di maniche per la linea dei treni ad alta velocità (Tav): oggi si va da Milano a Roma in 2 ore e 55 minuti con 86 euro e da Bologna a Firenze in 35 minuti con 24 euro. In un panorama boccheggiante come quello dei trasporti su rotaia, i treni ad alta velocità rappresentano un paradosso di efficienza che però, al momento, non è alla portata di tutti: secondo il rapporto di Federconsumatori Essere pendolari, una scelta difficile, del 2008, solo il 5 per cento degli utenti ferroviari utilizza i Tav.
Per quanto bella, l’idea di convogliare tutti i pendolari d’Italia nel servizio di trasporto su ferro suona dunque pretenziosa, oltre che irrealizzabile. Sono tanti ancora gli uffici difficili da raggiungere a bordo di treni, tram e metropolitane. Non è un caso che quasi il 60 per cento dei pendolari in Italia utilizzi l’auto, seguito a ruota da una minoranza del 4,7 per cento che opta per ciclomotori e da un 2,9 per cento che ogni mattina sale in sella alla propria bicicletta (ricerca Istat sugli spostamenti quotidiani, 2005).
Quella dei lavoratori pendolari su quattro ruote è una categoria alquanto variegata. Maschi e femmine, manager e impiegati: c’è chi alle spese di carburante e autostrada è oramai rassegnato e chi invece si organizza per razionalizzare le risorse. Un esempio? Tutti gli utenti Telepass che dal 25 febbraio scorso, registrandosi sul sito www.telepass.it, hanno ottenuto il diritto a uno sconto fino al 20 per cento su un minimo di ventuno transiti in autostrada e per una tratta di 50 km al massimo.
Paradigma di buona gestione del mezzo privato su quattro ruote è poi il sito web www.roadsharing.com che, tramite inserzioni on line, fa incontrare i pendolari con la stessa destinazione, perché condividano il viaggio e le spese. Fabrizio è un commerciante in cerca di un passeggero con cui percorrere la tratta Alessandria-Vercelli dal lunedì al venerdì. Stella, studentessa di 21 anni, vive a Torino, ma ogni fine settimana cerca un passaggio per Bologna, dove vive il fidanzato. Sì, perché – pensandoci bene – si può essere pendolari per lavoro, per studio, ma anche per amore.
Non c’è tempo per annoiarsi
Qualunque sia il mezzo con cui si muove, ciò che il pendolare deve evitare come la peste è la noia, capace di trasformare anche il più motivato dei lavoratori in uno zombie. Ilaria Petrolati, 30 anni, sposata da due e pendolare da tre, ha ben presente il rischio. E proprio per questo nel 2011 ha creato il sito www.vitapendolare.it, un diario di viaggio in cui appuntare impressioni, curiosità, ma anche consigli e informazioni utili per tutti i «colleghi» che come lei «smanettano» al pc durante il tragitto in treno. Seconda carrozza, «posto finestrino» sul regionale che, dal lunedì al venerdì, collega Livorno a Firenze: ecco da dove, per tre ore al giorno, Ilaria osserva, riflette e scrive accompagnata dall’immancabile sottofondo musicale degli Skunk Anansie – gruppo rock «aggressivo al punto giusto» –: «Ormai il vagone è per me una seconda casa. Col tempo ti affezioni al tuo posto e acquisisci abitudini precise» racconta la ragazza che lavora nel settore marketing di una internet company. «Le cose più strane che ho visto in carrozza? Una donna che si asciugava i capelli nel bel mezzo del vagone, un uomo di mezza età che leggeva le pagine di un libro e man mano le strappava. Infine, una signora che si faceva la manicure e raccoglieva unghie e pellicine in un’apposita bustina. Vista la capacità di organizzarsi, non ho dubbi che si trattasse di una pendolare!».
«Al di là della lettura di un libro o della conversazione con un collega che condivide qualche fermata con noi, sui treni possono aver luogo le svolte più significative dell’esistenza di un essere umano» scrive Arrigo Bellastemi in Manuale di sopravvivenza del pendolare (Montag, 2010). Fabio Palombo, pubblicitario che ogni giorno fa la spola tra Saronno e Milano ne è la dimostrazione. Della sua idea di postare ogni mattina alle 9,30 su Facebook un racconto di «undici righe meno qualcosa» ha fatto un vero business. Il primo post comparso nel social network alla pagina «Traindogs» risale al 13 aprile 2010. Da allora sono arrivati quasi 7 mila followers, oltre cinquecento storie e un libro (Traindogs. Storie di uomini e di donne, Et Al Edizioni).
Ma la sinergia tra pendolari e web non finisce qui. In rete la presenza dei lavoratori itineranti si fa ogni giorno più dinamica. Vedere per credere tutti i siti e i blog (come www.quellideltreno.com del Comitato pendolari bergamaschi, www.inorario.com gestito dal Comitato pendolari Milano-Cremona-Mantova e www.pendolaribove.altervista.org che fa capo al Comitato pendolari Bologna-Venezia), le applicazioni per smartphone e tablet (Moovit, ad esempio, raccoglie le segnalazioni, dispensa consigli e calcola itinerari), i social network (Cityglance connette gli utenti dei mezzi pubblici in ogni parte del mondo), fino al Pendolibro, il primo e-book di racconti scritti da pendolari italiani (Libreriamo, 2013). «Il movimento genera connessioni – scrivono Anthony Ellitt e John Urry in Vite mobili (Il Mulino, 2013) –. Viaggiare molto implica sviluppare nuove connessioni e attivare o espandere la propria rete». Dunque, se è vero – come prevedono gli esperti – che il pendolarismo avrà ancora vita lunga, meglio comprarsi un bel portatile, o un tablet, e mettersi al passo con la tecnologia!
La salute non vien viaggiando
Che sarà quel dolorino alla schiena che vi accompagna ogni giorno in treno e che sparisce, guarda caso, nel fine settimana? Da cosa dipende il raffreddore cronico che vi tormenta da quando avete ripreso il lavoro a tempo pieno? Passerà mai quel senso di angoscia che vi coglie ogni mattina al casello dell’autostrada? Una vita itinerante come quella del pendolare non è quel che si dice una buona abitudine. Sempre in balìa di sbalzi di temperatura, inquinamento, sedili più o meno scomodi e snervanti attese, chi compie quotidianamente lunghi tragitti per raggiungere l’ufficio (o l’aula studio) è il candidato ideale a disturbi psicosomatici e a infezioni in genere.
Ogni patologia, tuttavia, va ricondotta quasi sempre a un medesimo fattore: lo stress. «I danni da stress possono essere suddivisi in tre gruppi – spiega Stefano Candura, responsabile dell’Unità Operativa di Medicina del lavoro all’Irccs - Fondazione Maugeri e docente all’Università degli studi di Pavia –: manifestazioni emozionali (ansia, depressione, irritabilità, attacchi di panico), manifestazioni comportamentali (assenteismo, ritardo cronico, sonnolenza sul lavoro, disturbi alimentari, aggressività, abulia) e manifestazioni psicosomatiche (cefalea, disturbi digestivi e cardiovascolari, immunodepressione)». Tutti problemi che, a detta del medico, hanno registrato negli ultimi tempi un’impennata, specie nella fascia di lavoratori tra i 30 e i 50 anni: «A rischio sono le persone “in carriera” e non completamente realizzate – continua Candura –, in particolare le donne con concomitanti impegni familiari (bambini e genitori anziani da gestire)». Tra tutti gli stili di vita pendolare quello che, a detta dell’esperto, nuoce di più alla salute prevede l’uso dell’automobile in solitudine e la programmazione giornaliera «a incastro» (che consente di fronteggiare gli impegni a ritmi forzati, ma a discapito del benessere fisico e mentale).
Per i pendolari, dunque, la salute del corpo viaggia di pari passo con quella dell’anima. L’insorgere di disturbi psicologici legati al pendolarismo «dipende anche dal carattere delle persone e dalla loro capacità di fronteggiare lo stress» precisa Andrea Castello, psicoterapeuta e psicologo del lavoro responsabile del portale www.psicologiadellavoro.org. Al di là del disagio oggettivo, per limitare i danni e vivere con serenità partenze e ritorni esistono diversi escamotage: «Chiedere di lavorare almeno in parte da casa o cambiare gli orari per non fare il tragitto nell’ora di punta – elenca lo psicologo –. Cercare di rendere piacevole la trasferta, per esempio condividendo il viaggio con qualche collega, ascoltando un po’ di musica, profumando l’ambiente, o – se possibile – provando un itinerario diverso. Infine, imparare a gestire lo stress attraverso tecniche di rilassamento e training autogeno (allenamento basato sulla correlazione tra stati psichici – in particolare le emozioni – e aspetti somatici dell’individuo, ndr). Comunque vada – conclude Andrea Castello –, è sempre opportuno spezzare la routine».